Amore mio, mentre stendo queste parole sul foglio, mi assale la nostalgia di te. Non sopporto la tua lontananza, né questa guerra che ti ha fatto soldato
L’aria mattutina era afosa, nonostante l'assenza di vento; l’umidità dello scirocco e il calore del sole, appena velato da una sottile nuvola, si avvertivano sulla pelle.
Gregorio, in sella alla bicicletta di servizio utilizzata per raggiungere i vari reparti militari presenti in città, percorreva il lungomare Conte Volpi del rione del Lido, diretto verso Piazza Italia. Costeggiava le alte palme, schierate su entrambi i lati della strada, che offrivano ben poca ombra al viale e alle costruzioni con vista mare, realizzate in stile coloniale dagli italiani che avevano fatto della capitale libica la perla dell’Impero fascista.
Sul suo volto abbronzato, nonostante il copricapo gli riparasse la testa, le gote apparivano accaldate e madide di sudore, indossava l’uniforme color kaki sahariana: pantaloni e giubba telata, entrambi macchiati soprattutto sotto le ascelle, dove il tessuto aderiva maggiormente alla pelle.
Consegnato l’ultimo plico e i dispacci di guerra della giornata, l’uomo poté finalmente rientrare nel suo alloggio alla base aerea.
Sorto nel 1934 come scalo civile e successivamente adibito a campo d’aviazione militare, l’aeroporto sorgeva in una località originariamente chiamata GasrGarabulli (Gasr, in arabo, significa "castello"), da cui derivò il nome Castel Benito, in onore di Mussolini.[[1]]
Anche oggi ho concluso il mio giro. Sono sfinito, ma adesso voglio concedermi un po’ di riposo», pensava soddisfatto Gregorio, mentre già pregustava, ansimante, l’apertura della busta a lui intestata.
Con il cuore che gli rimbalzava in petto, spiegò frettolosamente la lettera. C’era scritto:
Amore mio,
mentre stendo queste parole sul foglio, mi assale la nostalgia di te. Non sopporto la tua lontananza, né questa guerra che ti ha fatto soldato.
Desidero che tu mi sposi subito, per condividere con chi amo finanche il respiro e godere con te della vita fino alla fine dei nostri giorni. Nulla potrà ostacolare la nostra unione: lotterò affinché i tuoi genitori si rassegnino al nostro amore, così che la figlia di un funaio e di una bracciante agricola possa unirsi in matrimonio con quell’uomo di alto rango che ho sempre amato, sin da bambina.
Te lo prometto! Farò ogni cosa per averti, lotterò, anche a costo della mia vita.
A riprova di quanto sia determinata, oggi, prima di scriverti questa lettera, ho presentato un’istanza indirizzata direttamente al Duce, affinché provveda a farti rientrare in Italia. Ho addotto, mentendo, una motivazione che, ne sono certa, Mussolini—sensibile com’è alle questioni sentimentali e familiari—accoglierà senza esitazione.
Quel pomeriggio, nella camerata, l’aria era opprimente. Da una finestra, i raggi del sole al tramonto irradiavano calore nel vuoto dormitorio, mentre dalla fronte di Gregorio cadevano gocce di sudore che bagnavano la branda su cui era seduto.
Avrebbe dovuto essere entusiasta per aver ricevuto quella lettera, eppure, in preda all’agitazione, il suo volto esprimeva un misto di inquietudine e irritazione.
Pensava: «Questa donna mi caccerà nei guai! Che folle gesto ha compiuto! Scomodare il Duce… Siamo in guerra, e lui certo non potrà occuparsi di noi, impegnato com’è in altre faccende», meditava ombroso l’aviere, rileggendo le parole che scorrevano nella missiva:
... quello che pensavo fosse un uomo, in realtà è un codardo. È fuggito via, lontano da me, ingannandomi, dopo avermi sedotta e abbandonata, pur consapevole di aver illuso una donna che in grembo porta un bambino, del quale il padre è lui.
Desidererei pertanto che l’aviere scelto Pasetti Gregorio, in servizio al campo di volo di Tripoli, tornasse qui da me per non sottrarsi alle sue responsabilità, agli obblighi di genitore e, in un futuro prossimo, a quelli di marito.
Per queste ragioni, Vostra Eccellenza illustrissima, faccio presa sul suo buon cuore di padre, di marito, di capo dello Stato, a cui è stata affidata la sorte dell’Italia e degli italiani. Vi prego! Vi supplico! Facciate voi in modo che l’aviere scelto torni da quella che sarà per sempre la sua donna, la sua famiglia…
So cosa stai pensando di me…, come mi giudicherai, sono folle, lo so, ma io impazzirò se non sarò accanto a te.
Ti amo e ti amerò sempre.
Tua Adele.
«Mi puniranno per questo», meditava preoccupato Gregorio, anche se il suo cuore era inebriato dalla passione. «Ma come le sarà venuto in mente di inventarsi una storia del genere? Passerò per un mascalzone!»
Il buio avvolgeva alcune zone dell’aeroporto, scarsamente illuminate. Quella sera, la luna piena dominava il cielo luminoso, disseminato di stelle. Un fresco pungente, dovuto all’escursione termica tipica delle zone sahariane, attanagliava le sentinelle nelle garitte a guardia del campo. Le lampadine illuminavano a giorno gli alloggi militari e gli hangar; erano accese anche le luci di delimitazione della pista, da cui provenivano il rullare dei carrelli e il rombo dei motori degli aerei, che atterravano di ritorno dalla ricognizione.
Di giorno in giorno, la Regia Aeronautica intensificava i voli nei cieli africani e del Mediterraneo per avvistare gli aerei della RAF e, in mare, la temibile flotta della RoyalNavy: moderne e attrezzate forze aeronavali che, successivamente, avrebbero contribuito a ribaltare a favore degli Alleati l’esito della guerra.
Gregorio, stremato dopo quella lunga e travagliata giornata, si accese una sigaretta. Poco dopo cercò di addormentarsi, ma era inquieto: non riusciva a chiudere occhio, si girava e rigirava nella branda. La sua mente era un turbinio di pensieri, alternati a momenti di lucidità e di confusione, e solo all’alba, quando finalmente si assopì, quelle inquietudini martellanti si allontanarono.
Nei giorni successivi, l’aviere ricevette altre lettere da Adele, che, da abile scrittrice, le farciva di frasi sdolcinate degne dei romanzi rosa. Non di rado, inoltre, la donna gli spediva anche cartoline raffiguranti coppie di innamorati.
In una di esse, inviata il 3 settembre 1940, giorno dell’onomastico di Gregorio e dei festeggiamenti in onore di San Gregorio, patrono di Manduria, era raffigurato in foto un roseto in bianco e nero, con in primo piano, in posa, due celebri volti del cinema italiano dell’epoca.Lei, Loredana, sedeva sulla spalliera di una panchina chiara; i capelli fluenti, mossi da onde naturali, incorniciavano il suo viso rivolto all’insù e leggermente reclinato verso il fidanzato. Indossava un elegante tailleur chiaro. Lui, il sex symbol di quegli anni, Amedeo Nazzari, vestito con un gessato scuro, la cingeva da tergo con un braccio, stringendole la vita. I due, avvinghiati, si osservavano sorridenti, con miele nello sguardo...
Nel ritaglio bianco superiore sinistra del cartoncino c’era scritto:
Lui… così uniti contempliamo le cose belle.
Nel ritaglio in basso a destra della cartolina: Lei… così uniti contempliamo oggi, sarà così domani e per sempre.
Sul retro della cartolina, una dedica: In ricorrenza del nome più caro della mia vita, invio i miei più cari auguri. Baci, tua Adele.
E l’insolito mittente: La sua donna, Adele Trombetti…
Walter Pasanisi
[[1]]L’aeroporto di Castel Benito era a 24.5 km a Sud di Tripoli e 3.75 km a Ovest da Quaser Bin Ghashir. L’aeroporto era prima della guerra utilizzato per l’addestramento delle truppe aviotrasportate e come principale aeroporto militare di Tripoli. Durante la guerra venne ampliamente utilizzato dalla Regia Aeronautica e dalla Luftwaffe come centro di arrivo per equipaggiamento e scorte. Difatti dal Marzo del 1941 al Gennaio 1943 per il controllo alleato del Mediterraneo e delle tempistiche di spedizione dall’ Italia, ogni 24 ore atterravano a Castel Benito da 25 a 50 aerei da trasporto. La pista era difesa da 11 flak posizionati nei vari lati.