L’intervista al d.s. Antonio Bruno: «Ecco come è nato questa magnifica rosa»
E’ il “mago” dell’Avetrana: d’intesa con mister Branà e con il patron Saracino, ha allestito una rosa composta innanzitutto da uomini veri e, poi, da calciatori desiderosi di porre in mostra, nell’importante vetrina dell’Eccellenza, le proprie qualità.
Antonio Bruno, direttore sportivo biancorosso, è soddisfatto dell’eccellente avvio di stagione, ma preferisce evitare voli pindarici.
«Il nostro obiettivo non cambia: puntiamo a raggiungere quanto prima la quota-salvezza» afferma il d.s. Bruno. «Il rendimento è molto alto, certo, ma non intendiamo dimenticare mai il traguardo che ci siamo prefissati in estate: la permanenza in Eccellenza».
Il manager avetranese racconta come è nata questa squadra.
«A dir la verità, a fine maggio, quando sembrava certa la conferma di mister Viscido, avevamo in mente un’altra squadra. Poi è cambiata la guida tecnica e, quindi, abbiamo assemblato un organico differente. Abbiamo deciso di rinnovare la rosa: tirare, cioè, una riga e voltare pagina.
Abbiamo scelto un allenatore, Giuseppe Branà, che conoscevo per averlo avuto a Leverano e di cui apprezzo alcune caratteristiche: alle sue squadre riserva allenamenti molto intensi. Di conseguenza, abbiamo tesserato calciatori disposti al sacrificio, con la cultura del lavoro e che avessero, altresì, fame di calcio, oltre agli stimoli che un torneo come l’Eccellenza pugliese (che io ho sempre definito una mini serie D per il suo alto livello tecnico) genera.
Di molti calciatori avevo testato già il valore. Molto felice è stata anche la scelta degli juniores. Mister Branà ha avuto il coraggio di puntare anche sui più giovani (ad esempio Cavalieri, classe 2000, sino allo scorso anno nella squadra Allievi della Virtus Francavilla) e i riscontri sono stati molto positivi».
Oggi il calendario riserva all’Avetrana la trasferta di Molfetta.
«E’ una squadra simile alla nostra, con un tecnico molto esperto: corre molto e gioca sul sintetico. Ci rechiamo a Molfetta per disputare la nostra solita partita, senza alcun timore reverenziale».