sabato 28 settembre 2024


24/12/2015 17:50:08 - Manduria - Attualità

L’incredibile terapia medica del col. Calcagni. Ma il ciclismo, la sua passione, è la medicina più importante per il suo corpo e per la sua mente

«La mia giornata comincia alle 6.30 del mattino, quando mi sottopongo ad un cocktail di vaccini, 5 per la precisione. Nel mio corpo inietto 125 sostanze. Complessivamente, ogni giorno, ingerisco circa 300 compresse e mi sottopongo a 7 iniezioni di immunoterapia a basso dosaggio. Devo affrontare 18 ore al giorno di ossigeno terapia per una gravissima ipossia dei tessuti, altre due ore di ossigenoterapia in camera iperbarica, altre 4-5 ore di flebo».
E’ questa la terapia giornaliera di Carlo Calcagni. Per tanti medici, la reazione del suo organismo è straordinariamente miracolosa. Il colonnello salentino dimostra di avere una tempra solidissima, quasi certamente forgiata dalla sua passione: il ciclismo: ha vinto tantissime gare prima di ammalarsi, con distacchi elevatissimi (15 titoli di Campione Italiano e 3 di Campione del Mondo, oltre a tantissime gare internazionali riservati agli amatori), continua a vincere adesso nelle gare per atleti con disabilità: ha vinto le due prove di Coppa del Mondo che si sono disputate in Italia e continua a fare incetta di titoli tricolori. Non ha insomma avversari. Anche se corre e si allena con l’ossigenatore portatile: ogni imprevisto potrebbe essere letale.
«E’ stato dimostrati che questa mia passione diventa medicina per il corpo, ma anche per la mente. E’ più efficace di qualunque altro depressivo».
Un paio di settimane fa Calcagni ha partecipato ad un raduno della nazionale italiana paralimpica di ciclismo a Montichiari. Ha già pronto il programma di allenamenti e di prove da disputare (fra queste anche una gara in Florida), per raggiungere il sogno della sua vita: le paralimpiadi di Rio de Janeiro del 2016.
«Senza un obiettivo non potrei sopportare tanto dolore. Le medicine mi fanno sopravvivere, ma è la bici che mi mantiene in vita» la sua dichiarazione in un’intervista rilasciata al quotidiano sportivo più diffuso in Italia. «In questi anni ho avuto una certa visibilità, ho promesso che avrei continuato a lottare anche per tutti quei miei commilitoni che sono morti nel silenzio e nella solitudine. Mi hanno chiamato eroe: ma lo hanno fatto le persone comuni. Mi hanno dato il premio Pino Puglisi con la motivazione “Donarsi agli altri senza mai nulla chiedere”. Mentre chi doveva darmi un riconoscimento, fosse stata anche solo una medaglia di cartone, non si è fatto vivo. Forse solo perché noi siamo tornati a casa con le nostre gambe e non in una bara di legno, come è accaduto ad altri militari. Forse è stata questa la nostra colpa».










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