domenica 22 settembre 2024


19/03/2024 09:55:20 - Manduria - Cultura

I banchetti di san Giuseppe (o pranzo dei santi) sono tavolate devozionali imbandite con una gran varietà di pietanze (dall’alta valenza simbolica e apotropaica), che vengono offerti dai devoti ad un certo numero di persone, minimo tre, massimo tredici, chiamate “santuzzi”

Continua il percorso narrativo iniziato ieri per conoscere le pratiche rituali e le modalità espressive della forte devozione popolare nei confronti di San Giuseppe.

Dopo aver esaminato gli aspetti del pane votivo e degli altari nel post di ieri (https://www.manduriaoggi.it/?news=64812), oggi scriveremo del ‘pranzo dei santi’ e dei falò, delle processioni e dei carri allegorici. 

I banchetti di san Giuseppe (o pranzo dei santi) sono tavolate devozionali imbandite con una gran varietà di pietanze (dall’alta valenza simbolica e apotropaica), che vengono offerti dai devoti ad un certo numero di persone — minimo tre, massimo tredici, chiamate ‘santuzzi’ — che, come scrive Eugenio Imbriani  nel saggio “San Giuseppe nel Salento. Riti e tradizioni”, «rappresentano la sacra famiglia e altri “santi” (familiari della Madonna, apostoli, santi a cui è rivolta la particolare venerazione degli offerenti), nel corso di un pranzo» (p. 118). Agli altri visitatori viene solitamente offerta una sola pietanza o un assaggio. In passato, nelle case dove si allestivano le tavolate, si lavorava incessantemente per più giorni per ultimare la preparazione delle pietanze, che potevano divenire innumerevoli a seconda il numero delle persone (“santi”) invitate (dovevano essere preparate tredici pietanze per ognuno degli invitati). Questo comportamento rituale è legato alla figura di San Giuseppe come patrono dei poveri e dei bisognosi  (ai quali veniva offerto da mangiare).

Numerose località della Puglia meridionale ‘aderiscono’ tuttora a questo rituale: allestimento delle tavole in casa, visite serali la vigilia, benedizione e pranzo dei santi la mattina del 19, successiva distribuzione del cibo. Accade così in alcuni comuni del Salento (Poggiardo, Giurdignano, Uggiano la Chiesa, Giuggianello, Guagnano, Maglie); nel brindisino, questa pratica è stata ripresa nel comune di Erchie, dove, insieme al cibo delle ‘mattre’ (madie), vengono offerti in segno di pace gli ‘uccelletti’, pani a forma di uccelli (in passato, era usanza sbriciolarli e lanciarli ai quattro punti cardinali per scongiurare i temporali); nel tarantino la si ritrova a Fragagnano, mentre in altri comuni, come Monteparano, Monteiasi, Lizzano, San Marzano di San Giuseppe, Sava, il rituale appare talvolta semplificato (è assente il pranzo dei santi), talatra ‘attualizzato’ (si arriva a esporre sulle tavolate cibo crudo per evitare lo spreco alimentare).

La stessa pratica rituale si ritrova in alcuni paesi della Sicilia (a Bompensiere, a Vita). Nel saggio di Maria Scavuzzo, “La festività di San Giuseppe a Vita” (p. 74) leggiamo che la ‘tavulata’ è allestita davanti l’altare preparato nella casa, alla quale i figuranti della Sacra Famiglia bussano, ritualmente, per tre volte prima di essere accolti dal padrone di casa, il quale, simbolicamente, in segno di ospitalità lava e bacia loro le mani, prima di farli accomodare al tavolo. «(… )San Giuseppe si lava la mani in una bacinella con acqua e vino, per poi aspergerne gli angoli della stanza, dicendo ‘an cantu an cantu c’è l’ancilu santu, co patri u figgi e u spiritu santo’ (in ogni angolo c’è l’angelo custode e c’è la santissima trinita)» (p. 30 del contributo di Domenico Scapati,“La festa di San Giuseppe. Geografia cultuale in Terra di Sicilia”).

Resta tuttavia valida, per tutti i paesi esaminati, la conclusione a cui giunge E. Imbriani nel saggio citato, cioè che gli aspetti devozionali e votivi degli antichi rituali oramai virano verso una pubblicizzata ‘tipicità gastronomica’, inserita in precise strategie di valorizzazione del territorio.  

I falò sono la parte residua di antichi rituali di purificazione e di propiziazione. Antichi riti silvestri e pagani che celebravano, dopo il buio invernale, il ritorno della luce e la rinascita della vita nei campi, propiziandone, al tempo stesso, un buon raccolto. Nella sua accezione religiosa, la consuetudine di accendere i fuochi è legata al gesto di san Giuseppe che chiese un po’ di fuoco a un pastore per riscaldare Gesù Bambino e che mise nel suo grembiule di falegname, senza che questo si bruciasse.

Nella prima parte del volume dedicata alla Sicilia, Domenico Scapati, in “La festa di San Giuseppe. Geografia cultuale in Terra di Sicilia”, scrive che «Affonda le sue radici nel medioevo la tradizione, secondo cui ogni anno la festa di san Giuseppe a Scicli viene onorata con una cavalcata, al cui passaggio per le vie della città si accendono i caratteristici falò che illuminano la notte, ricordando la fuga in Egitto di Giuseppe, Maria e del Bambino, in groppa ad un asino» (p. 29). Gli animali, da sempre bene primario e sinonimo di vita stessa per i contadini, vengono bardati con un manto di fiori, per poi essere premiati, a fine cavalcata, quelli con la bardatura migliore. 

Per quanto riguarda la Puglia, nel saggio di Antonio Alemanno e Vito Fumarola «La Puglia per san Giuseppe», si legge che il rito del fuoco è ancora praticato in diversi comuni pugliesi, dal Gargano (Monte Sant’Angelo, Bovino,  Santeramo  in Colle, Altamura),  al Salento (Poggiardo, Giurdignano, Otranto, Uggiano la Chiesa), al tarantino (Palagiano, Palagianello Mottola, Castellaneta, San Giorgio Jonico, Faggiano,  Fragagnano, Sava, Avetrana, ). Termini diversi per indicare un unico momento di aggregazione e convivialità: in Sicilia,  vampi’, ‘dduminari’, pagghiara’, ‘luminari di lu focu santu’ a Niscemi; in Puglia, ‘fanòve’, ‘fanòi’,  ‘fucarazzi’, ‘fanova’.  Esemplari i falò di Sava  (lu fanòi ti San Gisèppu), dove, tra canti balli e consumazioni gastronomiche vengono dati alle fiamme i fantocci di “Quaremma e Carniali” (Quaresima  Carnevale) e di San Marzano, dove il pomeriggio della vigilia si svolge un’imponente processione, durante la quale grosse fascine e tronchi d’ulivo sono trasportati in parte dai devoti sulle spalle, in parte da carri trainati da cavalli, verso la periferia del paese in attesa di dare inizio, in serata, a un falò tra i più spettacolari. 

Le processioni

La processione per le vie del paese del simulacro del Santo è uno dei momenti devozionali più partecipati, probabilmente l’aspetto più socializzante dell’intero rituale. In linea di massima, le processioni del Santo patriarca si svolgono in quasi tutti i paesi delle due regioni esaminate. Solitamente, esse differiscono  di poco nelle loro modalità di svolgimento, tuttavia ve ne sono alcune davvero particolari.

In Sicilia è il caso della processione che si tiene a Scicli, nel ragusano, la già citata ‘cavalcata’. Qui, il corteo serale è aperto da tre personaggi in costume, che rappresentano la Sacra Famiglia; dietro, si dispongono i fedeli. I cavalli vengono tutt’oggi bardati a festa, con un fitto manto di fiori, i quali non sono disposti mai a caso, ma a raffigurare racconti e figure evangeliche relative alla Sacra Famiglia.   

Tratti caratteristici presenta, in Puglia, la processione del Santo patriarca a San Marzano di San Giuseppe. Qui il rituale inizia la vigilia, con la benedizione dei pani in chiesa, proseguendo nel pomeriggio con la scenografica processione della legna, disposta su dei carri trainati da cavalli. La statua di san Giuseppe e la banda musicale chiude il corteo. Uno dei momenti più suggestivi è quello della ‘genuflessione dei cavalli’ davanti al simulacro del Santo, dopo la cerimonia di consegna delle chiavi al Santo patrono da parte del sindaco. La processione della legna prosegue fino al luogo prescelto per il falò in tarda serata.   

Dei carri allegorici trattano Claudio Paterna  e Domenico Scapati nei relativi contributi. Essi non hanno una diffusione pari a quella dei falò o delle tavolate, tuttavia rientrano a pieno titolo nella complessa ritualità legata a san Giuseppe. Si tratta di «artefatti cerimoniali», costituiti da una base, su cui viene collocata una torre di legno alta anche dieci metri, decorata con grandi pani rituali (ma anche con altri prodotti alimentari) e interamente rivestita di alloro (legate alle antiche feste dell’alloro, le ‘Daphne-ophorie’). Sul carro così addobbato, che si chiama ‘stràgula (o ‘Straula’, italianizzata ‘stragola’) ed è trainato da buoi, viene collocato un quadro del Santo. La tradizione della ‘stràgula’ è attestata soprattutto nell’agrigentino (a Ribera) e a Modica nel ragusano. La processione si conclude con la distribuzione dei pani rituali ai poveri. 

 

Le immagini che accompagnano questo articolo sono tratte dal volume AA.VV., “dalla Sicilia alla Puglia LA FESTA DI SAN GIUSEPPE” , a cura di Vincenza Musardo Talò, Presentazione di Vittorio Sgarbi, Talmus-Art Editore, 2012.











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