giovedì 23 gennaio 2025


22/01/2025 19:32:40 - Manduria - Attualità

Si tratta di un “risarcimento morale” per la sua deportazione ed internamento nei campi tedeschi, perché all'indomani dell'armistizio si rifiutò di collaborare con l’esercito nazista.

Lunedì prossimo (27 gennaio), in occasione della Giornata della Memoria, il Prefetto di Taranto, nel corso di una cerimonia ufficiale, consegnerà una Medaglia d’Onore a Mimma Pizzi, nipote dell’ex soldato di sanità Cosimo Pizzi, nato a Manduria il 26 gennaio di 103 anni fa.

Tale riconoscenza è stata istituita dal Presidente della Repubblica, come risarcimento morale per la sua deportazione ed internamento nei campi tedeschi, perché all'indomani dell'armistizio si rifiutò di collaborare con l’esercito nazista.

Segue una lettera che Mimma Pizzi dedica a suo nonno Cosimo.

 

«Immagina di avere vent'anni, nel pieno della giovinezza, una vita d'avanti, sogni, progetti, speranze. Un amore ancora acerbo nel cuore da coltivare con delicatezza. Immagina la pungente aria di gennaio, che all'età di vent'anni non fa paura, anzi ristora il corpo e l'anima inebriata dal fuoco passionale di un giovane uomo.

Immagina di tornare dai campi e, dopo un lungo lavoro assaporare il caldo nella piccola casetta. Gli occhi di tua madre che ti guardano soddisfatta, nel vedere suo figlio rincasare e orgogliosa di saperlo cresciuto e incline all'onore, al rispetto e all'umiltà.

Immagina di avere vent'anni e di avere nell'animo lo spirito di opposizione al ventennio più meschino che il nostro adorato Paese abbia conosciuto. Cosa avrà pensato quell'amore giovanile? Cosa avrà guardato quella madre? E quel padre cosa avrà consigliato a quel figlio quel giorno di gennaio?

Immagina di avere vent'anni e di avere tra le mani una cartolina, una cartolina che mai avresti voluto vedere. “Richiamato alle armi” enunciava. Immagina di avere vent’anni, di salire su una nave e non sapere cosa trovare sull'altra riva. Un giovane uomo, avrebbe voluto viaggiare, chissà quante volte con la fantasia avresti voluto raggiungere quei luoghi lontani che ora dovevano essere la tua casa insieme a tanti giovani che come te, indossavano una divisa e combattevano una guerra non voluta.

Non eri un ufficiale, non avevi scelto quella vita per te, volevi solo andar per i campi a coltivare e pensare che un giorno, un pezzo di terra sarebbe stato tuo. Un giovane uomo che ha avuto la sfortuna di essere tornato da poco dal militare e di essere cresciuto in un territorio ora dichiarato in stato di guerra.

Avresti voluto impugnare solo la tua zappa, e con la tua falce dare colpi solo a quei rami secchi. Forse il buon Dio in questo ti aveva accontentato, ti avevano assegnato al 12° ospedale da campo, un soldato di sanità, almeno in questo modo avresti avuto più possibilità di salvarti. Questo perché se ti fossi trovato nelle condizioni di sparare a qualcuno, non lo avresti fatto, avresti preferito morire!

Questo era il tuo orgoglio più grande, quello di non aver mai sparato a nessuno! Per te non c'erano nemici da combattere, per te c'erano giovani uomini come te, che amavano la vita. In un certo senso eri stato accontentato, cercavi di salvarle le vite, avevi imparato a fare l'infermiere, mestiere che hai presto dimenticato, anzi tu gli ospedali li odiavi. Chissà cosa hai visto con quegl'occhi, quali atrocità hai dovuto nascondere nel tuo cuore. La tua mente però era rimasta a casa, così come il tuo dolce pensiero.

I saluti a mamma, papà e fratelli erano affidati ad un pezzetto di carta intestata: posta militare 106, quello ora era il tuo indirizzo. Un caro pensiero riservato al tuo giovane amore, che non seppe aspettarti, quell'amore che non vide più la fine del tuo sacrificio. Avrebbe dovuto essere fiera di te, di quello che poi saresti diventato, ma non ebbe la forza di difendere quell'amore giovanile.

Chissà cosa pensavi, quando hai affidato al destino quella foto, promettendo che saresti tornato. 10 settembre 1943, il tuo cuore si sarà fermato in quell'istante. Le tue orecchie avranno ascoltato grida di disprezzo, infamie, insulti. Ti avranno chiesto con insistenza di far parte di loro, saresti tornato a casa, ti avranno detto, forse la tua donna sarebbe stata tua sposa…ma dovevi scegliere. Quel fucile lo avresti dovuto usare, avresti dovuto sparare ad altri italiani giovani come te, che combattevano la resistenza.

Avresti dovuto resistere solo qualche mese, ma accanto ai nazisti saresti tornato a casa. Ma quale cuore avrebbe sopportato il peso del tradimento, quale cuore avrebbe ucciso e fatto finta di niente, certo non il tuo. Così hai gridato quel NO con orgoglio. Quell'orgoglio che a vent'anni lo senti scorrere nel sangue, quel no lo avresti voluto dire già da tempo. Il regime a te non piaceva proprio, e ora lo avresti potuto dimostrare. Quante volte avrai ripetuto a te stesso di resistere, quante volte lo avrai detto, nonno, dopo quel giorno di settembre. Sicuramente non sapevi neanche dove ti trovavi di preciso, quando hai preso la decisione più grande della tua vita.

Nauplia, nonno, ti trovavi lì, nel Peloponneso a pochi passi da Corinto, un mare cristallino quello greco, un mare che forse ti avrà allietato e che ora ti vedeva prigioniero. Caricato su un treno merci, carri bestiame che trasportavano voi, voi, trattati peggio delle bestie. Disarmati, spogliati dagli effetti più cari, privati di ogni caro sentimento avuto, cominciavate a percorrere le strade più buie della vostra vita. Chilometri e chilometri, nel buio di un vagone piombato, senza acqua, pane, dignità.

Tutto vi era negato, stretti l’un l’altro, ogni corpo faceva perno all’altro e così si evitava di cadere sfiniti. Quei volti, una volta giunti a destinazione si sarebbero separati. Destinazioni diverse, uguale tragica sorte. Quanti giorni saranno passati dalla tua cattura, i dati storici in questo ci possono aiutare. Meppen, ora ti trovavi lì, al confine con l'Olanda, nelle terre gelide della Germania nazista. Avrai certamente camminato a piedi giorni interi, in fila, mani dietro alla nuca, passo dopo passo nel silenzio più assordante. Passi sempre più stanchi, passi che a vent'anni ti dovevano condurre da quell’amore lasciato lì ad aspettare e che invece ti condussero in quei luoghi dove hai conosciuto la più triste delle miserie e dove la più becera e meschina cattiveria umana si manifestava sempre più prepotente e spietata.

Ti condussero nello Stalag VI-C e poi trasferito pochi mesi dopo nel VI-J a Fichtenhain. Giovani uomini lontani chilometri e chilometri da casa, abbandonati in baracche sporche, rigide e spogliate da ogni sentimento di compassione.

Per voi “I badoglien” era riservato un destino di beffe e menzogne, additati come traditori, lasciati soli nell’amaro destino di un internato militare: IMI, privati anche dei diritti della Convenzione di Ginevra riservata ai prigionieri di guerra. Voi eravate quelli del NO, quelli che dovevano essere sfruttati fino allo stremo dai lavori forzati, quelli che si rifiutarono di combattere, quelli che non aderirono alla Rsi di Mussolini. Io so per certo nonno, che il tuo no è stato un NO di coraggio, un no dettato dal rifiuto del regime, un no detto a quella guerra che non sentivi tua e che ti portò lontano da casa. Un no che aveva il sapore della libertà, anche se adesso ti teneva prigioniero. Ti teneva prigioniero nel corpo, ma non nell’animo. Quel No, che in realtà era un Sì, un sì alla Vita, alla nostra Libertà, alla futura Repubblica Italiana costruita anche grazie al vostro sangue.

Quella scelta ti è costata cara, ma ha dato un senso anche ai nostri giorni. Un giorno, mentre non stavi già bene, ti chiesi: ”Perché nonno? Perché lo hai fatto? Io li ricordo quegli occhi, quel giorno, li ricordo benissimo: lucenti e commossi e mi dissero tanto. In quel momento la tua bocca diede le parole alla tua anima: l’ho fatto per voi! Perché possiate essere liberi, vivere per obbedire non è bello! Oggi quelle frasi hanno tutto un altro sapore, ho compreso fino in fondo tutto il loro valore e tutto il peso di quel sacrificio fatto all’indomani dell’armistizio. Oggi ha tutto un altro senso.

Un semplice numero che è stato il tuo nome per quasi due anni, risuona insistente e prepotente nella mia mente: il 106063, mi sta accompagnando nelle mie ricerche per riscoprire il tuo triste cammino e far luce sulla tua storia e di conseguenza a quella della nostra famiglia. Ti ho fatto una promessa nonno, stringendo tra le mie mani una tua fotografia, poiché tu da 28 anni non sei più con noi, quella di onorare la tua memoria, il tuo NO e far conoscere quel tuo sacrificio.

Dopo tante ricerche nei vari archivi italiani e tedeschi, mail inviate e notti insonni passate  a tradurre e a decifrare documenti, il 27 gennaio, Giorno della Memoria, sì, proprio il giorno dopo alla data del tuo compleanno, con tutto l’orgoglio che ho nel cuore, posso solo omaggiarti con una piccola Grande Medaglia, quella d’Onore, conferita ai sensi della Legge 27 dicembre 2006, n.296, articolo 1 commi 1271-1276 dal Presidente della Repubblica, istituita per voi IMI memore del vostro sacrificio, come risarcimento morale per le atrocità da voi subite. Questo è solo un piccolo passo, lo so, ma è l'inizio del percorso lungo la strada dell'onore: il Tuo!».

 

Mimma Pizzi











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