sabato 30 novembre 2024


16/04/2016 17:33:14 - Manduria - Cultura

In un saggio di Nicola Morrone, la vicenda fondativa, l’attività educativa e la soppressione della comunità Scolopica

 
LE FONTI
Le principali fasi dello sviluppo storico della comunità scolopica di Manduria devono ancora essere delineate con chiarezza. Ciò potrà avvenire solo attraverso la consultazione delle fonti archivistiche, ad integrazione dei dati provenienti dalla letteratura specifica, già ampiamente noti agli studiosi.
Le fonti d’archivio relative alla casa scolopica manduriana sono collocate fondamentalmente a Roma (A.G.O.S.) e ad Oria (A.V..O.). Ci è stato finora possibile procedere esclusivamente ad un sondaggio dei documenti conservati nell’Archivio Vescovile di Oria; ci ripromettiamo di integrare le nostre note, in un successivo contributo, con i dati provenienti dalle carte romane, peraltro già compulsate in buona parte da altri studiosi.
La documentazione dell’A.V.O. riguardante la casa scolopica di Manduria è collocata nella busta n.75, che contiene documenti dal 1681 al 1831. Essa copre, di fatto, tutto l’arco cronologico in cui è racchiusa la vicenda della fondazione manduriana. I documenti sono di varia natura: si tratta principalmente di permute, enfiteusi, vendite, censi, cause. Il faldone si compone in totale di 32 cartelle. Il materiale conservato nell’A.V.O., oltre ad offrire un ragguaglio sulla vicenda fondativa, ci permette soprattutto di fare luce su alcuni aspetti della gestione patrimoniale del Convento manduriano.
Purtroppo, la documentazione non risulta nel complesso particolarmente utile a ricostruire fenomeni essenziali della vita della comunità, quali l’attività religiosa, educativa ed assistenziale. E’ auspicabile che, in tal senso, alcune importanti indicazioni possano venire da uno spoglio dei documenti romani.
 
LA VICENDA FONDATIVA
Sulla base dei più recenti studi (Tanturri, Gaudiuso) e con il conforto di alcuni inediti documenti d’archivio, siamo oggi in grado di stabilire con maggiore certezza l’epoca della fondazione del collegio scolopico di Manduria, e di precisare al contempo le reali motivazioni che portarono all’istituzione di questa periferica “casa” di Terra d’Otranto. A Manduria, gli Scolopi giungono nell’ultimo ventennio del sec. XVII: quali le ragioni e le modalità di tale scelta insediativa?
I riferimenti principali per la ricostruzione della vicenda provengono dalla storiografia, locale ed accademica, non meno che dall’evidenza documentaria. A. Tanturri, in un monumentale saggio [cfr.“Gli Scolopi nel Mezzogiorno d’Italia in età moderna”, in “Archivum Scholarum Piarum”, 50 (2001)] ha modo di soffermarsi nel dettaglio proprio sulle circostanze della fondazione della casa scolopica manduriana. Lo studioso inquadra la vicenda nell’ambito delle logiche insediative generali dell’Ordine, evidenziando le resistenze del locale clero regolare rispetto a ciò che stava per configurarsi. Le linee generali della vicenda, confermate dai documenti e segnalate piuttosto rapidamente anche dagli storici municipali, si possono così riassumere:
1.       Il sacerdote manduriano Giacomo Antonio Carrozzo, dopo una serie di colloqui con il provinciale di Napoli Tommaso Simone, decide di donare tutti i sui beni all’Ordine degli Scolopi, con la condizione per quest’ultimo di aprire un collegio di istruzione. I beni donati dal Carrozzo ammontano, tra mobili e stabili, a 10000 ducati. Il sito scelto per l’abitazione dei Padri è “il meglio della terra”, e non manca di un ampio giardino”abondante di acque perfettissime”.
2.       La trattativa è agevole. Unico ostacolo all’istituzione della nuova casa scolopica è l’opposizione del clero regolare manduriano, costituito da Cappuccini, Serviti, Domenicani e Agostiniani. Gli ordini adducono a motivo della loro opposizione la forte concentrazione urbana dei conventi e la povertà del luogo, che dunque non sarebbe stato capace di ospitare una nuova presenza regolare.
3.       Il Vescovo di Oria mons. Cuzzolino e la marchesa Brigida Grimaldi Imperiale mostrano un atteggiamento favorevole nei confronti dell’operazione avviata dal Carrozzo. Anche grazie al sostegno di questi ultimi, l’opposizione dei regolari manduriani viene superata.
4.       Il 12 Novembre 1681, il notaio G. B. Nasuti roga in Manduria l’atto formale di donazione. Il Carrozzo dona all’Ordine degli Scolopi i sui averi, finalizzati all’apertura della nuova casa, della chiesa e del collegio, con la clausola che, qualora i Padri non fossero riusciti a concretizzare l’operazione, i beni sarebbero andati a beneficio del Capitolo manduriano.
5.       La predetta clausola dà avvio ad un contenzioso tra gli Scolopi e il Capitolo, che ritiene di essere titolare degli averi del Carrozzo. La causa dura 5 anni. La spuntano gli Scolopi, che finalmente, nel 1688, nominano il primo rettore (Dionisio Cesario) ed avviano l’attività scolastica.
 
L’evidenza documentaria fornisce altre interessanti notizie circa le motivazioni che inducono il sacerdote G. A. Carrozzo a fondare la nuova casa scolopica. L’atto di Notar Nasuti, da noi recentemente rintracciato, illustra la vicenda con esemplare chiarezza:
[….]come sono più anni che esso Don Giacomo Antonio [Carrozzo] have deliberato nella sua mente di veder fondato in questa terra di Casalnuovo un monastero di dette Scole Pie, riflettendo sempre, che dalla virtù depende la maggior cognizione di Dio,e che però, quando detto Monastero fusse in detta terra li cittadini haverebbero commodità d’imparar virtù a maggior honor di Dio benedetto e della sua Santissima Madre Maria, siendo l’Instituzione di detti Padri insegnar li figlioli prima nella vita cristiana, e secondariamente nell’humanità, dal che anche ne nasce l’utilità dell’anima, per tanto ha deliberato donare a detti Reverendissimi Padri irrevocabiliter inter vivos tutto il suo havere di stabili, casamenti, vigne, oliveti, e tutto il mobile, bestiame di qualsivoglia sorte che si trovarà dopo la sua morte, come anche tutti li crediti, che si trovaranno dopo la detta sua morte, attioni, raggioni e successioni , con l’infrascritti patti, conditioni e vincoli che si metteranno più a basso, quali s’intendono posti tanto nel principio, quanto nel mezzo, e fine della presente donatione , di modo tale che si habbino per sustanziali di essa […]
 
Don Giacomo Antonio Carrozzo, dunque, resta il motore di tutta l’operazione, che, come sottolineato da A. Tanturri, ha caratteri piuttosto insoliti: nella maggior parte dei casi, infatti, le fondazioni scolopiche prendevano avvio dall’iniziativa (e dal sostegno finanziario) di vari soggetti, solitamente membri della nobiltà, o, più raramente, dal vescovo e dall’Università. Ciò produceva alcuni inconvenienti: le trattative con molteplici soggetti, o con l’Università, si presentavano certamente più laboriose rispetto a quelle con un solo interlocutore. E, come si è visto, il caso di Manduria rientra in questa seconda tipologia. Qui, gli Scolopi avevano a che fare “con un prete solo, che non sa replicare a quel che vogliamo noi”. In definitiva, le maggiori difficoltà che i Piaristi incontrarono nell’istituire la nuova casa sono da ricondurre all’atteggiamento del locale Capitolo e all’iniziale opposizione dei regolari.
La controversia con il Capitolo, generata dalle infondate pretese di quest’ultimo e durata un lustro, è documentata dagli atti collocati in un corposo fascicolo dell’A.V.O. D’altro canto, l’opposizione del clero regolare manduriano ad un’eventuale ingresso degli Scolopi in città, di cui rimane traccia documentaria,era palesemente “interessata”. L’atteggiamento dei regolari locali rappresentò sempre una delle incognite principali delle trattative per la nascita di una nuova casa piarista: l’episodio di Manduria lo documenta in modo esemplare. Fatta salva infatti l’esistenza delle condizioni basilari per la creazione di una nuova casa scolopica, indicate dal fondatore dell’Ordine, per concludere positivamente l’operazione-fondazione occorrevano il consenso dell’ordinario diocesano e quello dei superiori dei conventi di regolari eventualmente presenti. Ciò fino al 1731, quando una bolla di Clemente XII esentò i Piaristi da quest’ultimo vincolo. L’opposizione dei regolari ad una nuova fondazione scolopica si fondava soprattutto sul timore di perdere le elemosine, le donazioni e i contributi finanziari provenienti dai lasciti testamentari. Vi erano talora anche motivazioni che esulavano dall’ambito strettamente economico: i Domenicani e i Gesuiti, in particolare, temevano la concorrenza degli Scolopi sul versante dell’istruzione e della pratica educativa, da effettuare a vantaggio dei ceti sociali più poveri. Si prenda, a titolo di esempio, il caso di Lecce: gli Scolopi non poterono insediarvisi proprio a causa della tenace opposizione dei Gesuiti.T
ornando alla fondazione manduriana, s’è detto che i regolari (Cappuccini, Serviti, Domenicani e Agostiniani), fatta eccezione per i Riformati, in origine si espressero negativamente rispetto alla nuova fondazione piarista. Ciò è testimoniato da un interessante documento del 1682, ratificato dell’università, che evidenzia come l’eventuale fondazione di un nuovo convento avrebbe ulteriormente appesantito la già eccessiva concentrazione urbana dei fabbricati monastici. Si trattava, evidentemente, di una osservazione pretestuosa: le preoccupazioni dei regolari , come sottolineato in precedenza, dovevano essere di ben altra natura. In seguito,comunque, le frizioni si smorzarono, anche per l’intervento dell’ordinario, come testimoniato dalla residua documentazione. 
 
L’ATTIVITA’ EDUCATIVA
 
Il carisma fondamentale degli Scolopi fu, fin dalla istituzione dell’Ordine, quello dell’insegnamento. Per usare l’espressione di A. Tanturri, esso rappresentò il quarto ”voto” espresso dai Piaristi, oltre ai tre tradizionali (castità, povertà, obbedienza) comuni a tutti i religiosi. L’ordine calasanziano si inserì a pieno titolo nell’ambito dell’attività educativa, fino ad allora prerogativa dei Gesuiti, e, in misura minore, dei Barnabiti e dei Somaschi. Nel Mezzogiorno, in particolare, gli Scolopi si mostrarono in grado di fornire una risposta qualificata alle richieste di istruzione che la società nel suo complesso esprimeva da tempo, con le specificità ed i limiti tipici del contesto meridionale.
I collegi meridionali strutturarono per tempo la loro offerta didattica, sulla base delle indicazioni fornite dal fondatore, San Giuseppe Calasanzio, nella sua Breve relatione del 1604-1605, anche se, come sottolineano gli studiosi, lo schema teorico dell’insegnamento fu qui applicato in maniera semplificata, fatta eccezione per l’importante collegio napoletano della Duchesca. Nel merito, la didattica scolopica si presentava, per l’epoca, con caratteri innovativi, per almeno tre ragioni: poiché estendeva la sua influenza educativa al di là dell’aula; perché aveva una chiara proiezione verso il futuro dell’educando, preoccupandosi delle sue possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro; perché, istruendo i figli delle classi più povere, provocava di fatto una trasformazione della realtà sociale, favorendo la crescita di una società più democratica. I doveri dei Padri Scolopi in fatto di didattica erano d’altronde stati fissati dal pontefice stesso, Papa Paolo V, che nella Bolla Ad ea per quae (1617) ratificò le indicazioni fornite in materia dallo stesso Calasanzio.
Il fondatore aveva raccomandato di insegnare ai fanciulli “gratis, senza alcuno stipendio, mercede, salario o onorario, i primi rudimenti di Grammatica, Calcolo, e soprattutto i principi della Fede Cattolica, fondandoli nei buoni costumi ed educandoli cristianamente”. Questa pedagogia, evidentemente innovatrice, incontrò largo favore presso le popolazioni; l’assistenza scolastica liberava dall’ignoranza le classi povere, e il Collegio scolopico diveniva potente elemento di progresso all’interno del tessuto cittadino. Anche la casa scolopica manduriana dovette predisporre per tempo l’attività didattica. Sulla base della rarissima documentazione disponibile presso l’AVO, siamo in grado di affermare con certezza che anche a Manduria si insegnarono Grammatica e Retorica, e che, verosimilmente, risultarono attivi sempre due soli docenti.
L’insegnamento della Retorica ebbe comunque una certa fortuna, cosicchè a Manduria si fondò uno studentato finalizzato all’apprendimento di questa particolare disciplina. Le fonti locali sono piuttosto avare di dati relativi al funzionamento della scuola manduriana. E’certo che al 1779, vale a dire nel periodo del massimo sviluppo, la comunità annoverava 16 membri (6 sacerdoti, 4 chierici professi, 5 laici professi, 1 terziario); i docenti, come detto, erano due.
Nel collegio manduriano si formò, tra gli altri, una gloria dell’ordine scolopico, Serafino Gatti (1771-1834). Entrato nello studentato all’età di 15 anni, fu presto trasferito nel collegio di Campi Salentina, per effettuarvi il noviziato. Ventenne, fu inviato a completare gli studi nel collegio di Napoli, dove seguì i corsi di eloquenza, scienze filosofiche e matematiche. Dopo l’ordinazione sacerdotale, il Padre Gatti fu trasferito nel collegio beneventano, ad insegnarvi teologia, filosofia e matematica, e fu in seguito in Francavilla Fontana, città in cui lasciò un buon ricordo di sé. Seguì un’esperienza foggiana, e, poi, la definitiva consacrazione a rettore del collegio napoletano; qui, si distinse soprattutto per le innovazioni apportate alla didattica, e per le sue indiscutibili doti di oratore. Tra le sue molteplici pubblicazioni a stampa si ricordano saggi riguardanti la psicologia,la teologia,il calcolo, la geometria, oltre che i vari saggi di eloquenza redatti per le occasioni più varie.
 
 
LA SOPPRESSIONE
 
Dopo più di un secolo di attività,il collegio scolopico manduriano, al pari di tante altre realtà consimili, fu soppresso nel 1817 in seguito all’emanazione delle leggi murattiane, che abolivano tutti gli ordini religiosi possidenti. Una petizione del Decurionato cittadino ottenne dal Re il ripristino della casa manduriana, che continuò ad essere attiva sul piano religioso, educativo ed assistenziale per buona parte dell’800. Ancora nel 1824, infatti, gli Scolopi gestivano due scuole,di Umanità e di Retorica, frequentate rispettivamente da 8 e 20 alunni. I calasanziani dovettero poi abbandonare definitivamente Manduria dopo l’Unità d’Italia, in conseguenza delle leggi soppressive emanate dallo stato sabaudo. E’ opportuno che oggi si rinnovi il ricordo della loro presenza, che, caratterizzata soprattutto da un’intensa attività didattica, ha costituito un indiscutibile momento di crescita per tutta la comunità.
 
[Si ringrazia Don Daniele Conte, Direttore dell’Archivio Vescovile Oritano, per aver concesso la consultazione e la riproduzione dei documenti]
 
Nicola Morrone










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