L’indagato dal carcere: «Le mie amiche erano consenzienti. Le legature le avevo fatte altre volte, stavolta però lei è svenuta»
«Sono il primo ad essere disperato. Credetemi. Non avrei mai immaginato che potesse succedere una cosa del genere. Ma le ragazze, potete chiederlo a quella che è sopravvissuta, erano del tutto consenzienti. Abbiamo deciso insieme di andare là sotto e nessuno ha costretto nessuno».
Per ore l’ingegner Soter Mulè, 42 anni, originario di Nepi, uno dei protagonisti del gioco erotico che ha portato alla morte di Paola Caputo, 23enne di Guagnano, a Roma, ha cercato di convincere la polizia e il magistrato che in fondo la tragedia di ieri mattina all’alba è stata solo una maledetto incidente: «Le legature le avevo fatte altre volte e non era successo niente ha detto durante l’interrogatorio in Procura Sono in totale buona fede, tanto che ho cercato di salvare sia l’una sia l’altra e poi ho chiamato i soccorsi e la polizia».
La tragedia si è consumata in un seminterrato dell’edificio dove ci sono l’Agenzia delle Entrate Roma 3 e la sede dell’Enav (Ente nazionale di assistenza al volo), proprio di fronte al centro commerciale «Porta di Roma» e al Raccordo Anulare. Mulè, domiciliato sulla Cassia, celibe, laureatosi a Tor Vergata, appassionato di fotografia, è entrato nel locale seminterrato con le amiche attorno alle quattro del mattino.
«Ci siamo preparati» ha detto agli agenti della squadra mobile e al magistrato che lo hanno interrogato per ore. «Era andato tutto bene. Ho prima legato Paola (la vittima, ndr), poi l’amica».
La versione erotica dello «Shibari», un’arte giapponese, è un gioco a sfondo sessuale nel filone del sadomasochismo. Si resta avvinti da una corda nel vuoto, un corpo contro l’altro, pelle contro pelle, e bisogna coordinare perfettamente i movimenti per restare in equilibrio. La cosa, a chi ama il genere, dà piacere ed eccitazione. Ma richiede esperienza.
«È successo tutto all’improvviso» ha ricostruito Mulè. «Paola, con la quale avevo avuto una storia, si è sentita male. È svenuta. Quindi ha perso il controllo del suo peso. La fune le si è attorcigliata attorno al collo e ho capito che la stava soffocando. Ho immediatamente preso il coltello. Ho tagliato la corda. Lei quasi non respirava più. Mi sono occupato dell’amica. Ho chiamato i soccorsi e avvertito la polizia. Non ho nascosto nulla. Mi sono preso le mie responsabilità».