Maria Grazia Gioia: «Vi racconto la sindrome di Ménière e faccio un appello»
Sapete cosa significa sentirsi improvvisamente in un frullatore mentre si fa la spesa e sentire un treno che frena sui binari ad alto volume nelle orecchie, tutto il giorno, tutti i giorni?
Ve lo racconto io. È una sensazione da brivido che pervade lo stomaco, blocca il corpo, toglie il re-spiro e anche l’autonomia. Ed è una sensazione che mi fa sentire sola.
La causa di tutto ciò è Monsieur Ménière.
É lui che mi fa girare la testa; è lui che mi fa provare sensazioni così forti da non farmi dormire; è lui che urla nel mio orecchio quotidianamente e mi fa vivere con un sibilo metallico, costante.
Nelle calde serate d’estate provo a fuggire sulla battigia nella speranza che il rumore del mare e le preghiere possano alleviare il tormento che pervade il mio pensiero.
Monsieur Ménière l’ho conosciuto nel 2010. Lui è entrato nella mia vita gradualmente,veniva a trovarmi di tanto in tanto. Ogni volta la sua presenza mi spaventava, soprattutto quando mi trasci-nava nel suo vortice di vertigini e acufeni.
Nei periodi di tregua cercavo con tutte le mie forze di dimenticarlo. Inizialmente mi sono compor-tata come lo struzzo, ho nascosto la testa sotto la sabbia, ho rifiutato di documentarmi perché ciò che leggevo mi procurava dolore.
Ricordo perfettamente il giorno in cui l’otorino fece la sua diagnosi, banalizzando la problematica e illudendomi che con una terapia sintomatica, intervallata da un ciclo di infrarossi a pagamento e seguita costantemente due volte all’anno, avrebbe bloccato la sintomatologia.
Ben presto ho dovuto constatare l'inutilità del trattamento e rassegnarmi all’idea di vivere con il Si-gnor Ménière. Un Signore invisibile ma sempre presente.
Questo rende difficile far capire alla mia famiglia, ai miei amici e ai colleghi quello che vivo ogni giorno, il mio disagio, la mia sofferenza. Mi sento intrappolata in una situazione senza via d’uscita. Con il passare del tempo il signor Ménière è diventato sempre più presente, invadente, prepotente. La sua presenza ormai è diventata quotidiana, quando gli acufeni sono più bassi ti fa compagnia con l'instabilità e viceversa, ogni giorno è diverso dal precedente. Ma ogni giorno, il signor Ménière è inopportuno.
Posso prenotare un volo per andare a trovare mia figlia che vive lontana o decidere di prendere la macchina per andare a fare la spesa ma non so se quel giorno, in quel momento sarò davvero libe-ra di farlo. Non so se le vertigini mi bloccheranno o se il sibilo sarà così forte da non permettermi neppure di respirare. E non c’è nessun posto nel quale posso scappare per non sentirlo, perché è nella mia mente.
L’unico luogo che mi porta sollievo e mi aiuta a non maledire la vita è l'ascolto della parola di Dio e la preghiera che cura le ferite profonde generate dalla paura della malattia.
Ora volete sapere qualcosa in più sulla Sindrome di Ménière?
É una patologia cronica, progressiva che interessa l'orecchio interno, caratterizzata dall'aumento di volume e di pressione dei liquidi presenti nel canale endolinfatico e di conseguenza nel labirinto preposto all'equilibrio.
Gli effetti di questa patologia, di cui non si conoscono le cause, sono imprevedibili, devastanti per-ché portano ad una progressiva perdita dell'udito, acufeni, vertigini, disequilibrio anche permanen-te. La sindrome di Ménière può essere monolaterale (quando colpisce un solo orecchio) o bilatera-le (quando colpisce entrambe le orecchie). Non esiste una cura risolutiva, ci sono solo delle terapie sintomatiche che cercano di alleviare la sofferenza ma purtroppo non si guarisce.
Ora immaginate cosa significa lavorare con la Ménière: è faticoso, si perde la concentrazione quan-do gli acufeni raggiungono ritmo e volume altissimi, il corpo sbanda e barcolla.
Il mio è un lavoro speciale, ogni giorno accolgo bambini con disabilità relazionali che necessitano di specifici trattamenti, particolari attenzioni e tanta empatia. Ma il Signor Ménière è inclemente, di tutto ciò non si preoccupa, mi sopraffà e mi limita nell’accoglienza e nell’ascolto dei miei bambini.
La sensazione d’impotenza e la convivenza con la pesante sintomatologia mi hanno costretto a chiedere, a malincuore, il part-time. La mia prima domanda è stata: e ora chi mi aiuta? Soprattutto quale Istituzione mi può supportare in questa difficoltà lavorativa e sociale?
Per qualche anno ho vissuto la sensazione di abbandono e solitudine fino a quando ho incontrato la ONLUS Associazione Malati di Ménière, che si occupa di dare sostegno e promuovere attività di-vulgative. Da quel momento, ho trovato supporto, ho avuto accesso a informazioni preziose e con-sigli di medici specialisti.
Grazie all’AMMI, ho scoperto che sul territorio nazionale, sono migliaia le persone affette da questa malattia e grazie ai loro consigli, ho avviato la domanda d’invalidità, nella speranza di poter usu-fruire di qualche agevolazione.
Non sono l’unica ad aver iniziato questo percorso. Molti malati come me hanno dovuto constatare un sistema sanitario assente, che non garantisce alcuna assistenza. Nessun riconoscimento per l'e-senzione ticket di farmaci ed esami diagnostici, nessuna protezione socio-lavorativa.
La malattia di Ménière non rientrava nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). La delusione maggiore è arrivata poi dall’ennesima esclusione dall’aggiornamento dei LEA che le Istituzioni preposte e la Ministra Beatrice Lorenzin hanno approvato con il nuovo decreto.
Con questo racconto, vorrei condividere il pesante disagio che la sindrome di Ménière riveste nei vari aspetti della vita lavorativa e sociale. Vorrei che le Istituzioni non ignorassero questo peso e tenessero conto di quello chela sindrome di Ménière comporta.
Gli acufeni, presenti 24 ore al giorno, tutti i giorni che mi devastano la mente.
Lo sforzo necessario per focalizzare e mantenere l'attenzione su compiti lavorativi quotidiani. Gli acufeni, spesso altissimi, mi rubano il silenzio e vado al lavoeo con una stanchezza che pervade corpo e anima.
La difficoltà, la frustrazione che la sordità e l’ipoacusia comporta nella relazione con gli altri. Non sempre le protesi sono di supporto, spesso il rumore esterno arriva nella mia testa in modo metal-lico e rimbombante. Ironia della sorte nella mia malattia si verifica una convivenza incomprensibile: l’ipoacusia e l'iperacusia (ossia l'eccessiva sensibilità uditiva ai suoni con determinate frequenze). Impossibile spiegare questa strana sensazione a chi ascolta, spesso la reazione è un sorriso incre-dulo e beffardo.
La forza necessaria per continuare a lavorare con la sensazione di non riuscire a controllare e orien-tare il mio corpo. La difficoltà a convivere con una morsa all'orecchio, la nausea, l'angoscia che mi stringe il cuore e la sfida di farcela a tutti i costi senza arrendermi.
La convivenza angosciante con crisi vertiginose, imprevedibili che mi rendono incapace di muo-vermi, costretta a stare sdraiata e spesso vomitare per ore.
Le pesanti ripercussioni che un disturbo cronico di questo tipo provoca sulla sfera emozionale, lo stress e l’ansia che aggravano la malattia stessa.
Penso anche alla difficoltà di molti malati cronici, in situazioni socio-economiche precarie, che non possono consultare né specialisti lontani dal luogo di residenza, né usufruire di esami diagnostici specifici e farmaci costosi.
La prima necessità è che le Istituzioni si facciano promotrici di iniziative che riconoscano e tutelino questa malattia invalidante e inabilitante.
Nello specifico, da pugliese vorrei fare appello al Coordinamento Regionale per le Malattie Rare, affinché includano tale patologia nel registro regionale.
É giunto il momento, come dice Papa Francesco, che “il volere eminente della persona sia alla base di soluzioni realistiche, coraggiose, generose e solidali”.
Maria Grazia Gioia
(La foto è tratta dall'archivio e non rappresenta l'autrice dell'appello)