Manduria annovera pittori dignitosi: tra essi, si segnalano i due fratelli Stano, Giovanni e Pietro
Come è noto, il cospicuo patrimonio pittorico manduriano, prevalentemente collocato nelle chiese, è stato recentemente ricostruito e studiato dallo storico dell’arte M. Guastella. Al suo fondamentale volume “Iconografia Sacra a Manduria” (Manduria 2002) si rimanda per un approfondimento delle varie problematiche relative alla pittura locale, alcune delle quali tuttora aperte.
Da questo importante lavoro di schedatura e studio emerge il significativo contributo dato dagli operatori manduriani alla formazione del vasto “corpus” pittorico salentino. Significativa, in prospettiva storica, appare l’esperienza della bottega dei Bianchi, in auge soprattutto nel sec. XVIII, in piena temperie culturale tardobarocca. Organizzata in modo funzionale, questa bottega ha prodotto opere atte a soddisfare le esigenze essenzialmente devozionali della committenza, in questo caso quasi esclusivamente ecclesiastica, licenziando dipinti sempre sufficientemente solidi sul piano compositivo e stilistico, anche se, in generale, privi di elementi di innovazione rispetto alla coeva pittura tardobarocca pugliese, mentre i pittori metropolitani (romani e napoletani) avevano da tempo prodotto autentici capolavori.
Quella dei Bianchi va dunque menzionata come una significativa realtà imprenditoriale che, con i limiti qualitativi già da tempo evidenziati dagli studiosi, ebbe modo di esprimersi in un contesto non sempre interessato a valorizzare gli operatori locali.
Anche per i secc. XIX-XX Manduria annovera pittori dignitosi, puntualmente menzionati nel volume di M. Guastella. Tra essi, si segnalano i due fratelli Stano, Giovanni e Pietro, entrambi indiscutibilmente dotati, ma destinati, nell’ambito professionale, ad una sorte diametralmente opposta, di cui resta eloquente traccia anche nella rispettiva “fortuna critica”, cioè nell’attenzione ad essi riservata negli studi storico-artistici.
Giovanni e Pietro Stano erano figli di Giuseppe Vincenzo Stano, nato il 25/8/1839 e morto il 20/11/1925. Questi aveva sposato in seconde nozze, il 27/8/1870, Maria Angela Passiatore di Pietro, nativa di Uggiano Montefusco. Nacquero da questo matrimonio Giovanni Gregorio Pio, Pietro Gregorio, Gregorio Pietro, Luisa, Pietro e Lucia [cfr. A. Stano Stampacchia, Breve storia di una famiglia (Lecce 1978)]. Il primo dei figli summenzionati, Giovanni (nato il 14/6/1871) sarà destinato a fare carriera nell’ambito artistico, potrà finanche annoverare nel suo curriculum una importante esperienza di insegnamento in Messico e oscurerà totalmente, di fatto, la fama dell’altro fratello pittore, Pietro, di lui più piccolo. Mentre di Giovanni Stano continuano ad occuparsi gli studiosi, estendendo le ricerche al vasto ambito geografico in cui egli operò e lasciò testimonianza della sua esperienza artistica (tra le altre cose, ricordiamo che lo Stano senior fu il pittore ufficiale del vescovo di Lecce Mons. Gennaro Trama), del fratello Pietro, come sottolinea M. Guastella, non esiste fortuna critica alcuna. Egli non è neppure menzionato da A. Foscarini nella importante opera manoscritta “Arte e artisti in terra d’Otranto”, rassegna dei principali artisti salentini di ogni tempo, recentemente pubblicata da un noto editore leccese.
E’ verosimile che l’attività di Pietro Stano non sia stata presa in considerazione da Foscarini anche a causa del ristretto ambito geografico in cui l’artista manduriano operò (alto Salento), lontano dal centro più avanzato dell’elaborazione artistica, vale a dire Lecce. Il “corpus” pittorico di Pietro Stano, allo stato attuale delle ricerche, è costituito da: 1) tre tele (L’”Immacolata”e il “San Gregorio Magno” in San Pietro in Bevagna, e il “San Giuseppe col Bambino” nella Chiesa di San Giuseppe a Manduria); 2) quattro dipinti murali (il ciclo con i “Quattro Evangelisti” nella Chiesa di Sant’Anna a Carovigno); 3) la decorazione parietale della chiesa di San Pietro in Bevagna e della chiesa di Sant’Anna a Carovigno (BR).
Verosimilmente, gran parte della produzione pittorica di Pietro Stano dovette essere di soggetto religioso, a differenza di quella del fratello maggiore Giovanni, che, nella sua lunga attività, fu chiamato a rappresentare vari temi e soggetti, compresi i ritratti, per i quali mostrò doti indiscutibili fin da giovanissimo. L’opera di Pietro Stano non è stata, nel suo complesso, censita. A giudicare dai dipinti superstiti, il pittore (che nel ciclo della Chiesa di Sant’Anna a Carovigno rimarca, con un pizzico di orgoglio, la sua origine manduriana) dovette avere una decisa inclinazione verso una pittura di tipo “devoto”, caratterizzata da tonalità marcate e densi impasti cromatici.
Ben diversa appare la pittura del fratello Giovanni, che ricercò fin dall’inizio una perfetta aderenza al dato reale, accordando la sua preferenza a tonalità cromatiche tenui e, soprattutto, distinguendosi per l’impressionante nitore disegnativo delle sue tele. La pittura “devota” di Pietro ebbe senza dubbio maggiore successo presso il popolo, mentre le opere di Giovanni furono verosimilmente comprese soprattutto dal pubblico più colto, che dovette subito ravvisare in esse la tensione verso il raggiungimento di un’ideale perfezione formale. I due fratelli, inoltre, concepirono e rappresentarono i soggetti sacri in modo decisamente diverso, se non proprio opposto: i Santi realizzati da Giovanni (si pensi, a titolo di esempio, al noto dipinto absidale della Chiesa di Santa Chiara a Manduria, tra le prove più alte che il pittore abbia lasciato nel nostro paese), pur chiamati a partecipare ad eventi prodigiosi (nel nostro caso, il colloquio con Cristo in Paradiso) sono psicologicamente caratterizzati da un sereno e dignitoso controllo delle proprie emozioni. Ben diversamente da quelli di Pietro, che non di rado, risultano totalmente assorbiti dall’estasi mistica (si pensi, per esempio, all’Immacolata in San Pietro in Bevagna, e al ciclo con gli Evangelisti in Sant’Anna a Carovigno). I Santi di Pietro Stano, caratterizzati da un accentuato patetismo di sicura, immediata presa presso il popolo, risultarono perciò vincenti, sul piano della “cultura operante”, rispetto alle aristocratiche figure di Giovanni. In questo senso, l’affidamento a Pietro Stano della decorazione “in toto” del Santuario di San Pietro in Bevagna, luogo-simbolo della religiosità manduriana, potrebbe essere stato deciso per ragioni di “politica culturale”: il clero locale non dovette essere insensibile a queste dinamiche, che a noi oggi potrebbero apparire di importanza marginale. Ma Pietro Stano fu anche un abile decoratore: a lui, per ragioni stilistiche (confortate dalla cronologia) si può attribuire la decorazione della volta e del presbiterio del Santuario di San Pietro in Bevagna, e parte della decorazione parietale della Cappella di Sant’Anna a Carovigno. A San Pietro in Bevagna, si possono facilmente isolare i due principali motivi iconografici: uno astratto, in cui prevalgono tonalità azzurrine, e uno figurativo (naturalistico) eseguito dal pittore con un colore giallo-paglierino. In Sant’Anna a Carovigno ritroviamo le stesse tonalità azzurrine, utilizzate stavolta per i motivi naturalistici: il colore è qui identico, ma il disegno è meno solido, e minore anche la perizia esecutiva. Notiamo infine che a San Pietro in Bevagna la decorazione si stende sulla navata e sull’area presbiteriale in modo pressochè uniforme, con l’obiettivo (raggiunto) di unire idealmente due corpi architettonici di epoche diverse con un unico motivo pittorico.
In conclusione, se è oggi possibile inquadrare in termini storici e critici l’operato del pittore manduriano Giovanni Stano, lo stesso non si può fare riguardo l’attività del meno noto fratello Pietro, in relazione al quale la ricerca è appena all’inizio. Per quanto riguarda le opere carovignesi, qualche documento potrà forse emergere dall’Archivio della famiglia Dentice di Frasso di San Vito dei Normanni: Pietro Stano fu incaricato dalla nobile famiglia di decorare la loro cappella privata (attuale Chiesa di Sant’Anna a Carovigno) il 20 marzo 1913, e portò a conclusione i lavori nel giro di due mesi. In questo senso, tracce documentarie dell’incarico dato all’artista potrebbero trovarsi nel Libro Mastro degli anni 1912-13 (registro di cc.312) e in quello degli anni 1913-14 (registro di cc. 352). Per quanto riguarda l’attività svolta nel territorio di Manduria, utili elementi potranno venire da uno spoglio delle carte conservate negli Archivi Parrocchiali e, per le opere sostenute dall’autorità pubblica, dall’esame delle Delibere Decurionali. Dalle collezioni private, infine, potrebbe emergere qualche inedita opera di questo valente pittore di cui, nel giro di un secolo, si erano perse le tracce.
Nicola Morrone