sabato 08 febbraio 2025


08/02/2025 08:13:31 - Manduria - Attualità

Adele, quel giorno, svegliatasi all’alba, dopo la dipartita della madre, sentiva addosso il peso della famiglia e l’importanza di contribuire con le proprie risorse all’economia domestica

La nebbia settembrina si dipanava lentamente con l’approssimarsi dell’alba di un mattino che si preannunciava assolato. Bassi e bianchi fabbricati scrostati, imbiancati con calce vergine, costeggiavano, schierati, i vicoli cittadini, le cui strade, per lo più non asfaltate, erano ricoperte dal pulviscolo tufaceo dei disselciati, che si accumulava compatto per effetto dell’umidità.Per le vie dell’abitato si diffondeva la fragranza del pane casereccio appena sfornato, l’odore acre del fumo delle rinsecchite fascine di sarmenti, usate per appiccare il fuoco nei forni in pietra, e quello aspro del mosto. Qua e là, in prossimità dei palmenti, si intravedevano contadini di ritorno dalle campagne, che trasportavano sui traini[1]colmi grappoli di uva nera, da poco vendemmiata, mentre cani meticci di piccola taglia procedevano sotto i barrocci, seguendo fedelmente i rispettivi padroni.

Adele, quel giorno, svegliatasi all’alba, dopo la dipartita della madre, sentiva addosso il peso della famiglia e l’importanza di contribuire con le proprie risorse all’economia domestica.Era il suo primo giorno di lavoro: eccitata e impaziente, desiderava presentarsi puntuale all’importante appuntamento. Sbrigò con solerzia le faccende domestiche, preparò la colazione sul tavolo del cucinino per il padre e i fratelli, che ancora dormivano, e sistemò il suo lungo e modesto vestito di cotone.Si rimirò nuovamente allo specchio mentre acconciava i capelli; poi afferrò con una mano il cestino in vimini della merenda e con l’altra chiuse alle sue spalle la porta d’ingresso dell’abitazione, avviandosi verso la fabbrica.Era un’operaia precaria e stagionale nell’opificio di stoccaggio e lavorazione dei fichi secchi, di proprietà del cavaliere Solodati, amico di vecchia data di suo padre. Il baffuto e stimato imprenditore era in concorrenza, a Manduria, con il cavaliere Brufetto, ma la sua fabbrica, vanto per sé e per la cittadina, era più ampia, moderna e attrezzata di quella del contendente. Nello stabilimento di via Roma, dove si stoccava e confezionava il frutto, lavoravano circa un'ottantina di operaie e qualche operaio. A quei tempi, il salario per le donne era di cento lire, percepite ogni due settimane dalle manovali.Adele si presentò, come altre giovani lavoratrici neoassunte, dinanzi all’ingresso secondario della fabbrica alle sette in punto; attendeva trepidante l’assegnazione a uno dei reparti dello stabilimento. Dall’ingresso principale, dove campeggiava la scritta a caratteri cubitali “Stabilimento Cavaliere Antonio Solodati”, si accedeva all’area adibita allo stoccaggio della merce, delimitata da una robusta cancellata in ferro battuto, dove sostavano, attendendo il loro turno, traini e carretti sui quali i contadini avevano stipato fichi di pregiata qualità, già tagliati a metà e essiccati, e mandorle essiccate.Sebbene a precederla vi fossero solo alcune operaie, subito istruite a grandi linee dalle lavoratrici più esperte, Adele non attese a lungo il suo turno. Ad accoglierla personalmente si fece avanti il cavaliere Solodati, che la ricevette nel suo modesto ufficio. L’odore di stantio impregnava il sudicio locale scarsamente illuminato. Aloni grigiastri, addensati su alcune pareti vistosamente inumidite, e ragnatele pendenti dal soffitto e da una finestrella incorniciavano la cupa stanza. Penna e calamaio, qualche foglio di carta, una lampada da tavolo e un mozzicone di sigaro acceso sul posacenere occupavano la massiccia e polverosa scrivania, dietro la quale spiccava un vecchio appendiabiti vuoto e tarlato. Dinanzi a quel sobrio tavolo, un paio di vetuste poltroncine in vimini completavano l’esiguo mobilio.

«Buongiorno, Adele.» «Buona giornata, Adele» esordì l’imprenditore, avvicinandosi e posandole confidenzialmente una mano sulla spalla. «Buongiorno, Cavaliere» rispose lei, visibilmente imbarazzata. «Ho il piacere di accogliere e far lavorare nella mia fabbrica la figlia di Antonio, una brava persona… Con tuo padre ci conosciamo da quando siamo nati; lo stimo come un fratello.» «Grazie, al ritorno a casa, riferirò a mio padre» rispose lei, cercando di smorzare l’evidente soggezione che avvertiva verso quell’uomo.«Fai sempre quello che ti dicono di fare e proseguirai senza intoppi il tuo cammino di vita.» Le sagge parole di suo padre riecheggiarono improvvisamente nella mente di Adele, come un tuono. Quelle parole, pronunciate alla vigilia della sua assunzione in fabbrica, volevano essere per lei un monito. Ella si ripromise di farne tesoro, impegnandosi nel lavoro per non far sfigurare il genitore agli occhi dell’imprenditore.Il Cavaliere, senza dilungarsi in ulteriori convenevoli, proseguì: «Seguimi, ti mostrerò dove lavorerai.»

Attraversarono il primo reparto, un ampio locale dell’opificio, dove erano impiegate una ventina di lavoratrici incaricate di versare le mandorle in grandi pile di pietra e di schiacciare i gusci con martelli per estrarne i semi. Poi attraversarono il secondo reparto, un salone della stessa ampiezza del primo, dove operaie più anziane ed esperte prelevavano i fichi da grandi canestri di vimini, li accoppiavano in base alla grandezza e qualità e li farcivano con mandorle, scorza di limone verde e semi di finocchio selvatico.

Adele fu assegnata al settore più importante della fabbrica, dove alle operaie più giovani, generalmente tra i dodici e i quindici anni, spettava il compito di sistemare le coppie di fichi per la cottura. «Tu starai qui. È la migliore postazione della fabbrica. Buon lavoro!» le augurò l’imprenditore, allontanandosi.

Con lei lavoravano fianco a fianco Michela, una graziosa e garbata fanciulla dal volto punteggiato di lentiggini e dai lunghi capelli ramati, e Cosima, un’operaia di qualche anno più grande, tarchiata e dai modi rozzi, che spostava con le mani paffute e tozze i capelli neri e sporchi che le ricadevano sulla fronte. Adele instaurò con le sue colleghe un buon rapporto d’amicizia e una perfetta intesa lavorativa. La loro attività procedeva speditamente.

La ragazza acquisì in breve tempo molta dimestichezza nel porre di traverso, pronti per la cottura, coppie di fichi ben allineati in grandi štanáte[2].  Nel penultimo reparto, di forma semicircolare e il meno ampio dell’opificio, s’intravedeva l’operoso Antimo, il corpulento e sudato fornaio che da quasi trent’anni svolgeva quel mestiere, insieme a suo figlio Michele, che fungeva da aiutante. Entrambi provvedevano a introdurre nell’ampia bocca del forno cinque teglie per ogni cottura. I fichi accoppiati venivano estratti solo quando, da entrambi i lati, risultavano uniformemente imbruniti.

Di tanto in tanto, l’energico Antimo, con un cenno della mano, esortava il figlio ad alimentare la fiamma con fascine di sarmenti secchi, fronde e tronchetti di ulivo. Michele, che non amava affatto quel lavoro, eseguiva l’operazione svogliatamente e con lentezza.

Ancora fumanti, i fichi venivano posati sotto presse metalliche, successivamente compressi e aromatizzati con foglie di alloro. La catena di produzione terminava con il confezionamento del prodotto: una decina di addette distribuivano il frutto in pacchi o cestini di vimini di diverse misure, avvolti in pellicole di cellofan, carte oleate o decorate e infiocchettati con spago o nastrini colorati.

Gli operai preposti alla logistica provvedevano infine a smistare i pacchi su tutto il territorio nazionale, spesso utilizzando i vagoni merce dei treni in partenza dalla stazione di Manduria, diretti soprattutto verso il Nord Italia o al fronte, dove i pacchi venivano distribuiti in dono ai soldati impegnati in guerra.

 I fichi di scadente qualità, scartu[3], venduti a un costo inferiore a quello della fabbrica, venivano acquistati dalle distillerie per la produzione di alcol e dagli zuccherifici per lo zucchero. La fabbrica solitamente cessava l’attività stagionale nel mese di novembre. Adele vi lavorò per quattro anni consecutivi.

 

Walter Pasanisi

 

 1Barrocci.

 2Teglie rettangolari.

[3]Scarto.

 











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