mercoledì 25 settembre 2024


24/03/2017 09:44:26 - Salento - Attualità

La situazione in Puglia è critica a dir poco: rischiano di andare in piano di rientro per scarsa qualità Cerignola, Andria, Barletta, San Paolo, Di Venere, Altamura, Monopoli, SS. Annunziata, Castellaneta, Martina, Manduria, Brindisi, Francavilla, Ostuni, “Fazzi”, Gallipoli, Copertino e Casarano

Nel punto nascita di Francavilla Fontana il 68% dei parti avvengono con taglio cesareo, un dato tra i peggiori d’Italia. Al «Di Venere» di Bari, la mortalità a 30 giorni per l’ictus ischemico è pari a un caso su cinque. E non parliamo di fratture del femore: a Barletta la percentuale di pazienti trattati entro 48 ore, il minimo per un paese civile, è appena dell’8%. I numeri come sempre non mentono, e quelli del Programma nazionale esiti, che fotografa lo stato della sanità attraverso l’esame delle schede di dimissione ospedaliera, mostrano una Puglia con pochissime luci e molte ombre. Anche perché le «eccellenze», che pure ci sono, sembrano essere legate all’impegno dei singoli medici piuttosto che a uno sforzo di sistema.
I dati del programma 2016 (riferiti all’anno precedente) sono stati presentati ieri, all’Oncologico di Bari, dall’Agenas (l’agenzia del ministero della Salute) e dal commissario straordinario dell’Aress Puglia, Giovanni Gorgoni.
«La situazione - ha spiegato Marina Davoli, responsabile nazionale del Pne - vede in Puglia un numero di cesari primari ancora molto elevato, fratture di femore al di sotto degli standard, così come le degenze postoperatorie della colecistectomia». Tre parametri su cui, rispetto allo scorso anno, i miglioramenti sono decisamente pochi. Ma per i tagli cesarei relativi al primo figlio non si può fare a meno di notare che gli enti ecclesiastici, Tricase e Miulli, hanno percentuali da clinica privata settentrionale, così come il «Dimiccoli» di Barletta. Stesso discorso per le fratture del femore a «Di Venere» e Castellaneta (che trattano rispettivamente il 90% e il 78% dei casi entro le 48 ore), e per la mortalità a 30 giorni per l’ictus ischemico di Policlinico di Bari, Miulli (10%) e Monopoli (8%).
Dai numeri emerge, salvo eccezioni, la situazione critica dei piccoli ospedali. Ma anche di quelli come Altamura, dove solo una colecistectomia su tre viene trattata con ricovero inferiore a tre giorni (la media regionale è doppia) e dove la mortalità per infarto del miocardio è al 14% (la peggiore della provincia).
«Il sistema del Pne e quello dei costi standard che sarà presentato a breve - ha spiegato Gorgoni - rappresentano le metodologie con cui la Regione intende riqualificare la rete ospedaliera. I dati mostrano una estrema variabilità delle performance, pur a parità di carenze di organico». Il riferimento è a «eccellenze» (i femori di Castellaneta, ad esempio) ottenuti in situazioni di quasi emergenza. «Segno - secondo Gorgoni - che conta l’organizzazione dei servizi e la cultura professionale, prima ancora della quantità di operatori».
E del resto, i risultati del Pne incideranno sugli imminenti piani di rientro dei singoli ospedali. La norma impone il piano di rientro per tutte le strutture che hanno più del 15% di livelli di qualità classificati «molto basso» o più del 33% «basso». E con questa chiave di lettura, la situazione in Puglia è critica a dir poco: andranno in piano di rientro per scarsa qualità Cerignola, Andria, Barletta, San Paolo, Di Venere, Altamura, Monopoli, Ss. Annunziata, Castellaneta, Martina, Manduria, Brindisi, Francavilla, Ostuni, «Fazzi», Gallipoli, Copertino e Casarano. I pochi ospedali che si salvano per la qualità andranno in piano di rientro per deficit.










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