domenica 22 settembre 2024


17/10/2012 07:42:00 - Salento - Politica

Ma non è solo D’Alema nelle condizioni di essere “rottamato”

 
Sotto a chi tocca. Il passo indietro di Walter Veltroni, che rinuncerà allo scranno parlamentare rimanendo ovviamente disponibile per altri incarichi, ha immediatamente rilanciato la caccia ai «dinosauri» del Pd.
Perché se lo fa Walter, il «fondatore», chi sono gli altri per rimanere aggrappati alle loro poltrone? Domanda che potrebbe apparire corretta ma che, dalle parti del Pd, si trasforma immediatamente in un puro esercizio accademico.
Non tutti i «vecchi», infatti, sono uguali. Ci sono «risorse» da preservare, personalità che non possono essere semplicisticamente «rottamate». C’è il limite statutario dei tre mandati (intesi come 15 anni) di attività, ma anche la possibilità di derogare da parte del segretario. E poi c’è Matteo Renzi, il ragazzino «spocchioso» che spara alzo zero contro tutto e tutti. Non ci si può arrendere senza combattere. Così, mentre c’è chi segue (o in alcuni casi ha anticipato) il gesto di Veltroni, altri sfidano a viso aperto chi li vorrebbe in «pensione».
Partiamo dai primi. Tra chi ha annunciato il ritiro figurano l’ultimo segretario del Ppi Pierluigi Castagnetti (18 anni in Parlamento) e lo storico tesoriere dei Ds Ugo Sposetti che, eletto per la prima volta al Senato nel 1987, è pronto a fare il «nonno» («se mia figlia vorrà»).
Anche Arturo Parisi ha fatto un passo indietro (è a Montecitorio dal 1996), così come Gerardo D'Ambrosio, Paolo Giaretta e Tiziano Treu. Rispettivamente 6, 16 e ancora 16 anni di onorata carriera parlamentare.
Giovanna Melandri, in Parlamento dal 1994, ha annunciato nei giorni scorsi il suo nuovo impegno: si occuperà della Fondazione Uman. Chiarendo subito che il suo non è «un addio alla politica» ma «ne è la più completa realizzazione». Nella prossima legislatura quasi sicuramente non la si rivedrà in Transatlantico.
La lista degli addii, in attesa di nuove e convinte adesioni, finisce grosso modo qui. Perché anche altri hanno fatto intravedere l’intenzione di concedersi il meritato riposo, ma per ora resistono. È il caso di Livia Turco, 7 legislature alle spalle, che, ospite di TgCom24, ha spiegato di aver già deciso di mollare un anno fa, ma «la campagna di Renzi mi ha fatto combattere per dire no alla rottamazione. Scelte come quella di Veltroni maturano nell’interiorità e non perché qualcuno urla da fuori».
Di certo le «urla» del sindaco di Firenze hanno chiamato alla battaglia tanti senior del Pd. Da Rosy Bindi, ad Anna Finocchiaro, passando per Franco Marini.
Ma il vero simbolo, il «nemico» numero uno di Matteo, è senza dubbio Massimo D'Alema. Il lìder Maximo, 63 anni, di cui 25 trascorsi nei Parlamenti di Italia e Europa, ieri ha lanciato ancora una volta il guanto di sfida:
«Avevo detto a Bersani che non volevo candidarmi, ma ora difendo la dignità di una storia. Sono impegnato a mettere un argine a questa ondata e poi posso anche andarmene tranquillo. L’idea che ci sia un gruppo di oligarchi che si devono togliere di mezzo è un'evidente distorsione».
Insomma, quella di Baffino è una missione. Per questo rimette nelle mani del partito e del segretario la decisione su una sua candidatura:
«Non mi sono mai candidato, le candidature le fa il Pd. La mia disposizione è a non candidarmi. Semmai posso candidarmi se il partito mi chiede di farlo».
«È giusto il ricambio - prosegue -, e sarà promosso largamente, è il Pd che deve decidere se ci sono personalità che è opportuno che restino, derogando al regolamento. In un Parlamento dove torneranno Berlusconi, Dell’Utri e Cicchitto, pensare che il rinnovamento consista nell’eliminare il gruppo dirigente del Pd è una visione un po' faziosa». Ora la palla è nelle mani del «partito».
Sempre l’altro ieri, sull’Unità, è apparso un elenco di 700 firme a «difesa» di D’Alema. «Le ragioni del mio impegno politico sono rafforzate dal sostegno e dalla solidarietà di centinaia di intellettuali, sindaci e accademici - ha sottolineato Baffino -. Come vedete io sono stato difeso dagli attacchi di Renzi dai sindaci, dai rettori e dagli elettori: sono loro che mi difendono».
 Peccato che tra i 700 firmatari ci sia Antonio Placido, sindaco di Rionero in Vulture (Pz), che un po' stupefatto dichiara:
«Vorrei chiarire che sono inequivocabilmente schierato con Nichi Vendola e, pertanto, non sottoscrivo alcun appello che possa in misura anche minima, rendere confuso il mio sostegno alla sua candidatura».
Poco male, D’Alema perde un difensore, ma può consolarsi con le parole dell'ex ministro Pdl Gianfranco Rotondi:
«È vergognoso che il Pd esponga uno statista come D’Alema a giustificare un’eventuale candidatura che dovrebbe essere un patrimonio della politica e di tutto il Parlamento».
Che si tratti di un’altra pugnalata?










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