domenica 04 maggio 2025


23/02/2025 10:35:16 - Manduria - Attualità

All’orizzonte, una leggera foschia aleggiava sull’acqua e su alcuni tratti della costa. A quell’ora del giorno la città appariva ancora intorpidita

La nave mercantile che riportava Gregorio in Italia salpò dal porto di Tripoli alle ore sette in punto. Quel mattino il mare era poco mosso e, già alba, i pescatori, prevedendo la bonaccia, avevano preso il largo con le loro imbarcazioni. Diversi gabbiani volavano a pelo d’acqua: alcuni sorvolavano il porto, mentre altri si posavano per pochi istanti sui pontili di calcestruzzo rovente, per poi riprendere il volo. Sul molo, squadre di soldati, fiaccati dalla calura, svuotavano di viveri e materiale bellico le stive dei mercantili appena approdati. Centinaia di barili di combustibile per autotrazione venivano caricati sui camion Fiat-SPA CL39 Autocarretta, tutti equipaggiati con filtri speciali per impedire che i finissimi granelli di sabbia grippassero i motori. I camion carichi ripartivano incolonnati per raggiungere i vari reparti militari. All’orizzonte, una leggera foschia aleggiava sull’acqua e su alcuni tratti della costa. A quell’ora del giorno la città appariva ancora intorpidita. Nelle vie del centro il traffico era modesto e, qua e là, si scorgevano passanti che procedevano con passo lento. La calura, già dalle prime ore dell’alba, era opprimente e solo in alcuni punti, ombreggiati dagli edifici e poco esposti al sole, si poteva godere di un minimo sollievo.

La rotta di collegamento tra le coste della Libia e quelle della penisola italica era costantemente pattugliata da navi e aerei nemici, rendendo la navigazione particolarmente pericolosa. Fin dall’inizio del conflitto, diversi navigli italiani erano stati individuati e affondati dalla Royal Navy e dall’aviazione della RAF. La Regia Marina, nota in Nord Africa come Marilibia, era piuttosto modesta e disponeva nei porti libici di poche unità navali, che durante la guerra non presero parte a missioni o scontri rilevanti contro le navi inglesi. La flottiglia italiana era impiegata esclusivamente per il servizio di scorta costiera a motozattere e velieri attrezzati per il trasporto di rifornimenti di ogni genere, soprattutto viveri e munizioni. L’utilizzo di navigli lenti si rivelava più sicuro e garantiva maggiori probabilità di consegna dei materiali nei porti libici.

Gregorio sperava di non tornare mai più in Africa, ma sapeva che non avrebbe rivisto i suoi commilitoni e che il loro distacco sarebbe stato doloroso. Il periodo trascorso a Tripoli non era stato particolarmente gravoso, se confrontato con quello vissuto da tanti soldati al fronte, ma la guerra semina morte e distruzione ovunque. Al momento della partenza, il conterraneo Giacomo, un esile contadino dal volto bruciato dal sole e segnato dalla fatica, stringendolo con forza, gli aveva affidato una richiesta: «Adesso che torni in Italia, Gregorio, avrai sicuramente l’occasione di trascorrere qualche giorno di licenza a Manduria. Quando passerai per Sava, vai a trovare mia moglie: dille che sto bene, che amo lei e i miei figli».

Nei volti di coloro che salutavano il partente si alternavano espressioni gioiose, smorzate dalla consapevolezza dell’addio, e sguardi malinconici, carichi di speranza per un futuro incontro sereno e cordiale. Vittorio, un brav’uomo toscano, il più giovane degli avieri, con occhi lucidi e guance glabre, disse con voce rotta dall’emozione: «Gregorio, sono felice per il tuo ritorno in patria. È difficile restare qui, ora che il conflitto ci travolge sempre di più. Chissà se riusciremo a sopravvivere e se, quando questa maledetta guerra finirà, avremo la possibilità di rivederci. Saluta la nostra gente, i nostri luoghi. In bocca al lupo, amico!».

«In bocca al lupo anche a voi. Sarete sempre nel mio cuore», rispose Gregorio con tono distensivo, mentre si dirigeva spedito verso l’uscio della porta.

Da qualche giorno, in Nord Africa era in corso la campagna d’Egitto, avviata nel mese di settembre dagli italiani, determinati a conquistare il canale di Suez e a sottrarlo agli inglesi. Forte di quasi 220.000 uomini, l’esercito italiano riuscì a sopraffare il nemico, che contava solo 40.000 uomini, ma disponeva di equipaggiamenti superiori e di una logistica più efficiente. Dopo i primi insuccessi britannici, enfatizzati dalla propaganda fascista, gli inglesi sferrarono un contrattacco con l’operazione Compass nel gennaio 1941, avanzando verso la Cirenaica e costringendo gli italiani a ripiegare.

 

Walter Pasanisi











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