lunedì 23 settembre 2024


25/02/2012 08:56:20 - Maruggio - Attualità

«Il risultato è sotto gli occhi di tutti: si sono sprecati per l’ennesima volta ingenti finanziamenti pubblici, pagati dalla collettività, per una mega-struttura che non è mai servita a niente e che non potrà mai avere un futuro rispettoso e utile per la comunità locale»

 
PREMESSA
Sono passati ormai decenni dal progetto iniziale e successiva realizzazione dell’attuale porto turistico-peschereccio a Campomarino.
Prima di quella data (anni ‘70) esisteva già a Campomarino un vecchio molo.
Si trattava di una struttura completamente diversa da quella odierna, molto più piccola.
Niente a che vedere con una macro-attività di tipo turistico o di pesca.
Il litorale di Maruggio, trovandosi circa a metà strada tra il porto di Taranto e quello di Gallipoli, ha sempre subito un certo interesse strategico-militare: vedi la storia più remota del paese con le sue continue ricostruzioni, gli esempi delle torri napoleoniche, dei bunker tedeschi, della presenza antecedente della stessa Capitaneria di porto.
Di fatto, sia nella storia più remota o in quella più recente e presente, Maruggio non ha mai avuto una tangibile economia riferita alla pesca.
È realtà storica incontestabile che il paese non ha mai avuto una sola pescheria in pianta stabile (se si escludono pescherie che si sono affannosamente alternate per brevi periodi), e che soltanto sporadiche famiglie, nemmeno stabilmente, hanno trovato sostentamento economico nella pesca.
Si può tranquillamente asserire che, non solo l’iniziale progetto e la successiva realizzazione non corrispondevano alle esigenze-necessità della comunità di allora, ma anche che, l’esistenza del porto da svariati decenni non ha contribuito per niente ad incrementare una economia maruggese verso la pesca.
In verità, come è sempre stato, il mercato dei prodotti ittici nel paese è legato essenzialmente o all’attività di ambulanti oppure a rifornimenti diretti dei cittadini maruggesi nelle pescherie di Taranto o Porto Cesareo.
Ed allora ci si rìchiede, come tanti decenni fa, ma oggi a maggior ragione con esperienza storica, a cosa è servita questa mega-struttura, chi ne ha tratto veramente vantaggi? Sicuramente non la collettività maruggese, né direttamente né indirettamente, visto che il porto non ha contribuito sostanzialmente in tutto questo tempo a modificare positivamente l’economia locale.
Al contrario per quanto riguarda il territorio e l’ambiente (sia terrestre che marino), si può ragionevolmente affermare che il porto ha avuto (e continua ad avere) un sicuro impatto negativo.
 
REALTÀ ODIERNA
Attualmente il porto turistico-peschereccio di Campomarino si presenta sensibilmente diverso rispetto al progetto iniziale.
Numerose varianti sono intervenute, sia per quanto attiene le attività portuali, sia per le attività extraportuali che per niente erano rappresentate nel progetto iniziale.
Oggigiorno rimane anche difficile definire realmente cosa sia questa “grande opera”: non si sa più bene se parlare di porto, di pescherecci volutamente in estinzione, di turismo selvaggio, di ristorazione o di quant’altro potrebbe inventarsi l’attuale gestione.
Così con la scusa dei capitali che mancano, per il miglioramento dei servizi offerti, si è giustificato il solito ingresso del privato. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: si sono sprecati per l’ennesima volta ingenti finanziamenti pubblici, pagati dalla collettività, per una mega-struttura che non è mai servita a niente e che non potrà mai avere un futuro rispettoso e utile per la comunità locale.
E non poteva mancare la solita aggravante, sempre tutta tipica italiana; in questi ultimi anni i dubbi, i sospetti di chi è realmente detentore della gestione e della stessa proprietà del porto, si fanno sempre più cocenti: è il Comune o il privato?
Se la partecipazione pubblica diventa sempre più ridotta, allora chi dovrebbe accollarsi l’onere, per esempio, della manutenzione straordinaria? Chi ci ha perso sempre più quote societarie come il Comune o chi ci ha guadagnato sempre più come il privato?
Lo stesso dragaggio del porto (manutenzione straordinaria?) non può prescindere da una serie di considerazioni che vanno dalla necessità, dalle modalità e dalle finalità dell'opera stessa; in questo senso ci si chiede: il dragaggio è l'unico modo per ripulire il porto? Il dragaggio quale tipo di impatto ambientale può avere sull'area portuale? I campioni di arenile prelevati ed analizzati sono rappresentativi della salubrità dell’intero quantitativo di sedimento oggetto del dragaggio? Si può giustificare l'eventuale ripascimento di altre spiagge con sedimenti, potenzialmente contaminati, provenienti dal dragaggio? E se non dovesse esserci un ripascimento che fine farà questo materiale?
 
In tutte queste pseudo pastoie burocratiche e finti rimpalli di responsabilità il
 
Comitato Cittadino Antinucleare di Maruggio auspica
 
1.     che finalmente si attui la buona pratica del serio e responsabile coinvolgimento della comunità che, negata della necessaria informazione, ad oggi è completamente all’oscuro, anche ma non solo, delle difformità al progetto esecutivo delle opere inerenti la realizzazione del porto;
2.     che fino a quando non vi sia una riprogettazione dell’intera struttura, venga bloccata qualsiasi forma di finanziamento pubblico, perché questo sarebbe un ulteriore spreco di risorse collettive;
3.     nello stesso tempo che vengano ricercate le reali responsabilità pubbliche e non, con lo scopo di ripagare la collettività dei danni e dei torti subiti;
4.     che l’intero complesso ritorni ad essere di esclusiva competenza del Comune di Maruggio;
5.     che qualsiasi riprogettazione e riqualificazione del porto non potrà mai essere realizzata se questa non si misurerà con i reali bisogni della comunità e nel più totale rispetto dell’ambiente terrestre e marino.
 
Non si può più concepire che uno dei litorali più tipici e più belli del Salento, quale quello maruggese, sia continuamente calpestato e dilaniato da quel DIO CEMENTO che, al contrario della cultura rurale, non attira i turisti ma li fa scappare via.
E se per ribadire il concetto che gli sforzi e le risorse della cosa pubblica dovrebbero essere diretti innanzitutto per tutelare quella cultura e quella economia autoctona che ha fatto sviluppare sin dai tempi più remoti questo territorio, se per gridare ancora una volta che va prima di tutto tutelata quell’economia agricola strozzata in circa mezzo secolo da politiche esauste, inconsistenti, incapaci, coloniali, assistenzialiste, asservite agli interessi di pochi, … e se per tutto questo bisogna sperare o invocare uno TSUNAMI … e allora che il mare si riprenda con una sola onda tutto quello che gli è stato usurpato.
 
Comitato Cittadino Antinucleare Maruggio










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