martedì 24 settembre 2024


09/07/2010 08:40:11 - Sava - Speciale

La mafia, le sue ramificazioni, la legge sul riutilizzo a fini sociali dei beni sequestrati e i nuovi interessi dei gruppi criminali

 
Per indicare la presenza e l’articolazione della mafia in Italia ha utilizzato una particolare similitudine: quella con l’albero.
«La mafia attecchisce e si sviluppa al Sud, in zone in cui si muove e cresce senza farsi vedere: proprio come le radici di un albero, che trovano terreno fertile nel sottosuolo» ha spiegato recentemente don Raffaele Bruno, referente regionale di Libera, agli studenti del laboratorio di giornalismo dell’istituto “Del Prete” di Sava. «Ma la colonna portante della mafia è il tronco, attraverso il quale si sostiene e diventa sempre più robusta: il tronco sta al centro dell’albero, proprio come la politica sta al centro dell’Italia, a Roma. E la mafia, per crescere, ha bisogno della complicità della politica. Ma la parte più visibile dell’albero sono i tronchi e la chioma, che si trovano al vertice dell’albero. Fiori e frutti della mafia, ovvero le sue risorse, si trovano nelle regioni settentrionali, in cui è più facile e più conveniente investire i proventi delle attività illecite e, quindi, riciclare».
Don Raffaele Bruno si è poi soffermato sulla prima battagli condotta e vinta dall’associazione Libera.
«Chiedemmo, raccogliendo un milione di firme, che i beni dei mafiosi fossero confiscati» ha ricordato don Raffaele Bruno. «Una legge così articolata fu approvata un anno dopo la nostra costituzione. Ma non è così semplice passare dal sequestro dei beni alla confisca. A volte trascorrono anni, a volte l’iter si perde perché ci si imbatte in oscure complicità. In Puglia sono stati confiscati ben 700 beni alla mafia».
All’interno di Libera è nata, anni fa, Libera Terra. Si tratta di cooperative che gestiscono i terreni e le aziende agricole. E Libera Terra è anche diventata una griffe molto ricercata per i prodotti biologici di queste cooperative: tarallini, friselle, vino, uva, olio, carciofi. Ma non è facile coltivare le terre confiscate ai mafiosi.
«A Mesagne abbiamo avuto in gestione 20 ettari di terre confiscate ai mafiosi. Inizialmente non c’era nessuno disposto ad arare quei terreni: avevano paura di ritorsioni. Siamo stati costretti a chiedere aiuto alla Guardia Forestale. Ma per seminare abbiamo deciso di chiamare tutti: ragazzi delle scuole, vescovo, magistrati, ecc. Tutti avevano in mano una manciata di semi. E’ proprio questa la nostra forza: l’unione. Purtroppo, alla vigilia della mietitura, ci furono bruciati ben 10 ettari di grano. Fu un duro colpo, ma non ci siamo persi d’animo neppure allora. Un’altra intimidazione arrivò, tempo fa, al presidente di una delle nostre cooperative, Terre di Puglia. Un bigliettino con su scritto “Avete rotto i coglioni”. Poi, il giorno dopo, un altro bigliettino: “Chi lavora domani, paga per tutti”. Sapete chi ci diede la forza di continuare? Un ragazzo che lavorava a giornata con noi e che prima era vicino a gente poco … limpida. Con le nostre cooperative, tutto è trasparente: i diritti di chi lavora sono sacri. L’ingaggio, insomma, non è solo quello di Milito…. In agricoltura ci sono tanti, troppi furfanti: c’è che, in giacca e cravatta, si reca al Vinitaly, ma poi sfrutta gli operai, non riconoscendo loro i diritti salariali».
Infine don Bruno ha parlato di paura e di nuovi interessi della mafia.
«Secondo me ci sono troppi centri di scommesse e troppi interessi per il fotovoltaico e per l’eolico. In quest’ultimo settore, si prendono i contributi dallo Stato. I Comuni, che hanno i Bilanci alle pezze, rilasciano i permessi, ma poi, fra vent’anni, chi smaltirà il silicio?».










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