La finalità è stata quella di avvicinare i giovani alle immense testimonianze archeologiche e storiche di Manduria, per far prendere loro consapevolezza delle “radici” di questa città
A Manduria si è in attesa da oltre due anni della riapertura del museo? I reperti di origine messapica artisticamente più belli e di maggior valore storico-culturale sono rinchiusi in custodie polverose in attesa di poter brillare e di poter essere apprezzati nelle teche del museo?
A colmare, seppur parzialmente, questa grave carenza per una città che ha le risorse giuste per poter poggiare la propria economia anche su un turismo di tipo storico, ma che invece da decenni continua a mortificare le proprie ricchezze, interviene un valido progetto realizzato dall’istituto “Einaudi” di Manduria.
«Manca il museo virtuale e noi studenti, allora, vi proponiamo quello virtuale» ha esordito uno degli studenti dell’“Einaudi” di Manduria, che, alternandosi agli altri allievi dell’istituto scolastico, ha presentato in fiera il progetto.
Naturalmente la valenza didattica dell’iniziativa è più estesa: la finalità è stata quella di avvicinare i giovani alle immense testimonianze archeologiche e storiche di Manduria, per far prendere loro consapevolezza delle “radici” di questa città.
Grazie ad alcuni esperti (fra questi l’archeologo Gianfranco Dimitri e gli operatori della sezione di Manduria di Archeoclub), gli studenti hanno potuto “rileggere” l’archeologia da tre differenti angolazioni: l’archeologia nell’era della crossmedialità, l’archeologia delle rilevazioni tecnologiche e l’archeologia della multimedialità.
L’operazione, come è facile comprendere, non si è limitata alla realizzazione di un portale in cui sono confluiti foto di reperti (che da oltre due anni nessuno può apprezzare) e notizie storiche. La scuola manduriana ha suddiviso i propri studenti in tanti gruppi e, poi, ha dato vita ad un gioco di squadra. Anche in una logica di alternanza scuola-lavoro, un gruppo di ragazzi, insieme ai tutor, ha eseguito dei rilievi tecnici di alcune parti del parco archeologico. Poi i dati raccolti sono stati rielaborati, dando vita ad uno “scavo 2.0”. La diffusione delle immagini dei luoghi della memoria e della cultura dei Messapi è avvenuta attraverso i blogger, attraverso gli addetti alla multimedialità, attraverso i social e attraverso il web. Sino a dar vita ad un e-book consultabile. I testi sono poi stati tradotti in tre lingue: inglese, francese e tedesco.
La maturità dei ragazzi dell’“Einaudi” si è potuta cogliere anche attraverso un quesito che uno degli studenti ha pubblicamente lanciato.
«La mancata valorizzazione delle risorse è colpa solo delle istituzioni preposte o anche dei cittadini?».
Sicuramente si può intravedere il “concorso di colpa”: lo scarso interesse è comune.