L’arcata celeste, quella sera, mostrava tutta la sua lucentezza, regnando sul buio metropolitano
C’era chi, tra gli avieri, si vantava di essere un habitué di quel luogo, descrivendolo come il “paradiso terrestre”. Gregorio, incoraggiato dai suoi commilitoni, si recò per la prima volta in un bordello. L’arcata celeste, quella sera, mostrava tutta la sua lucentezza, dominando sul buio metropolitano. Di buon passo, l’aviere si incamminò verso una casa situata nei pressi della città vecchia di Tripoli, dove, nel dedalo di vicoli semideserti e angusti, regnava il silenzio. Soldati in libera uscita e la pattuglia della ronda vigilante si aggiravano nelle viuzze circostanti.
In fondo a una strada lunga e poco rischiarata dalla luna, costeggiata da fatiscenti abitazioni e intervallata da caliginosi locali notturni, si trovava il noto civico sei. Oltre quella porticina, contrassegnata dal numero che, per coincidenza, evoca nell’esoterismo la perfezione, nella religione cattolica rappresenta l’opposizione della creatura al Creatore e la creazione dell’uomo, e nella cabala il membro maschile, alcuni sensi umani venivano appagati, così come la percezione di beatitudine e di virilità.
Varcata quella soglia, un mondo seducente, fino ad allora sconosciuto a quel soldato, apparve immediatamente ai suoi occhi. Avvenenti artiste della sensualità guidavano con maestria l’acquirente alla scoperta del meraviglioso universo femminile, corporeo e psichico, mostrando al neofita viaggiatore il luogo magico in cui alberga da sempre la perdizione. Malvagità, amarezze e frustrazioni umane venivano istantaneamente cancellate dall’innato erotismo delle donne, che tramortiva, come un pugno ben assestato al capo, il maschio smarrito nei suoi pensieri.
Per qualche istante, il viandante si trovava immerso nell’interno di un campo gravitazionale: il Black Hole, dove materia e anima sono incapaci di fuggire.
Una fioca lanterna illuminava gli scalini d’accesso alla casa, che esternamente somigliava a una locanda. Prima di entrarvi, Gregorio spense, schiacciandola con il piede, la sigaretta fumata a metà. Pervaso dal desiderio e spinto dalla curiosità, si guardò intorno con circospezione per accertarsi che nessuno lo stesse osservando. Si tolse il copricapo, sistemò i suoi riccioluti capelli brillantati, diede un rapido sguardo all’uniforme per assicurarsi che fosse in ordine e, poco dopo, bussò.
Ad aprirgli fu la maitresse, una donna grassoccia e attempata, che lo invitò ad attendere qualche istante in una sorta di sala d’aspetto, vagamente circolare, con pareti rivestite di broccato rosso porporato. Al centro della stanza, una decina di ragazze in déshabillé, spuntate improvvisamente dai camerini delimitati da separé, si sedevano una ad una in semicerchio su un sofà, esibendo compiaciute le loro velate grazie. Gregorio, bramoso e senza esitazione, scelse quella che più di tutte desiderava possedere.
Ad attrarlo furono lo sguardo felino e l’apparente giovinezza di una ragazza che, con ammiccamenti e gestualità sensuali, invitava il cliente a salire alcuni scalini per accedere a un ballatoio su cui si affacciavano le stanze riservate. Lì, poco dopo, l’uomo si concesse alla madama([1]) per qualche attimo di evasione dalla guerra.
Walter Pasanisi
(1) A quei tempi, il fenomeno del madamato era molto diffuso. Inizialmente sviluppatosi nelle colonie italiane dell’Eritrea e della Somalia, si diffuse successivamente anche in Libia. Il madamato stabiliva una relazione temporanea tra un cittadino italiano e una donna nativa delle terre colonizzate, chiamata in questo caso "madama". Nel settembre del 1938, con l’introduzione delle leggi razziali, il madamato venne proibito e perseguito penalmente. Il fascismo giudicava questa pratica dannosa per l’integrità della razza italica, malgrado i divieti e la contemporanea istituzione, da parte dello Stato, di case di tolleranza nelle colonie con prostitute italiane. In seguito, per non dare un’immagine negativa delle connazionali, queste ultime furono sostituite con prostitute marsigliesi.