Ospite della serata l’autore Bruno Tinti
Sabato 23 gennaio, alle ore 21, presso l’associazione culturale “Caffè Letterario Altrove”, Bruno Tinti presenta “Toghe rotte”, edito da Chiarelettere, con prefazione di Marco Travaglio.
Il Libro
Il cittadino che abbia voglia di capire perché molte persone condannate per reati finanziari le ritroviamo coinvolte in scandali successivi; perché perfino i reati più comuni (rapine, estorsioni, sequestri di persona, omicidi, ecc.) spesso sono commessi da gente che è già stata condannata per altri reati; perché il processo termina, nel 95% dei casi, con una sentenza di non doversi procedere per prescrizione. Per capire perché accade tutto questo, è necessario sapere che cosa succede nelle aule dei tribunali e come si lavora nelle Procure. Ecco un libro che finalmente lo racconta. Se si supera lo choc di queste testimonianze offerte da vari magistrati e avvocati, sarà poi più facile valutare le esternazioni in materia di giustizia che provengono dal politico di turno, di volta in volta imputato, legislatore, opinion maker, e spesso contemporaneamente tutte queste cose. Accompagna le testimonianze un testo illustrativo ad uso dei cittadini, per capire come funziona la giustizia (la pena, i gradi di giudizio, le indagini, il processo ecc.).
L'autore
Bruno Tinti è nato tanti anni fa, molti di più di quanto gli piacerebbe.E’ procuratore aggiunto presso la Procura di Torino. Ama andare in motocicletta, sciare, arrampicare, giocare a tennis, viaggiare in camper; insomma gli piace godersi la vita. In realtà ci è riuscito poco, perché ha sempre lavorato sodo, e sempre nel campo penale. Nel lavoro è stato fortunato perché ha avuto come capi persone straordinarie, prima Mario Carassi e poi Bruno Caccia, morto ammazzato per le solite ragioni per cui si ammazza un magistrato: troppo onesto, troppo efficiente, intransigente, non condizionabile. Da loro ha imparato sul campo tutto quello che è importante sapere per fare il magistrato, senza cui diritto e procedura servono a poco; anzi sono strumenti pericolosi.
Da più di venticinque anni si occupa di diritto penale dell’economia, falsi in bilancio, frodi fiscali, reati fallimentari e finanziari, tutta roba difficile da gestire nel contesto politico e giudiziario italiano.
Per qualche anno ha fatto anche il professore all’università, ma ha scoperto che era troppo faticoso: professore e Procuratore della repubblica riempiono due vite; e a lui quella che aveva serviva anche ad altro.
In tempi meno conflittuali è stato anche consulente di qualche ministro e ha scritto la legge che punisce i reati tributari, in vigore ancora adesso; solo che se ne lamenta tutte le volte che gliene parlano perché il Parlamento (tutti d’accordo, senza distinzione tra maggioranza e opposizione) gliel’ha cambiata e quella che è venuta fuori è l’ennesima legge fatta per non funzionare. Questa stessa tecnica è stata utilizzata per quasi tutte le leggi che riguardano il suo settore professionale, reati societari e fallimentari in particolare; e così progressivamente il suo lavoro è diventato più o meno inutile. Sicché un’altra cosa che dice sempre è che si è stufato di lavorare in un’azienda in cui entrano camion carichi di carta ed escono camion carichi di carta.
Ha cercato di trovare soluzioni nell’organizzazione del lavoro; si è specializzato in informatica giudiziaria, ha tentato assetti organizzativi degli uffici che ottimizzassero quella che lui chiama la gestione della «fuffa», in modo da lasciare tempo e risorse per fare i processi importanti. Niente da fare. L’informatica è vista come una rottura di scatole da quasi tutti i magistrati che hanno da trentacinque anni in su; e poi comunque costa un sacco di soldi e ai politici non pare vero di aver trovato il sistema per tenere in pugno la giustizia. E i processi da quattro soldi debbono essere obbligatoriamente trattati con lo stesso codice di procedura penale che si usa per fare un processo per omicidio; così naturalmente durano più o meno altrettanto.
Non sopporta i pregiudizi e quindi le fazioni: sicché non gli piacciono i «partiti» né le «correnti» in cui è divisa la Magistratura. Anche lui non piace molto né agli uni né alle altre. Alla fine ha trovato qualche collega che aveva avuto le stesse esperienze; e tutti insieme hanno pensato di spiegare ai cittadini perché le cose vanno così male nella giustizia italiana. Ne è uscito questo libretto.
Da più di venticinque anni si occupa di diritto penale dell’economia, falsi in bilancio, frodi fiscali, reati fallimentari e finanziari, tutta roba difficile da gestire nel contesto politico e giudiziario italiano.
Per qualche anno ha fatto anche il professore all’università, ma ha scoperto che era troppo faticoso: professore e Procuratore della repubblica riempiono due vite; e a lui quella che aveva serviva anche ad altro.
In tempi meno conflittuali è stato anche consulente di qualche ministro e ha scritto la legge che punisce i reati tributari, in vigore ancora adesso; solo che se ne lamenta tutte le volte che gliene parlano perché il Parlamento (tutti d’accordo, senza distinzione tra maggioranza e opposizione) gliel’ha cambiata e quella che è venuta fuori è l’ennesima legge fatta per non funzionare. Questa stessa tecnica è stata utilizzata per quasi tutte le leggi che riguardano il suo settore professionale, reati societari e fallimentari in particolare; e così progressivamente il suo lavoro è diventato più o meno inutile. Sicché un’altra cosa che dice sempre è che si è stufato di lavorare in un’azienda in cui entrano camion carichi di carta ed escono camion carichi di carta.
Ha cercato di trovare soluzioni nell’organizzazione del lavoro; si è specializzato in informatica giudiziaria, ha tentato assetti organizzativi degli uffici che ottimizzassero quella che lui chiama la gestione della «fuffa», in modo da lasciare tempo e risorse per fare i processi importanti. Niente da fare. L’informatica è vista come una rottura di scatole da quasi tutti i magistrati che hanno da trentacinque anni in su; e poi comunque costa un sacco di soldi e ai politici non pare vero di aver trovato il sistema per tenere in pugno la giustizia. E i processi da quattro soldi debbono essere obbligatoriamente trattati con lo stesso codice di procedura penale che si usa per fare un processo per omicidio; così naturalmente durano più o meno altrettanto.
Non sopporta i pregiudizi e quindi le fazioni: sicché non gli piacciono i «partiti» né le «correnti» in cui è divisa la Magistratura. Anche lui non piace molto né agli uni né alle altre. Alla fine ha trovato qualche collega che aveva avuto le stesse esperienze; e tutti insieme hanno pensato di spiegare ai cittadini perché le cose vanno così male nella giustizia italiana. Ne è uscito questo libretto.