«Pur nei limiti di vincoli e prescrizioni di vario genere, la proprietà è libera di disporne e infatti vediamo la Salina far bella mostra di sè sul sito di una agenzia immobiliare, inserita in un surreale progetto di trasformazione dei depositi in villa di lusso»
Riceviamo, e pubblichiamo, un comunicato di Archeoclub Manduria. Ecco il testo.
«I depositi del sale, facenti parte del complesso produttivo della Salina dei Monaci, si possono far risalire con buona probabilità al 1300: ce ne danno conferma le volte a botte cuspidata, tipiche di quell’epoca, su una delle quali fu, nel corso del ‘500, edificata la torre di avvistamento e difesa dalle incursioni piratesche.
Si tratta dunque di un bene estremamente significativo, che sarebbe oltremodo urgente preservare per tramandarlo alle future generazioni, quale testimonianza di un capitolo importante della nostra storia. Tutta una rete di rapporti economici, sociali e politici, infatti, fu intessuta intorno a quegli edifici, tanto da suscitare recentemente l’interesse del professor Antonio Monte, docente di Archeologia Industriale presso l’Università della Basilicata, con il quale Archeoclub collabora.
La Salina è un Bene che tutti noi Manduriani consideriamo in qualche modo “nostro”, ma che tale non è: essa è infatti proprietà privata, una condizione che condivide con le Mura e i Fossati messapici, che si trovano tra la ferrovia e la via per Lecce, e con il sito archeologico di “Li Castelli”. Pur nei limiti di vincoli e prescrizioni di vario genere, la proprietà è libera di disporne e infatti vediamo la Salina far bella mostra di sè sul sito di una agenzia immobiliare, inserita in un surreale progetto di trasformazione dei depositi in villa di lusso.
E’ evidente d’altronde che il privato non può farsi carico della conservazione e manutenzione di beni di simile imponenza e rilevanza, mentre le Amministrazioni pubbliche sono alle prese con bilanci risicati e orientate verso priorità di altro tipo, che non la loro acquisizione. Intanto la Torre cinquecentesca della Salina è crollata nel silenzio generale, le Mura fuori dal Parco degradano tra cumuli di rifiuti, della piccola città messapica di Castelli resta ben poco.
Come si esce da questo perverso circolo vizioso? Una società civile consapevole, un ceto produttivo illuminato, delle Amministrazioni e istituzioni pubbliche lungimiranti dovrebbero congiuntamente interrogarsi e studiare il modo per reperire risorse ed orientarle a interventi strutturali. Basterà infatti, a lungo termine, investire milioni nel rendere più funzionali le briciole?
L’Archeoclub propose anni fa la creazione di una Fondazione di partecipazione e per qualche tempo si lavorò con amministratori e imprenditori a realizzarla. Il progetto fallì e non è qui la sede per dire il perché, ci preme invece sottolineare che Fondazioni di tal genere si moltiplicano ovunque in Italia ed anche nel nostro Salento, a cominciare dalla città di Lecce. Forse qualcuno, leggendo queste righe, proverà la curiosità di capire di che cosa si tratta e di verificarne la fattibilità».