Paradossalmente, la processione dei Misteri, nella quale si partecipa la morte di Cristo, diviene negazione della morte stessa, perché prepara alla definitiva vittoria della Resurrezione
Dal Giovedì Santo alla Domenica di Pasqua, nell’orizzonte tradizionale, il popolo dei fedeli vive un lutto collettivo, secondo modalità ritualmente controllate e tutte orientate al superamento del cordoglio. Tale cordoglio trascende la narrazione biblica, divenendo identificazione intima e problematica con il dolore individuale, difficilmente risolvibile in un tempo ‘storico’.
Ecco allora il ricorso ad un tempo ‘metastorico’, un tempo addomesticato e ritualizzato attraverso l’itinerario processionale del Venerdì Santo. Esso pone un argine culturale alla sofferenza lancinante della perdita, al perenne senso di angoscia e precarietà della condizione umana. Tutte queste istanze trovano risoluzione positiva in alcune modalità di gestione della processione, che si connota come funerale simbolico, aperto, però, alla speranza. Paradossalmente, infatti, la processione dei Misteri, nella quale si partecipa la morte di Cristo, diviene negazione della morte stessa, perché prepara alla definitiva vittoria della Resurrezione. La dialettica morte-resurrezione, essenziale all’umanità per la continuazione della sua esistenza, carica la processione del Venerdì Santo di un significato profondo e definitivo, nella misura in cui, pur nella dimensione protetta del rito, essa celebra nella morte del Cristo il riscatto della vita.
La processione dei Misteri è fra le processioni più sentite e partecipate dai fedeli, oggi come in passato. Essa è la rappresentazione figurata di antiche drammatizzazioni sacre aventi per oggetto episodi della Bibbia o del Vangelo, tipiche del teatro medievale, dove con il termine “misteri” si indicavano proprio tali rappresentazioni. Attualmente singole statue o gruppi scultorei vengono portate a spalla, sfilando processionalmente per le principali vie dei paesi, affiancate dalle confraternite, associazioni parrocchiali, autorità civili e militari. A seguire la banda musicale che intona una marcia funebre, espressione piena di un dolore straziante e insopprimibile.
A Uggiano Montefusco (frazione di Manduria) il gruppo dei Misteri consta di quattro statue, di seguito descritte nell’ordine in cui sfilano nella processione (per la descrizione delle statue: S. Polito, ‘La cartapesta sacra a Manduria, CRSEC 2002). In foto, le quattro statue e alcuni momenti della processione, da cui emerge la dimensione corale del rito e la presenza di una comunità stretta attorno al dolore struggente di una Madre che segue, da sempre e per sempre, il Figlio morto.
ECCE HOMO — In cartapesta dipinta, opera del maestro leccese Antonio Malecore (1922- 2021). Datata 1994, misura cm. 159x56x45, ed è conservata nella nicchia sinistra dell’altare maggiore della Cappella di S. Nicola. Il Cristo, ricoperto da un ampio mantello rosso sotto il quale s’intravede un ‘perizonium’ bianco annodato sui fianchi, ha le mani legate con una fune a una canna. L’espressione del volto è di sofferenza, lo sguardo è rivolto al cielo, il petto squarciato gronda sangue e in testa vi è una corona di spine.
GESÙ ALLA CROCE — In cartapesta dipinta, è di autore ignoto, la croce misura cm. 270x155 ed è collocata lungo la navata sinistra della chiesa Matrice. Il Cristo, posto su una semplice croce lignea recante in alto il cartiglio con la scritta ‘INRI’, è cinto da un ‘perizonium’ di colore bianco, avvolto sui fianchi. La testa, coronata di spine, è reclinata sulla spalla destra. Il corpo presenta ferite alle braccia, al costato e alle ginocchia. Le mani e i piedi sono trafitti da chiodi.
GESÙ NELLA BARA — In cartapesta dipinta, di autore ignoto, è datata fine XIX inizio XX secolo (ha subito alcuni interventi conservativi negli ultimi decenni) e misura cm. 38x160x60. La scultura raffigura il Cristo morto deposto sul sudario. Il corpo, piagato e sanguinante, è disteso su di un lenzuolo, coperto solo da un ‘perizonium’ bianco. Ai piedi è posizionata una corona di spine realizzata con rovi spinosi.
ADDOLORATA — In cartapesta dipinta, datata fine XIX inizio XX secolo, misura cm. 157x78x72. L’autore è ignoto, anche se alcuni elementi plastico-compositivi fanno ritenere presente la mano di G. Manzo; è stata oggetto di restauro nel 1989. All’interno della chiesa matrice è collocata sull’altare maggiore, nella seconda nicchia a destra. La scultura raffigura l’Addolorata in ginocchio su di una pietra, con le mani giunte in atteggiamento di preghiera e il petto trafitto da uno stiletto; il suo abbigliamento segue l’iconografia tradizionale: velo bianco, mantello blu e tunica rossa, stretta in vita da una cintura dorata.
Da ‘La Festa Cresta – Dalle Palme al Sabato Santo con la gente del Sud’ di Rosario Jurlaro, con 21 tavole illustrate di Domenico di Castri, Longo 1983.
«Per la processione dei “Misteri”, che doveva svolgersi la sera, bisognava preparare le statue che, in cartapesta o in legno, raffiguravano i momenti della passione e della morte di Cristo.
In quest’ultima azione corale del popolo era come l’epilogo di tutte le attese della settimana.
Ogni statua era affidata ad una confraternita che aveva cura di addobbarla con tappeti di fiori tutto intorno alla base. Si preparavano le lampade e le candele perché la processione si svolgeva partendo dalla chiesa quando era appena buio per tornare a notte alta, ma prima che iniziasse l’altro giorno per non intaccare con la tristezza del venerdì il sabato festoso.
Le statue andavano tra due ali di popolo che si muoveva da un crocicchio all’altro per potere vedere sempre da principio la lunga teoria delle immagini che erano come i grani di una corona tenuta insieme dalla doppia fila dei confratelli e delle pie donne delle associazioni; immagini che facevano anche riflettere sui misteri della vita.
Erano così realistiche, quelle statue, da sembrare momenti di una tragedia umana vissuta tra la rassegnata accettazione del calice amaro, che era un vero calice appeso tra le fronde di un ricostruito ulivo sotto il quale Cristo era in preghiera, e la morte con il corpo nudo sul cataletto e la madre in gramaglie con la spada nel cuore ed il fazzoletto bianco tra le mani serrate in atto di dolore.
(…) Tutti gli onori erano resi al Cristo morto, deposto in cima ad un cataletto che aveva quattro fiaccole agli angoli ed i lacci con i pomoli che erano tenuti, come ai funerali di riguardo, da quattro autorità, le più alte del paese.
Vi era silenzio da fare udire i passi sulla strada, se non batteva la ‘trenula’, se non suonava la banda. Le voci della gente erano sommesse in quel momento di dolore. Quasi urla della Vergine, vestita di nero con abiti antichi di stoffa preziosa, erano le note alte della tromba. A quelle rispondevano, come gemiti della natura, il tamburo ed i piatti di bronzo, che penetravano e squarciavano il silenzio (…). Si assaporava il lutto che, quando è solo umano, fa essere loquaci per essere poi liberi, come cicatrici dalle croste, crisalidi dal bozzolo».