sabato 23 novembre 2024


30/03/2021 09:25:07 - Salento - Attualità

Ecco cosa c’è da sapere sull’efficacia e i tempi necessari affinché i diversi sieri anti-Covid assicurino il loro effetto

Con la campagna vaccinale che taglia i primi importanti traguardi in termini di immunizzazione e le inoculazioni che in diversi Paesi viaggiano a ritmi serrati, il mondo scientifico ha iniziato ad osservare la cosiddetta real world evidence, ovvero l’evidenza ottenuta da dati del mondo reale, dunque l’impatto dei vaccini al di fuori dal contesto delle sperimentazioni con cui sono stati approvati. I primi riscontri arrivano da Israele, Stati Uniti ma anche dal Regno Unito, dove più della metà della popolazione adulta ha ricevuto almeno una singola dose, facendo emergere tassi di protezione persino superiori a quelli osservati nei test clinici.

Qual è l’efficacia di una singola dose?

Il livello di protezione offerto dalla somministrazione di una dose dei vaccini Covid finora approvati – in Europa, l’EMA ha finora autorizzato l’uso di Pfizer-BionTech, Moderna e Astrazeneca con un regime vaccinale a due dosi e del monodose Johnson & Johnson – varia a seconda del siero, dello stato di salute, della genetica della persona che lo riceve, nonché dal tempo trascorso dalla somministrazione.

Secondo i dati del Joint Committee on Vaccination and Immunisation JCVI, il comitato congiunto per la vaccinazione e l’immunizzazione britannico che nel Regno Unito ha raccomandato di estendere l’intervallo di tempo tra la prima e la seconda iniezione di tre mesi nel Regno Unito, ha stimato che dopo tre settimane dall’inoculazione, la prima dose di Pfizer ha un’efficacia di circa il 90% mentre quella di Astrazeneca intorno al 70% nel prevenire le forme sintomatiche di Covid-19, con un’elevata protezione dalla malattia grave.

Dal 22° giorno, secondo i dati dell’Università di Oxford, l’efficacia di una singola dose di Astrazeneca è stata del 76%, con una diminuzione minima del livello di anticorpi durante i primi tre mesi. D’altra parte, ciò significa che la protezione nelle prime due-tre settimane dalla somministrazione è inferiore, con un livello che nel caso del vaccino di Astrazeneca raggiunge il 66,7% dopo 14 giorni dall’inoculazione. Analogamente, anche per il vaccino monodose di Johnson & Johnson la piena efficacia si raggiunge nelle settimane successive, con una protezione dalle forme gravi di Covid-19 fino al 77% dopo 14 giorni e all’85% dopo 4 settimane.

E di due dosi?

I dati sui vaccini con schema vaccinale a due dosi, con la seconda iniezione che ha lo scopo di potenziare la risposta immunitaria e rendere la protezione più duratura, indicano che il richiamo rispettivamente a 3 e 4 settimane dei vaccini di Pfizer e Moderna aumenta l’efficacia fino al 95% – 94% per Moderna – dalle forme sintomatiche di Covid-19. Quanto invece ad Astrazeneca, i dati preliminari dello studio condotto negli Usa hanno indicato una protezione del 76% quando la seconda dose è somministrata a distanza di 4 settimane. Quando invece il richiamo è somministrato dopo almeno 12 settimane, lo studio recentemente pubblicato su The Lancet ha dimostrato un’efficacia dell’81% dalle forme di Covid sintomatiche rispetto al 55% con un intervallo inferiore alle 6 settimane.

Si può contrarre il virus o ammalarsi dopo il vaccino?

Sì, i vaccini finora approvati riducono il rischio di Covid-19 ma non lo eliminano completamente, per cui le persone che sono state vaccinate possono ancora contrarre il virus e ammalarsi. I dati di efficacia degli studi clinici indicano la protezione dalla malattia e la prevenzione di ricoveri e decessi (fino al 100% in alcuni studi clinici) ma non la protezione dall’infezione. In altre parole, non è ancora stato dimostrato che i vaccini proteggono dall’infezione, con il rischio di sviluppare forme sintomatiche che potrebbe essere più molto alto se le varianti di Sars-Cov-2 in grado di eludere l’immunità indotta dai vaccini diventeranno più diffuse.

È possibile trasmettere il virus ad altre persone?

Non escludendo l’infezione, è certamente possibile che le persone vaccinate trasmettano il virus agli altri, anche se i primi segnali di un potenziale contenimento della diffusione fanno ben sperare. I ricercatori dell’Università di Oxford suggeriscono infatti che una singola dose di Astrazeneca possa ridurre di due terzi la trasmissione e, con l’avanzare della campagna di vaccinazione nel Regno Unito, i medici dell’ospedale di Addenobrooke a Cambridge hanno inoltre osservato che la prima dose del vaccino di Pfizer-BionTech può ridurre del 75% il numero di infezioni asintomatiche.

Uno scenario che lascia quindi intravvedere la possibilità che i vaccini riducano anche la trasmissione, come registrato tra l’altro in Israele, dove si rileva un calo significativo dei casi positivi. Primi segnali arrivano anche dall’Italia che, tra le categorie vaccinate per prime – medici, operatori sanitari e over 80 – osserva una netta diminuzione del numero di contagi rispetto alla popolazione generale.

Qual è l’effetto della vaccinazione?

Il rischio di ammalarsi di Covid diminuisce ad ogni dose di vaccino somministrato, sebbene il virus sia ancora in circolazione. Nel mondo sono ancora miliardi le persone che non sono state vaccinate e, tra quelle immunizzate, una parte non svilupperà una buona risposta immunitaria, come normalmente accade con tutti i vaccini. A questo si aggiungono i dubbi sulla durata dell’immunità e la forza della protezione indotta dall’infezione naturale, così come dalla vaccinazione, oltre ai rischi che possono derivare da una copertura vaccinale incompleta.

Ad esempio, secondo uno studio pubblicato su Science, una protezione parziale – come quella che può derivare ritardando i tempi di richiamo o dalla somministrazione non equa dei vaccini – può determinare un calo del numero dei casi nel breve termine, ma nel tempo portare a maggiori picchi epidemici e alla comparsa di varianti resistenti. Secondo gli studiosi, la mitigazione di questi effetti è possibile aumentando i tassi di vaccinazione e assicurando regimi di dosaggio tali da accrescere la capacità dei vaccini, dunque attraverso una più uniforme distribuzione dei sieri a livello globale, allo scopo di ridurre la diffusione virale e così l’evoluzione del patogeno verso ceppi in grado di eludere la risposta immunitaria indotta dalla vaccinazione.

 

Fonte: rete











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