Quella persona pronta a prestare giuramento e indossare una divisa non era “lui” per tutti. Lo è diventato con il tempo, e ora che ha 26 anni è un poliziotto transgender, uno dei pochi in Italia
«Iniziai a pregare Michela Pascali di aiutarmi, perché io non avrei giurato in gonna e tacchi e piuttosto avrei rinunciato a tutto anziché provare quella sofferenza».
È un passaggio della lettera di Alessio Avellino, il neo eletto presidente dell’associazione Polis Aperta, l’associazione alla quale aderiscono persone che svolgono il proprio servizio nelle forze dell’ordine e che, oltre al lavoro, condividono l’orientamento affettivo omosessuale. Alessio, dottorando in Scienze sociali e statistiche per studi di genere alla Federico II, ha 26 anni ed è di Napoli, ed è tra i pochissimi poliziotti italiani transgender. Quando è entrato in polizia i suoi documenti erano al femminile: la sua carriera ha avuto un seguito grazie al sostegno della sua collega pugliese Michela Pascali, membro della medesima associazione, e dichiaratamente omosessuale.
La storia sui social
Una storia, quella di Alessio, raccontata in maniera dettagliata sui social network, quasi a cuore aperto, per comunicare il dolore di chi avverte di essere in un corpo che non rispecchia la propria essenza al punto da considerarlo una prigione, un freno per la propria affermazione professionale. Il desiderio di entrare in Polizia sarebbe arretrato dinanzi alla necessità di dover indossare una uniforme da donna nel giorno del giuramento.«La gioia della partenza fece spazio all’angoscia e alla paura di dover affrontare un percorso che poco aveva a che fare con la mia persona, la mia identità», racconta Alessio. Nelle continue ricerche per trovare una via d’uscita da quel cliché Alessio si è imbattuto nella storia di Michela Pascali, la poliziotta che non aveva nascosto la sua omosessualità.