sabato 23 novembre 2024


15/11/2021 10:24:51 - Puglia - Attualità

Il report di Save the Children: nella provincia di Taranto solo il 15,8% dei bambini della scuola primaria usufruisce del tempo pieno

 

Da molti anni si dice che l’Italia non è un “paese per bambini”, ma a questo punto, dopo qualche decennio di lento declino, sembra quasi diventato un paese in cui l’infanzia è “a rischio di estinzione”. Dai tempi del baby boom ad oggi la rotta sembra infatti essersi clamorosamente invertita: una marcia indietro che ha travolto la curva demografica e l’ascensore sociale, sempre più in caduta libera e che rischia di trascinare il futuro delle giovani generazioni e del Paese intero.

Anche in Puglia la fotografia dell’infanzia non è delle migliori: più di 1 un minore su 4 vive in condizioni di povertà relativa. Gli “early school leavers” – cioè ragazzi tra i 18 e i 24 anni che non studiano e non hanno concluso il ciclo d’istruzione - sono il 15,6% e i NEET - giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano, non studiano e non sono inseriti in alcun percorso di formazione - raggiungono la percentuale del 29,4%. In entrambi i casi, si tratta di percentuali leggermente superiori alla media nazionale (rispettivamente 13,1% e 23,3%), ma molto lontane da quelle europee (9,9% e 13,7%).

In 15 anni in Italia la popolazione di bambine, bambini e adolescenti è diminuita di circa 600 mila minori e oggi meno di un cittadino su 6 non ha compiuto i 18 anni. E nello stesso arco di tempo è dilagata la povertà assoluta, con un milione di bambine, bambini e adolescenti in più senza lo stretto necessario per vivere dignitosamente. Un debito demografico, economico e soprattutto un debito di investimento nelle generazioni più giovani, che ha travolto tutto il paese: tra il 2010 e il 2016 la spesa per l’istruzione in Italia è stata tagliata di mezzo punto di PIL, e si è risparmiato anche sui servizi alla prima infanzia, le mense e il tempo pieno, lasciando che, allo scoppio della pandemia, i divari e le disuguaglianze di opportunità spianassero la strada ad una crisi educativa senza precedenti

La fotografia scattata nella XII edizione dell’Atlante dell’infanzia a rischio, dal titolo “Il futuro è già qui”, diffuso a pochi giorni dalla Giornata mondiale dell’Infanzia e dell’Adolescenza da Save the Children - l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare le bambine e i bambini a rischio e garantire loro un futuro – è quella di giovani generazioni su cui non si è investito a sufficienza, che, a causa della pandemia da Covid-19, hanno perso mesi di scuola, hanno sofferto l’isolamento e la perdita di relazioni, e a cui è urgente fornire risposte concrete. La pubblicazione, a cura di Vichi De Marchi ed edita da Ponte alle Grazie, racconta un’Italia ogni giorno più vecchia, ingabbiata nelle diseguaglianze sociali, economiche e geografiche, in cui i minori sono sempre più poveri, non vengono considerati come il capitale più prezioso per il futuro del paese, non vengono ascoltati.

“Siamo di fronte ad un domani incerto. Da un lato c’è un futuro che rischia di essere compromesso dalla crisi economica, educativa, climatica. Dall’altro sembra esserci la miopia della politica che in questi ultimi decenni non ha investito a sufficienza sul bene più prezioso del nostro paese, l’infanzia. In Italia abbiamo un milione e trecentomila minori in povertà assoluta e la percentuale di NEET più alta d’Europa, con un esercito di giovani che non studia, non cerca lavoro e non si forma. Giovani che non sono messi nelle condizioni di contribuire attivamente allo sviluppo del Paese, senza dimenticare che povertà e assenza di educazione sono il terreno perfetto per attrarre risorse nelle mafie organizzate”, afferma Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children. “Ascoltare le istanze di bambine, bambini e ragazzi è un imperativo: si aspettano una società diversa e dobbiamo renderli protagonisti di questo cambiamento. Il tempo delle parole è passato e ora bisogna immediatamente impegnarsi in politiche concrete a favore dell’infanzia: i fondi dedicati alla Next Generation sono risorse importanti che possono trasformare le parole in realtà ed è un’occasione che non possiamo perdere”.

Le diseguaglianze e la povertà educativa si sperimentano sin dalla primissima infanzia. In Puglia meno di un bambino su 10 (9%) usufruisce di asili nido o servizi integrativi per l’infanzia finanziati dai Comuni, un dato di gran lunga inferiore a quello della media nazionale che si attesta al 14,7%. La spesa media pro capite (per ogni bambino sotto i 3 anni) dei Comuni della regione, per la prima infanzia è di 408 euro ciascuno, un dato tendente al ribasso se si pensa che in Italia si passa dalla spesa di Trento di 2.481 euro fino ai 149 euro in Calabria.

Né il divario riguarda solo la prima infanzia. Anche crescendo, le disuguaglianze non spariscono: in Italia solo il 36,3% delle classi della scuola primaria usufruisce del tempo pieno, con forti disparità sul territorio. Guardando alle province pugliesi, quella meno virtuosa è quella di Bari dove solo il 15,2% dei bambini ne usufruisce, seguita da Taranto (15,8%) e poi da Lecce (19%) e Foggia (19,8%). La provincia di Brindisi tocca il 26,3%, ma tutte sono ben lontane dalla media nazionale del 36,3%. Anche per le mense scolastiche, le disparità si notano: in provincia di Brindisi la frequenta il 22,2%, a Lecce il 18,2%, a Foggia il17,2%, a Bari il 16% e infine, a Taranto, la meno virtuosa, il 13,9% a fronte di una media nazionale del 56,1%.

Cali di apprendimento e divari sono evidenti nell’analisi degli ultimi test Invalsi, su cui pesano fortemente i mesi di chiusura delle scuole durante la pandemia. La dispersione implicita, ovvero il mancato raggiungimento del livello sufficiente in tutte le prove, in Italia è in media del 10% nell’ultimo anno delle scuole superiori, con significative variazioni su scala regionale. In Puglia, tutte le province segnano uno 0% nella dispersione implicita.

I dati INVALSI hanno, inoltre, certificato che, se la crisi complessivamente ha colpito tutti gli studenti, le bambine, i bambini e gli adolescenti che erano già in condizione di svantaggio hanno subito le conseguenze più gravi. I punteggi medi dei test in italiano e matematica, evidenziano, infatti, risultati peggiori per i ragazzi che provengono da famiglie di livello socio-economico basso o medio basso, confermando come la DAD abbia fatto venire meno l’effetto perequativo della scuola, lasciando indietro gli studenti che per mancanza di strumenti e di aiuto in casa, non sono riusciti a stare al passo col programma.

Le diseguaglianze sociali si traducono non soltanto in mancanza di opportunità educative per milioni di bambini ma anche nell’impossibilità di soddisfare esigenze basilari: già nel 2019 l’indagine Eu-Silc Eurostat certificava in Italia un tasso di povertà alimentare dei bambini tra 1 e 15 anni del 6%. Nel 2020, l’anno della pandemia, i dati sulla spesa delle famiglie con figli minori mostrano differenze notevoli tra quelle più ricche e quelle in condizione di povertà: al Nord la spesa alimentare media mensile di una famiglia benestante era di 913 euro, due volte e mezzo quella di una famiglia del quinto meno abbiente, che spendeva 380 euro. Al Centro la differenza aumenta e nel Mezzogiorno si allarga passando da 1267 euro per le famiglie più abbienti a 442 per quelle più povere. Per il quinto di famiglie più in difficoltà, la spesa alimentare e quella per l’abitazione, incluse le bollette, occupa la gran parte del bilancio familiare, lasciando poco e niente per spese importanti per la cultura, lo sport, la salute e per l’istruzione dei figli. Proprio su queste voci di spesa ‘educative’ e generative la forbice tra famiglie benestanti e in difficoltà si allarga drammaticamente, segnalando anche un possibile divario di offerta territoriale di opportunità legato ai luoghi in cui crescono i bambini, laddove le famiglie più povere sono più concentrate nelle c.d. “periferie educative”.

 

Foto: Ilaria Giorgi











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