lunedì 30 settembre 2024


10/06/2010 07:07:27 - Manduria - Attualità

Genitori vs figli

 
Rispetto al passato, rispetto ai “vecchi tempi”, quelli in cui i genitori comandavano i propri figli a bacchetta, oggi la società sta cambiando sempre di più, anche nelle piccole cose.
Cinquant’anni fa si obbediva senza discutere e tutti i ragazzi ricevevano una dura educazione. Il divertimento lo si trovava per strada, dove molti si ritrovavano a scontrarsi fisicamente l’uno contro l’altro durante il gioco: lo scontro era parte fondamentale di esso, e serviva soprattutto per tirare fuori il carattere; inoltre, attraverso il contatto fisico, scaricavano la rabbia e lo stress dovuti alla dura educazione cui erano sottoposti.
Si parla di altri tempi, certo, quando un banale raffreddore poteva essere visto anche come qualcosa di molto grave; eppure, dietro a questi sani ma rigidi metodi di educazione, venivano fuori veri uomini e vere donne, al contrario di quanto accade oggi.
I nostri genitori, essendo iniziata negli anni Sessanta una costante degenerazione relativa al livello demografico italiano in generale (si parla di un figlio e mezzo di media a famiglia), avvertono un forte attaccamento nei confronti dei propri figli, sentendosi quasi in dovere di provvedere ad ogni loro esigenza.
Molti ragazzi, specie se figli unici, vengono riempiti di mille attenzioni. Ma se il ragazzo dovesse cominciare a sentirsi trascurato potrebbero riscontrarsi problemi nella sua formazione caratteriale ed educativa, lasciando spazio alla ribellione. Non bisogna comunque esagerare ed è compito del genitore saper ponderare al meglio le cose.
Il più comune errore tra i ragazzi è sempre e solo quello di preferire il risultato facile al difficile, ma la strada più facile, per quanto priva di ostacoli e difficoltà , è sempre quella sbagliata. E’ facile scegliere di andare male a scuola, di abbandonarsi al piacere di una sigaretta nonostante si sappia quanto essa possa nuocere alla nostra salute, prendersela con chi è più piccolo e più indifeso di noi; è facile “gettare la spugna” nelle situazioni difficili, rifugiarsi nella protezione dei nostri cari solo quando lo riteniamo un bisogno. Con gli ostacoli è diverso, si passano in maniera radente, sfiorandoli appena; a volte sembra più facile romperli e quando si cerca di superarli saltando troppo in alto, per paura di cadere si rischia di perdere velocità e quindi di lasciarsi sorpassare: perdere la gara.
Ma a comportarsi così non ci vuole niente, anzi: è più facile infilare alla svelta un paio di pantaloni cascanti che annodare una cravatta quasi tutti i giorni. Ma come combattere la parte “ribelle” di certi ragazzi?
A volte capita che un genitore dia troppo al proprio figlio, soprattutto nei casi in cui vengono riscontrati particolari problemi in famiglia (separazioni per esempio), col rischio di viziarlo e questo è un male, perchè se vizi un ragazzo, in realtà lo stai derubando.
Quando un genitore dice sempre di si ad ogni richiesta del proprio figlio, anche della più assurda, in quel momento non fa altro che indebolirlo, gli spiana le strade più facili per cadere nel vizio. Chi cade nel vizio è un uomo debole, non forte: è colui che non sa tener testa alle tentazioni. Non è, quindi, un uomo virtuoso. L’uomo virtuoso è quello forte, capace di resistere.
Dunque, se vizi un ragazzo, lo stai derubando di virtù. Non ci si deve sorprendere se poi, di fronte alla domanda “Vuoi provare una sigaretta?” in tanti rispondano di si. Questo gesto, tanto semplice quanto dannoso per la salute, è spesso sottovalutato dalla maggior parte dei ragazzi, che non debbono nemmeno più scontrarsi con il rimprovero severo di tanti genitori, sempre più trincerati dietro ad ipocriti buonismi: i ragazzi vanno capiti, vanno assecondati, crescono e l’assenza di stimoli e di difficoltà fa sé che questi vogliano “sentirsi grandi” da subito, eccedere e strafare.
Sbagliare, poi, quando non si può tornare indietro. Ma non c’è fretta per essere grandi. Non sono le cose sbagliate o illegali quelli che danno forza, anzi, è esattamente il contrario! E’ forte chi tiene testa alle dipendenze dalle cose sbagliate, chi ha il buon senso di optare per le scelte migliori, chi ha il Grillo Parlante dentro di sè che lo indirizzi bene, sempre. Pinocchio ha sempre sbagliato. La sua ignoranza da burattino con una legnosa testa vuota lo portava perennemente ad errare: pensava sempre di poter
risolvere tutto andando alla ricerca della scorciatoia migliore. Peccato che finiva sempre col peggiorare le cose e quando se ne rendeva conto era sempre troppo tardi. Che colpa ne aveva, povero burattino. Era testardo, disubbidiente, ma nella sua innocenza di “bambino” cercava il bene pur scegliendo il male. Solo alla fine ha capito: per trovare il bene, bisogna cercare in esso. E il bene, proprio perchè superiore, comporta un cammino lungo e difficile.
Chi sceglie di percorrere la strada del bene, alla fine trova solo una cosa: la virtù, base della saggezza, base delle relazioni più importanti che giocano con i sentimenti umani, quali, ad esempio, l’amicizia. Ma quale ruolo ha, a questo punto il genitore di un novello Pinocchio?
Di certo non il ruolo di Geppetto, che, pur essendo molto premuroso, comunque non riesce ad indirizzare bene Pinocchio: gli dà solo la forza di superare gli ostacoli finali attraverso la forza dell’amore che lo lega a lui.
La Fata Turchina. Questo sarebbe il ruolo perfetto: seguire il proprio Pinocchio sempre, ma lasciandogli fare la propria strada da solo, fargli vivere l’errore per poi spiegargli la soluzione, il modo per rimediare. Essa è stata sempre presente nella vita del burattino e, nei momenti più difficili, in cui si pensava fosse sparita per sempre, eccola la a ricomparire, pronta per prenderlo per mano, ancora una volta, rimetterlo in piedi, insegnarli a correre, ma lasciandolo cadere, perché è in quel momento che bisogna avere i riflessi abbastanza svegli per tendere la mani e “spingere via il terreno sotto di noia”, ruotare tra petto, spalla e schiena e poi rialzarsi all’istante per tornare a correre, senza fermarsi.
I figli sanno essere la peggiore arma: ti trafiggono quando meno te l’aspetti.
Quante volte Pinocchio ha promesso alla Fata Turchina di non disubbidire; quante volte avrà detto: “Voglio diventare un bambino vero. Un bambino vero. E lo diventerò facendo il bravo, io farò, io sarò”.
Ma quante volte, nonostante tutte queste promesse, la Fatina l’ha visto passeggiare col primo Gatto o con la prima Volpe passante per strada? E così ha scelto di fare il ribelle
burattino?
Ha preferito sotterrare qualche moneta d’oro aspettandosi l’Albero Del Denaro che lo avrebbe fatto diventare ricco, per aiutare il vecchio Geppetto, pugnalando e tradendo la Fata una, due, tre volte.
Ciononostante, aldilà di tutte le difficoltà familiari, alla fine sono sempre i figli quelli che subiscono di più di tutti, e in mezzo a tutte queste difficoltà si fidano della prima strada facile che trovano, pensando di poter aiutare i loro rispettivi Geppetto.
Lo spirito combattivo nasce in loro da subito, perchè sono loro a crescere in men che non si dica. Tu li guardi che sono piccoli e stupendi: una luce illumina i tuoi occhi, il loro sorriso sdentato è quel sole brillante di bollicine di saliva che ti sveglia la mattina, il suono della loro risata, è lo spirito guida che prometti di ascoltare per tutta la giornata. Le loro manine sempre alla ricerca di qualche scoperta, grassocce e spesso umide, sono il tuo ideale quotidiano: cercare sempre qualcosa di nuovo anche nella monotonia delle giornate.
Ma ecco che ti volti un attimo. Respiri, cerchi di recuperare energie. Ce l’hai fatta. Ora ti rigiri verso di loro. Eccoli: intenti a passarsi il primo rasoio da barba, o a comprare il primo reggiseno. Comincia a crescer loro il naso, le gambe ad accorciarsi, la loro testa diventa vuota e legnosa. E’ il momento: indossa ali fatate e coroncina.
Così come vale la regola dello “studiare giorno per giorno”, allo stesso modo vale quella dell’ “educare giorno per giorno”. Solo che non sempre si tratta di un metodo efficace per la scuola: spesso si tratta di un metodo efficace per la vita.
 
Chiara D’Ostuni










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