lunedì 23 settembre 2024


16/04/2012 07:34:04 - Manduria - Politica

«Le mie dimissioni sono una denuncia di cose che, se pur penalmente non rilevanti, sono, quanto meno, eticamente inaccettabili»

 
«A distanza di circa un mese dalle mie dimissioni ho assistito sbigottito all’impudenza del trasformismo politico con cui si vogliono trasformare le mie dimissioni in una banale perdita di maggioranza.
Un recente comunicato del “coordinamento del Sel”, addirittura, parla di “sindaco defenestrato” e, poi, incoerentemente con quello che sostengono, cioè che io sia stato defenestrato, mi comparano al “comandante Schettino che abbandona la nave disinteressandosi delle conseguenze”.
 
Non può sfuggire a nessuno che la scelta di una dimissione in ambito politico rappresenti una assunzione di grossa responsabilità. Tante volte si invocano, a torto o a ragione, le dimissioni di qualcuno. Tante volte si dice che il politico è attaccato alle propria poltrona e, poi, una volta che vi sono delle dimissioni, non si vuole nemmeno riconoscere a chi le presenta, il merito o il demerito di averlo fatto.
A circa un mese di distanza dalle mie dimissioni, a fronte delle mie spiegazioni, vi è, ancora, chi trova utile ed importante presentare le mie dimissioni non come una mia ponderata, responsabile scelta, per il bene della città, bensì, come una azione di facciata.
Credo che ben più importanza assumerebbe la questione, dimissione o “defenestramento”, se fosse posta in termini coretti, cioè chiedersi se le dimissioni possono o meno essere funzionali al bene comune, se è opportuno che un politico, di fronte a situazione poco chiare, debba dimettersi o meno. Se è opportuno che un politico faccia finta di niente o deve necessariamente svelare che vi sono cose che, se pur penalmente non rilevanti, sono, quanto meno, eticamente inaccettabili.
Se è giusto, attraverso le proprie dimissioni, denunciare fatti, situazioni che non possono essere accettate e soggiaciute e che richiedono interventi o radicali modifiche nel modo di operare.
Io personalmente, nella mia esperienza politica, non ho mai avuto dubbi che, di fronte a situazioni di imbarazzante compromesso, un politico, che punta sulla propria onestà, sulla propria autonomia e sulla libertà, non debba far altro che dimettersi, denunciando le ragioni e magari, come atto di rispetto ai propri elettori, mostrandosi disponibile a revocarle, solo qualora le ragioni che le hanno determinate vengano meno.
Così ho fatto allorquando nella Amministrazione Calò fui nominato vicesindaco ed assessore all’Urbanistica, dimettendomi, appena un giorno dopo, perché ritenevo che i comportamenti assunti dal sindaco non fossero in linea con il mio modo di vedere. Avrei, naturalmente, ritirato le dimissioni se vi fosse stata, cosa che non ci fu, una presa di coscienza delle criticità da me sottolineate e la volontà di porre rimedi.
Mi sono, anche, dimesso allorquando, nella emergenza profughi, ho rilevato ingiuste le decisioni prese dal Governo, pretendendo che vi fosse una diversa sensibilità e rispetto per la città che rappresentavo come sindaco. Vi furono risposte adeguate e tempestive da parte del Governo, cosa che, ovviamente, mi fece ritirare le dimissioni.
Mi sono dimesso, infine, un mese addietro, perchè ritenevo che si dovesse far sapere con chiarezza le ragioni per cui avevo deciso di rinunciare alla maggioranza, chiarendo, anche, che le avrei ritirate solo se avessi avuto la disponibilità della minoranza per costruire un governo tecnico.
Personalmente credo di aver il diritto di essere giudicato per quello che ho fatto e non, invece, vedermi negato il diritto di aver scelto di dimettermi con il sotterfugio di una dimissione di massa. Vorrei, quindi, che i vari personaggi politici si esprimessero sulla opportunità, o meno, delle mie dimissioni, chiarendo la loro posizione, se cioè le mie dimissioni sono da considerarsi come un fatto positivo o negativo. Vorrei sapere se altri politici locali al mio posto avrebbero fatto lo stesso, o altro.
Mai come in questi giorni il tema delle dimissioni è attuale e fonte di grandi dibattiti sulla moralizzazione della politica.
Vi sono politici come Rutelli che, invece, di dimettersi, ha scelto di defilarsi dietro alla comoda giustificazione di non essersi accorto che circa 20 milioni di finanziamenti pubblici al suo partito avevano preso strade illecite.
Vi è stato Penati, accusato di aver preso delle tangenti, che ha pensato bene di non dimettersi.
Vi è Bossi che, travolto da una serie di miserabili appropriazioni indebite, riferibili alla sua famiglia, si è dimesso, pur dichiarando la sua estraneità ai fatti.
Vi sono politici come Vendola che non ha mai pensato di dimettersi, nè quando la sua Amministrazione ha assunto decisioni in pieno contrasto con quanto ha dichiarato lui stesso, come lo scarico a mare del depuratore di Manduria, né, tanto meno, quando vi sono gravissimi scandali che hanno interessato la sua Amministrazione, come quello della sanità, con l’assessore Tedesco, o come quello attuale, dove lo stesso Vendola è indagato per abuso di ufficio per interferenze in un concorso di primario ospedaliero.
Vi sono uomini politici, come il Sindaco Emiliano, che non pensa di dimettersi anche quando, magistrati come lui, indagano su personaggi dai quali ha ricevuto in regali vasche di pesci.
Mi rendo conto che, di fronte a questi diversi modi di concepire l’etica in politica, vi sia l’interesse di negare il significato delle mie dimissioni, correndo ai ripari con la farsa delle “dimissioni di massa”.
Oggi, però, perché queste dimissioni di massa assumano un minimo valore politico, si deve dimostrare che nascono, non già dalla mia decisione di interrompere ogni rapporto con il gruppo Gai, perdendo, così, la maggioranza, bensì, invece, da un progetto politico, etico ed utile per la città, che accomuna tutti i firmatari.
Se così è, allora, bisogna assumersi la responsabilità di condividere le scelte fatte di mettere in crisi una Amministrazione solo perché vi sono stati dei ricatti, solo perché si perseguiva l’interesse personale a discapito di quello sociale.
La minoranza deve spiegare se crede o meno che a Manduria, sia nella mia Amministrazione che in altre Amministrazione, vi sia il problema morale del ricatto dei consiglieri. Se crede questo, come può la minoranza spiegare il motivo per cui ha scelto, invece che accettare la responsabilità di un governo tecnico, di utilizzare i consiglieri del Gai per inscenare una dimissione di massa?
Comunque sia, a prescindere da queste domande che io pongo, vi sono fatti ed avvenimenti inequivocabili, che non possono prestarsi alla manipolazione e alla strumentalizzazione politica.
I giornali locali hanno fotografato i fatti avvenuti nel corso della settimana precedente alla mie dimissioni, per cui, basta leggere gli articoli pubblicati in quei giorni per avere una oggettiva comprensione dell’evoluzione dei fatti.
Tutto parte da quando il gruppo Gai comunica di aver acquisito un nuovo consigliere, Piero Attanasio, per cui produce una richiesta scritta in cui si chiede, alla luce di tali nuovi equilibri, di azzerare la giunta e di rivedere la nomina del presidente del Consiglio. In questo scritto che, naturalmente, conservo a testimonianza di quanto dico, è specificato che i tre consiglieri nulla hanno a che eccepire sulla figura e sull’operato del sindaco.
Esprimo la mia disponibilità che vi siano incontri tra i partiti per individuare nuovi assetti ed equilibri nel seno della maggioranza, specificando che non avrei accettato nessuna azzeramento di giunta, o altro, se non vi fossero state concrete proposte migliorative, scaturite sull’accordo dei partiti di maggioranza, chiedendo, comunque, che venisse data la precedenza all’organizzazione della fiera, che ricadeva proprio sull’assessorato del gruppo Gai.
Dopo aver firmato la determina sindacale per la nomina dei dirigenti, vi è stata una forte pressione da parte del gruppo Gai che chiedeva, senza mezzi termini, di volere entrare nel merito della nomina dei dirigenti, nella nomina del nucleo di valutazione, oltre che di veder riconosciuto un maggior peso nella giunta, richiedendo l’assessorato ai Lavori Pubblici.
Vi fu una prima riunione, giovedì sera 8 marzo, con i rappresentanti di partito e i capi gruppi di maggioranza, quindi si fissò, come ulteriore appuntamento, il martedì seguente, 14 marzo.
Alla luce delle richieste poste, dei comportamenti irresponsabili, della totale inaffidabilità si decise di mettere fuori dalla maggioranza questi consiglieri, maturando, come unica soluzione, la necessità di trovare una maggioranza salda attraverso l’apertura a nuove forze della minoranza.
Queste mie personali posizioni trovarono l’unanime consenso di tutti i partiti di maggioranza, per cui iniziai personalmente ad avere uno scambio di idee con consiglieri della minoranza che sembravano consapevoli delle problematiche che attanagliavano la nostra città e della opportunità di avviare un discorso per un governo tecnico di salute pubblica per Manduria.
Su tale orientamento rilasciai delle interviste, in cui dichiaravo l’inaffidabilità dei consiglieri Gai e l’apertura a sinistra.
Per queste ragioni, ovviamente, la riunione del 13 sera, tra maggioranza e gruppo Gai, non si tenne, per cui fu ufficializzata la nostra posizione nei confronti del gruppo Gai ritenuto all’unanimità non più parte della maggioranza.
Le mie dimissioni di giovedì mattina rappresentano, quindi, il passo formale successivo, coerente e necessario, rispetto alla decisione di chiudere ogni rapporto con quei consiglieri che, per il loro comportamento, erano stati giudicati indegni di continuare ad essere ancora in maggioranza, e alla decisione di creare, invece, un governo tecnico per la città.
Queste sono le vere ragioni delle mie dimissioni che volevano essere una importante occasione per Manduria, non solo per porre fine ad un consueto e immorale modo di amministrare, ma, soprattutto, avrebbero permesso di rilanciare un nuovo modo di far politica per Manduria, invitando i consiglieri di buona volontà e di responsabilità della minoranza a creare, tutti insieme, una guida stabile per la nostra città, senza divisioni personali o ideologiche, nel solo intento di fare il bene comune e di arginare, una volta per tutte, il malcostume ed il ricatto dilagante nella amministrazione pubblica.
Avrei voluto, insomma, che il particolare scenario caratterizzato dalla indagine della Dia ci mettesse in guardia su come una debole e traballante Amministrazione, senza un coerente ed etico indirizzo politico, è facile preda della criminalità organizzata.
Questi fatti avrebbero dovuto imporre, non solo a noi forza di governo, ma anche all’opposizione, una maggiore responsabilità, comprendendo lo sforzo e la genuina volontà di cambiamento che ci aveva portato, vista la grave situazione, a rinunziare a cariche e poltrone per poter creare le condizioni di una trasparente e democratica collaborazione tra tutte le forze politiche, dando alla città la prova che, finalmente, si poteva governare non sottostando a ricatti.
Tutto questo non è stato possibile e lo dico ancora una volta, solo ed esclusivamente per la volontà della opposizione che, di fronte alla mia dimissione e la mia apertura nei loro confronti, ha risposto con la farsa della raccolta delle firme, accomunandosi con coloro i quali erano stati giudicati da me indegni di essere forze di governo.
Ho l’obbligo di chiarire, soprattutto con i mie elettori, di non aver tradito il mandato elettorale, gettando la spugna di fronte a pur gravi difficoltà, al contrario, con le mie dimissioni ho lanciato il messaggio alle forze di opposizione per creare un governo tecnico di salute pubblica per Manduria, unico sistema per poter far fronte politicamente ad una grave condizione di degrado morale in cui versa il paese. Oggi la responsabilità ricade su chi non ha consentito tutto questo e, quindi, se vi sono comportamenti irresponsabili, comparabili con quello del Comandante Schettino, sono solo quelli di tutti i consiglieri di minoranza».
 
Paolo Tommasino










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