Il parroco: «Emerge ovunque una certa fragilità che tocca tutti gli ambiti dell’esistenza dei nostri ragazzi: le relazioni, la cultura, l’affettività, la fede e persino l’equilibrio psicologico, facendoci percepire un’emergenza di fronte alla quale nessuno di noi può rimanere indifferente»
Pubblichiamo un’interessante lettera aperta del parroco don Dario De Stefano su una emergenza sempre più evidente: quella educativa. Una lettera aperta che potrebbe aprire un dibattito.
«Con questa lettera desidero aprire il mio cuore con fiducia a tutti voi nel semplice ma profondo desiderio di condividere alcune riflessioni sui percorsi educativi dei nostri ragazzi. Sarebbe bello anche riuscire ad individuare, in futuro, qualche strada su cui camminare insieme per un’azione più incisiva e proficua. Mi rivolgo soprattutto a chi condivide, insieme con noi sacerdoti, l’impegno e la missione di educare le nuove generazioni: genitori, educatori, docenti, istituzioni, responsabili di associazioni ludico-sportive-culturali, forze dell’ordine e quanti, in qualsiasi modo, sono preposti all’accompagnamento e alla crescita dei giovani.
Ormai, da qualche tempo, siamo continuamente raggiunti da notizie, piuttosto preoccupanti, circa il tessuto della vita giovanile che si presenta sempre più a rischio devianza. Emerge ovunque una certa fragilità che tocca tutti gli ambiti dell’esistenza dei nostri ragazzi: le relazioni, la cultura, l’affettività, la fede e persino l’equilibrio psicologico, facendoci percepire un’emergenza di fronte alla quale nessuno di noi può rimanere indifferente.
Quali possono essere le cause? Non vi è dubbio che questo processo si è inesorabilmente innescato quando alcuni valori, che contribuisco alla formazione della coscienza e conseguentemente agli stili di vita, non hanno più trovato posto nel contesto della vita famigliare. E’ innanzi tutto qui che i genitori hanno, infatti, il compito di essere un riferimento per i figli che crescono. L’indebolimento della famiglia e il cambiamento dei suoi ritmi, l’assenza sempre più evidente dei genitori stessi nell’accompagnamento educativo, la giustificazione di alcune scelte omologanti, la mancanza di un chiaro orientamento nelle decisioni, insieme all’accresciuta mentalità perbenista e relativista, che ormai investe tutti, hanno favorito una rinuncia o addirittura una banalizzazione del ruolo educativo dei genitori.
I tempi sono certamente difficili, ma non per questo bisogna rassegnarsi o arrendersi. Alcune volte, parlando con i genitori, percepisco con rammarico che essi avvertono una certa inadeguatezza di fronte alla complessità del loro ruolo. A tutti vorrei dire, soprattutto per incoraggiarli, che nessuno di noi ha una ricetta pronta, ma dobbiamo imparare a sperimentare percorsi, individuare priorità, creare contesti, perché si generi in tutti una sensibilità educativa. A fare i genitori e gli educatori si impara solo facendolo! Non c’è dubbio che la famiglia deve continuare ad essere il primo e imprescindibile spazio dell’educazione, ma ciò sarà possibile se noi adulti saremo davvero credibili e ci metteremo in discussione, se avremo il coraggio di favorire un dialogo con i nostri ragazzi, anche quando, dopo un sano discernimento, saremo costretti a dire i giusti “si” e i necessari “no”. Cresceranno in modo equilibrato quando l’accompagnamento educativo non si realizza con interventi isolati secondo schemi di opinioni personali, talvolta piuttosto discutibili, ma attraverso un’alleanza con le altre agenzie educative per orientare lo sviluppo integrale della personalità dei ragazzi in tutte le sue dimensioni. E’ in questo momento che la sapienza educativa di tutti coloro che concorrono alla crescita si confronta per trovare il modo attraverso il quale tirar fuori da dentro ogni ragazzo la parte migliore, come lo stesso verbo “educare”, nel suo significato più profondo, vuole esprimere. E’ questo, infatti, il fine ultimo dell’educazione. Tutto ciò, però, richiede passione e impegno. Non si può assolutamente improvvisare: “L’educazione è cosa del cuore”, diceva il grande padre e maestro della gioventù, S. Giovanni Bosco.
Questa alleanza è il presupposto fondamentale perché non si creino contraddizioni, con un conseguente scompenso educativo, nel percorso di crescita dei nostri ragazzi. Permettetemi ora solo di fare qualche esempio di carattere generale, senza voler dare, con questo, un’impressione piuttosto pessimista della situazione né esprimere alcun giudizio particolare. Sono convinto, infatti, che non può esserci una selezione tra ragazzi buoni e cattivi. Esistono solo ragazzi e giovani che, se ben orientati, possono essere brillanti, impegnati e responsabili. Ci sono, però, delle circostanze molto concrete che, non di rado, si verificano nel nostro vivere quotidiano e che riguardano purtroppo anche noi adulti. Quale orientamento indicheremo, per esempio, in una stessa famiglia se i due genitori diranno cose opposte al figlio su come comportarsi? Quale impressione daremo se a scuola o al catechismo, i genitori diranno che è sempre colpa dei professori o dei catechisti? Con questo non voglio certamente escludere che tutti possiamo anche sbagliare! Quale stile di vita proporremo se già a 14 anni non sappiamo dove vanno la sera tardi, li troviamo circolare nei vicoli dei centri storici con alcolici e sostanze stupefacenti? Quale idea di crescita abbiamo
se riteniamo che essere adolescenti significhi già essere grandi e indipendenti, se giustifichiamo un modo di porsi verso gli adulti spesso spavaldo e menefreghista, se non li educhiamo al rispetto di ciò che è un bene della collettività e, purtroppo, assistiamo continuamente ad atti di vandalismo, che deturpano monumenti, strade, macchine, case e parchi? Quale aspetto di responsabilità nei confronti del mondo emergerà se non trasmetteremo loro una cultura ecologica, capace di favorire il rispetto del creato, mentre ci accorgiamo che le nostre strade e i nostri luoghi pubblici si riempiono quotidianamente di carte gettate a terra, di bottiglie lasciate vuote, di rifiuti abbandonati e di tanto altro che deturpa il volto di una città o di un quartiere. Quale maturità potranno raggiungere se non li aiutiamo ad avere rispetto delle persone, soprattutto di chi è fragile e non li impegniamo a prendersi cura degli altri piuttosto che scartare, insultare o bullizzare? Quale personalità aiuteremo a svilupparsi se riteniamo che i nostri figli debbano essere sempre al centro dell’attenzione, gli devono essere riconosciuti sempre i primi posti, devono essere esaltati, oltre il loro impegno e i loro meriti, nella scuola o nello sport, sino a dare, come genitori, persino l’impressione di essere oppressivi, invadenti e inopportuni? E non parliamo del continuo confronto con gli altri che non rispetta la gradualità di ciascuno e genera complessi, sino a indurci ad assecondare o chiedere ai ragazzi di fare mille cose (sport, musica, corsi, ecc, ecc) senza un sano ed equilibrato discernimento. Quale valore daranno alle cose se li abituiamo al tutto e subito, se non facciamo loro sperimentare il giusto significato del sacrificio e dell’impegno per raggiungere gli obiettivi, evitando di giustificare spesso la loro pigrizia e i loro vizi? E’ vero poi che siamo ormai nel tempo dei social network ma quando ci preoccuperemo, con discrezione e delicatezza, di aiutarli a trovare un equilibrio tra uso corretto e dipendenza, sapendoli anche allertare di fronte agli ormai ben noti pericoli? Quale stile favoriremo se spesso generiamo un contesto di conflitto, invidia, critica, divisione e arrivismo, piuttosto che di fraternità e collaborazione? Quando parleremo con loro del dono dell’affettività e del vero amore, di fronte alla continua banalizzazione e strumentalizzazione del corpo? Quale posto avrà Dio nelle scelte della loro vita, se non siamo testimoni della gioia della fede, se siamo annoiati ogni volta che ci viene chiesto di metterci accanto a loro nella ricerca di Dio?
Naturalmente, in ciò siamo coinvolti tutti, nessuno escluso. Dovremmo metterci in cammino insieme, perché solo insieme si è più forti, ci si sostiene nelle difficoltà, ci si arricchisce e si trovano le strade da percorrere. Prima che indicare regole, se mai ancora riteniamo che abbiano un senso nell’educazione, impariamo a creare una mentalità nuova che veicoli, innanzi tutto, autentici valori, faccia scoprire la bellezza di alcune dimensioni della vita, spinga verso esperienze e scelte di responsabilità, di fraternità e di servizio. E tutto questo lo dobbiamo fare insieme, unendo le forze! E’ finito il tempo delle solitudini appaganti; questo è il tempo dell’incontro e della condivisione, senza la paura di aprirsi per aiutarsi e confrontarsi, nonostante tutti i limiti che si possono presentare. Abbiamo bisogno di famiglie e genitori che si interroghino sul loro ruolo educativo per il bene dei figli e investano tempo per accompagnarli nei loro percorsi di crescita, dialogando in modo costruttivo con i contesti frequentati dai loro ragazzi (scuola, parrocchia/oratorio, associazioni). Abbiamo bisogno di una scuola forse ancora più incisiva, meno paurosa di osare e interagire, vero luogo di cultura, di confronto, di educazione alla vita sociale, laboratorio di idee positive per costruire il futuro. Abbiamo bisogno di una Chiesa più presente, potremmo dire in uscita, che sappia stare dove sono i nostri giovani o crei contesti sani di formazione umana e cristiana con animatori e adulti, comprese famiglie, che abbiano dentro una vera passione educativa. Abbiamo bisogno di Istituzioni che nei loro programmi abbiano a cuore la crescita culturale, morale, “politica” dei nostri ragazzi, attraverso un coinvolgimento nella vita pubblica, per renderli protagonisti del territorio attraverso percorsi di cittadinanza attiva. Non di meno abbiano bisogno tutti di entrare in una mentalità che ci faccia optare per la scelta della prevenzione piuttosto che della repressione e ciò sarà possibile anche in un dialogo proficuo con quanti hanno il compito di garantire l’ordine pubblico, attraverso percorsi di educazione alla legalità e al rispetto delle cose e delle persone.
Cari amici, ho aperto il mio cuore a tutti voi e ho cercato di comunicarvi i pensieri che in questi mesi si sono affollati nella mia mente e nel mio cuore di pastore. Mi auguro che possano far sorgere in noi tutti il desiderio di incontrarci per condividere idee, proposte, paure, difficoltà, percorsi, sogni. Guardando ai nostri ragazzi impariamo a partire tutti dal positivo e non sempre dai limiti che pure ci sono, talvolta anche in modo piuttosto evidente. I limiti devono solo spronarci a metterci in gioco e a non scoraggiarci per poter osare di più nella ricerca del bene. Dal loro cuore, spesso, anche di fronte a resistenze e fallimenti, mi accorgo che emerge sempre una grande sensibilità e tanto bisogno di amore. Sono figli di questo tempo che noi adulti purtroppo gli stiamo consegnando, tanto burrascoso e incerto, che lascia ferite profonde e che ci fa sentire confusi e talvolta inutili.
Il nostro compito è far emergere le loro potenzialità, come ci ricorda il grande don Bosco: “In ogni ragazzo, anche il più disgraziato, v’è un punto accessibile al bene. Compito di un educatore è trovare quella corda sensibile e farla vibrare”. Perciò, troviamo il modo, con quella pazienza educativa che deve contraddistinguerci sempre tutti, di farci spazio nel loro cuore per camminare insieme sulle strade della vita e aiutarli a sognare ancora un futuro migliore: insomma “…studiamo di farci amare dai giovani!”(don Bosco)».
Don Dario De Stefano