La lettera di Mimmo Pacifico: «Anche ritirando la costituzione, ha provocato un danno al Comune»
E’ giusto dichiarare risolta la posizione di incompatibilità di un consigliere (nel caso specifico Arcangelo Durante) se poi il Comune (e di conseguenza la collettività), deve sopportare la metà delle spese legali (così come deciso dal giudice) a seguito del ritiro della lite scelta per evitare di dover rinunciare alla carica elettiva?
A porre il quesito è Mimmo Pacifico, padre dell’assessore Emiliano, ma che interviene come semplice cittadino.
«In occasione di un recente Consiglio Comunale, la massima assise avrebbe dovuto discutere ed eventualmente contestare la sopravvenuta incompatibilità di un consigliere con la sua carica, per una lite pendente: cioè la contrapposizione della posizione personale e privata dell’eletto con gli interessi della collettività» ricorda Mimmo Pacifico. «Così non è stato, perché due giorni dopo la denuncia della presunta incompatibilità, resa nota durante lo svolgimento di un precedente Consiglio, il consigliere interessato ha pensato bene di porre fine alla lite, recandosi dal giudice, che ha stabilito anche la compensazione delle spese. Per questa ragione la discussione sull’argomento ha assunto solo e soltanto una valenza di forma e non più di sostanza. A mio avviso, bene avrebbero fatto i consiglieri se avessero utilizzato il loro tempo per entrare nel merito della questione e bene ha fatto il presidente del Consiglio a ritirare il punto per inviarlo alla Commissione competente, evitando così altri inutili interventi».
Pacifico si sofferma maggiormente sul concetto.
«Premesso che, non sempre nella vita quotidiana è previsto un corso di formazione o il conseguimento di un documento che attesti l’idoneità a svolgere ruoli specifici con cognizione, alcune volte, ed è sicuramente il caso della elezione a consigliere comunale, è demandata alla responsabilità dell’interessato che ricopre cariche specifiche la necessità di rendersi edotto per svolgere con diligenza e consapevolezza il proprio ruolo» continua Mimmo Pacifico. «Nella fattispecie, il consigliere che ha acceso la lite contro il Comune (in buona o cattiva fede non ha importanza), a tre anni abbondanti dalla sua elezione, ha di fatto contravvenuto ad una regola e a posto rimedio solo dopo che la notizia è diventata di dominio pubblico. Questa è sicuramente l’unica ragione per cui il consigliere è stato posto di fronte ad un bivio che lo ha indotto a scegliere la rinuncia al diritto di rivendicare a favore del suo mandato elettorale. Così stando le cose, penso che la vicenda la si poteva ritenere conclusa ed archiviata qualora il giudice di merito non avesse disposto la compensazione delle spese. Siccome così non è stato, mi chiedo se non è giusto che si possa ritenere superata l’incompatibilità solo dopo che l’interessato abbia provveduto ad accollarsi anche le spese attribuite al Comune dal Giudice. Altrimenti che senso ha ammettere la compatibilità in presenza, ancora, di un’ulteriore azione sempre personale che comporterà un danno alla collettività. Allora è giusto che Commissione prima e il Consiglio poi, valutino nel merito la questione al fine di fugare ogni ombra di dubbio sulla bontà delle azioni che decideranno.
E comunque, tutto ciò, non esclude la possibilità che lo stesso consigliere, in tutta coscienza, potrebbe, con un ultimo gesto, dichiarare pubblicamente un mea culpa e accollarsi tutte le spese che altrimenti danneggerebbero i cittadini che lui stesso rappresenta in Consiglio Comunale, se i succitati organismi preposti dovessero decidere diversamente».