mercoledì 25 settembre 2024


05/05/2017 11:27:31 - Salento - Attualità

 Ecco la lettera aperta che il campione Calcagni ha inviato all’Anmic

“Gent.mi responsabili ANMIC Lecce,

è con rammarico che apprendo, solo oggi e attraverso la stampa locale, del convegno "Disabilità e Sport" da voi organizzato presso il Castello Carlo V il prossimo 5 maggio.

Sono il Colonnello al Ruolo d'Onore Carlo Calcagni; dal 2007 mi è stata riconosciuta un'invalidità al 100% in seguito a pluripatologie da contaminazione da uranio impoverito, contratta nel 1996 in corso di missione di pace "MEDEVAC" in Bosnia, durante la quale ho assolto al ruolo di pilota soccorritore, unico del primo contingente italiano. In ragione di tali problematiche sanitarie contratte nell'espletamento delle mie mansioni professionali ho ricevuto la concessione del distintivo d'onore di ferito in servizio, prima, e successivamente anche il distintivo d'onore di mutilato in servizio.

Dal 2002, epoca in cui ho iniziato ad avvertire i primi segnali della malattia, ad oggi le mie condizioni organiche sono progressivamente peggiorate, sino alla compromissione di numerosi organi ed apparati. Soltanto per fare riferimento agli ultimi approfondimenti medici, lo scorso anno la patologia neurologica degenerativa da cui sono affetto da tempo ha trovato collocazione diagnostica in un Parkinsonismo.

Eppure, nonostante le cure quotidiane e le limitazioni sempre più pesanti che la malattia mi impone, proprio lo sport mi ha consentito in questi anni di sostenere sacrifici e continuare a combattere battaglie in un modo che altrimenti mi sarebbe stato impossibile. Già più volte campione di ciclismo su strada prima di ammalarmi, ho mantenuto gli impegni sportivi anche e forse in maniera ancora più motivata dopo la diagnosi di una malattia infausta ed il riconoscimento della massima invalidità.

Ciò mi ha permesso di conseguire negli ultimi anni titoli nazionali ed internazionali, di essere convocato in Nazionale Italiana Ciclismo Paralimpico e di far parte dal 2014 del Gruppo Sportivo Paralimpico della Difesa. Proprio lo scorso anno, nel maggio 2016, ho conquistato, come membro del GSPD, ben tre medaglie d'oro nella competizione internazionale Invictus Games tenutasi ad Orlando (Florida). E tutto ciò a fronte di problematiche sanitarie rilevanti, come documentato dai referti dei medici che mi hanno in cura.

Purtroppo oltre alle quotidiane difficoltà legate alla patologia e ai trattamenti necessari per sopravvivere, mi trovo tutt'oggi ad affrontare problemi di ordine burocratico-amministrativo. Difficile comprendere come sia possibile che un uomo, riconosciuto dallo Stato "invalido al 100%", nonché "mutilato", e "mutilato in servizio" non debba essere considerato alla pari di chi una mutilazione ce l'ha, visibile e chiara a tutti come "perdita" o "mancanza".

La mia mutilazione non è visibile, almeno ad uno sguardo superficiale, ma credo possieda la stessa dignità delle altre, se non maggiore, implicando non solo una compromissione delle funzioni e delle abilità residue, ma un loro progressivo deterioramento, nell'assoluta impossibilità di una restituito ad integrum.

Difficile comprendere il motivo per cui ad un atleta, ad un uomo oggi invalido per ragioni di servizio, ma ancora "diversamente" atleta, non possa essere riconosciuto il diritto di accedere senza difficoltà allo sport per disabili, tanto più che anche nella pratica dello sport paralimpico ha dato onore e vanto alla propria Nazione, anche in ambito internazionale.

Credo fortemente, sperimentandolo ogni giorno sulla mia pelle ormai da anni, che lo sport riesce ad essere quella spinta che consente di tenere vivo l'amore per la vita, anche quando non vi sarebbero spiragli di speranza, la fonte di energia per sopravvivere ad una quotidianità che altrimenti sarebbe solo sofferenza, la carica per reinventare se stessi e il proprio mondo sotto una nuova luce.

Per queste ragioni mi avrebbe fatto piacere poter prendere parte all'evento di venerdì prossimo, poiché la testimonianza di un "riscatto" parla più di mille discorsi e perché al rispetto verso la malattia si accede attraverso l'accoglienza di storie tra loro diverse ma parimenti degne di essere raccontate.

Io sono un esempio di VITA per tantissimi e continuerò ad esserlo fino all'ultimo respiro, anche senza la Vostra considerazione”.

Carlo Calcagni











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