lunedì 30 settembre 2024


27/12/2009 11:24:25 - Manduria - Attualità

Il fascino indiscreto della normalità.....

Lo aveva intuito anche lui ed ha fatto in modo che da quel momento in poi restasse una grande finestra sul tempo, che fosse contenuto in una mano, o che occupasse un’intera stanza, una cittadina o il mondo intero poco importava. E si, la magia del Natale rivive nel più regale ed autoreferenziale dei suoi simboli: il presepe o presepio, per dirlo alla latina, che in questo periodo avvicina grandi e piccini, giovani ed anziani, lontani e vicini in un'unica e irripetibile corale devozione che forse rende più abitabile il nostro mondo.
Forse era questo ciò a cui pensava San Francesco, dare all’uomo un momento di riflessione, quando in quel lontano 1223, decise di realizzare a Greccio il primo presepe vivente della storia, sopra un fazzoletto di terra incendiato da un tizzone, lanciato da un bambino su volontà di un anziano signorotto desideroso di assistere alla rappresentazione della Natività non lontano da casa sua. Da allora certo molte cose sono cambiate, sicuramente non si può disporre di un pezzo di terra con tanta facilità, tanto meno si può convogliare una tale quantità di gente senza i dovuti permessi di una tutt’altro che snella burocrazia, o finanche disporre a buon mercato del prezioso tempo dell’ultimo individuo di questo mondo, o permettere che la Madonna si prenda il lusso di partorire da sola scongiurando il pericolo di un ennesimo episodio di malasanità.
Una cosa è certa la sua felice intuizione, frutto di profetico spirito, consente a ciascuno una sosta di riflessione davanti ad un recinto, persi nella contemplazione del bambino più sfortunato del mondo, secondo il nostro umano criterio di pensare le cose, liberi dalla possibilità di una pronta accusa di pedofilia gridata da uno sconosciuto in cerca del suo momento di gloria, che al freddo ed al gelo usufruisce di fonti di riscaldamento ecocompatibili, tra una mamma ed un papà finalmente presenti desiderosi di fare il loro mestiere senza pretendere di delegare nessun altro.
Sorprende, infatti, la commozione dell’uomo dinnanzi alla povertà del presepe, stanco com’è di aggiungere invece di togliere, diviso tra l’impossibilità di rispondere alle domande impertinenti del bambino che si meraviglia che Gesù  possa vivere senza un cellulare o una play station, e l’immancabile tormento di chiedere a sè stessi almeno per un nano secondo: “Ma che fine abbiamo fatto e dove stiamo andando, se si può ugualmente essere felici con sobrietà?”.
Che poi questa riflessione duri quanto un gatto sulla tangenziale poco importa. L’importante è esserci stati e l’avere fatto la fila ci rinfranca da qualche peccatuccio di coscienza, messo in questo modo da parte per far posto agli altri nuovi di zecca. La povertà della grotta, segno biblico per antonomasia, modello senza tempo per ogni generazione, nucleo monotematico di una famiglia non allargata in cui ci sono una sola mamma ed un solo papà, elogio della normalità in cui ogni cosa è al suo posto e non pretende di essere altrimenti, parla al di là di qualsiasi interprete, richiamando ogni essere umano, dall’anonimo angolino della propria casa, come dalla piazza più illustre, ad agire con giudizio, mettendo dei paletti, e lasciando le cose al proprio posto, le stesse strappate al pubblico gridato ed ostentato, argomento di discussione in salotti televisivi popolati da esperti o pseudo ritenuti tali, che snocciolano sapienza mista a psicologia da fenomeno mediatico altrimenti oggetto di analisi di contesti di maggiore contemplazione, che paradossalmente la Sacra Famiglia riesce a tenere per sé solo con un recinto, evitando di ricorrere a comunicati stampa per rivendicare un  ragionevole diritto alla privacy.
Doveva essere dunque l’ennesimo miracolo di San Francesco, santo per amore e non per le apparizioni scenografiche dell’agiografia, a ricordarci che può essere Natale ogni giorno.
Anche Manduria, come qualsiasi altro posto al mondo, ha avuto i suoi presepi viventi, ben tre, sparsi in più punti del nostro comune, tra citazioni storiche acquisite ormai di fatto e interpretazioni folcloristiche azzardate, diretta proiezione di un modo semplice di vedere le cose tipico di realtà contadine che, grazie al cielo, ancora resistono, e che ci consentono ogni anno una revisione del nostro stile di vita.
Mentre perciò tutto passa e scorre, rimane la consolazione che sia un privilegio fermare il tempo almeno per una volta per consentire a quella necessaria pausa condivisa in modo corale tra la folla assiepata all’ingresso di vecchi bastioni di riappropriarsi di quell’ardente bisogno di autenticità di cui siamo tutti bisognosi.

Mimmo Palummieri










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