sabato 23 novembre 2024


20/02/2020 17:22:17 - Provincia di Taranto - Cronaca

Tra i destinatari del provvedimento cautelare imprenditori, due ufficiali (anche il direttore dell'Arsenale) e due dipendenti civili

 

Nell’ambito di una inchiesta per l’aggiudicazione di 15 appalti per 4,8 milioni di euro relativi a lavori di ammodernamento e riparazione di unità navali in dotazione alla Marina Militare di Taranto, la Guardia di Finanza ha posto agli arresti domiciliari 12 persone (due ufficiali, due dipendenti civili e imprenditori) accusate a vario titolo, di associazione per delinquere, turbata libertà degli incanti, corruzione e furto aggravato.

Tra i destinatari del provvedimento cautelare c’è anche il direttore dell’Arsenale militare di Taranto, che risponde di turbativa d’asta in concorso con alcuni imprenditori.

L’altro ufficiale coinvolto è l’addetto all’ufficio Servizio Efficienza Navi della Stazione Navale di Taranto, a cui vengono contestate cinque ipotesi di corruzione aggravata, in quanto avrebbe assicurato ad alcuni imprenditori l’affidamento di appalti di servizi ricevendo in cambio utilità.

I due dipendenti civili dell’Arsenale militare raggiunti da misura cautelare sono un assistente amministrativo presso l’Arsenale militare (che risponde di un episodio di corruzione e un episodio di furto in concorso), e un funzionario amministrativo responsabile della custodia di due magazzini della Direzione di Commissariato della Marina militare di Taranto (accusato di un episodio di corruzione).

Di associazione per delinquere rispondono alcuni imprenditori.

LE INDAGINI - Secondo le indagini, condotte dai militari del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Taranto, sarebbero state pilotate le aggiudicazioni di 15 appalti banditi dall’Arsenale e dalla Stazione Navale della Marina Militare di Taranto, nei mesi da ottobre a dicembre 2018, per un totale di 4,8 milioni di euro.

In particolare, per una gara di circa 3 milioni di euro, relativa ai lavori di ammodernamento della flotta, vi è stato un frazionamento artificioso degli appalti originari in 11 gare. Ciò per garantire - secondo l’accusa - ad ogni società gestita dagli imprenditori indagati di aggiudicarsi una porzione dei lavori e di conseguire un maggior guadagno. L’ordinanza di custodia cautelare è firmata dal gip del Tribunale di Taranto Benedetto Ruberto su richiesta del procuratore aggiunto Maurizio Carbone. 

«La ripartizione degli appalti è stata effettuata scientificamente, in modo tale che il totale degli importi relativi alle gare venisse equamente diviso fra gli associati che giungevano a tali accordi nell’ambito di incontri che si tenevano in luoghi da loro ritenuti sicuri». Lo sottolinea la Guardia di finanza di Taranto illustrando i dettagli dell’indagine.

Gli investigatori parlano di un «gruppo d’affari» che si avvaleva della «connivenza» di un ufficiale della Marina Militare in servizio presso l’Arsenale di Taranto che «veniva informato, puntualmente, sia dei nominativi delle imprese partecipanti alle varie gare, nonché del nome del vincitore concordato».

Gli indagati, sempre secondo l’accusa, disponevano anche della complicità di un dipendente civile dell’Arsenale, in servizio nell’ufficio amministrativo, il quale, a fronte del pagamento di una tangente, comunicava il dettaglio dei bandi di gara in anticipo rispetto alla data di pubblicazione, consentendo agli stessi di avere un ampio margine di tempo per accordarsi. «Il disegno criminoso ideato», aggiungono le Fiamme Gialle, ha trovato «un’altra modalità realizzativa attraverso la corruzione di un ufficiale in servizio presso l’ufficio Servizio efficienza navi, il quale, per far ottenere agli imprenditori l'affidamento di lavori necessari alla Stazione Navale della Marina Militare di Taranto, ha richiesto ed ottenuto in cambio utilità consistite in elettrodomestici, mobili e lavori di ristrutturazione di un’abitazione di sua proprietà».

Infine, uno degli imprenditori, per risparmiare sulle spese dei materiali, avrebbe corrotto in più occasioni un responsabile dei magazzini all’interno dell’Arsenale, che permetteva a un dipendente incaricato dallo stesso imprenditore di prelevare illecitamente beni di proprietà della Forza Armata utilizzati per le lavorazioni a bordo delle unità navali e fatturati come forniti dalla società incaricata di effettuare i lavori.

 











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