“Chi ha paura muore ogni giorno” è il titolo dell’opera teatrale del magistrato simbolo della lotta alla mafia
L’opera teatrale di Giuseppe Ayala, magistrato simbolo della lotta alla mafia, al fianco di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è andata in scena al Teatro Orfeo di Taranto. E sono le loro vite che vengono raccontate: l’amicizia che li legava, la morte che li ha separati.
Scorrono le immagini di quel 23 maggio 1992: “Chi ha paura muore ogni giorno” comincia così. Giuseppe Ayala è seduto, guarda il pubblico dell’Orfeo, dietro di lui l’inferno degli attentati a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ha inizio il suo monologo, il suo ricordo. “L’unico segno esterno di quello che ha subito è un piccolo graffio sul sopracciglio, per il resto sembra che dorma. Un sonno senza risveglio”. Parla di Falcone, dell’amico, del collega, dell’uomo ucciso da Cosa Nostra con cinquecento chili di tritolo.
Due mesi più tardi ancora un tragico boato. Era il 19 luglio. “La scorta mi segue a piedi – incalza Ayala – dopo duecento metri i nostri occhi sono costretti a una visione che a qualunque essere umano andrebbe risparmiata. Via D’Amelio sembra il teatro di una scena di guerra. Riconobbi il corpo di Paolo, fui il primo a vederlo in quello stato, sarò l’ultimo a dimenticarlo”. “Rimane il suo esempio, la sua ironia, le parole confidate pochi giorni prima del tremendo scoppio: Giuseppe – disse – mi resta poco tempo”.
Io so ma non ho le prove. Come Pierpaolo Pasolini nel 1974 così oggi Ayala punta il dito contro il “Palazzo”. “Il nostro lavoro non si arrestò per la reazione di Cosa Nostra; noi fummo fermati da pezzi dello Stato”. “È una partita truccata quella tra Stato e mafia”. “Quando sei solo e sei pericoloso, è la condizione per cui è probabile che ti ammazzino”.
Il pubblico ministero nel maxiprocesso di Palermo si muove sul palco: cattura su di sè gli sguardi della platea. La musica di sottofondo accompagna uno dietro l’altro i nomi e il destino di tutti gli uomini dello Stato eliminati dalla mafia. Da Pio La Torre a Carlo Alberto Dalla Chiesa a Rocco Chinnici, da Giuseppe Montana a Ninni Cassarà. Una lunga scia di sangue che Ayala non dimentica.
Entra in scena anche l’attrice Francesca Ceci che aiuta la narrazione dei fatti. La scenografia è sobria, il linguaggio e le luci costruiscono un’atmosfera unica: Ayala è a suo agio, il pubblico è coinvolto emotivamente.Si respira commozione, ironia, rabbia.
Ayala descrive il “metodo Falcone”: per la prima volta le indagini prevedevano accertamenti patrimoniali e bancari, perchè “il denaro lascia sempre una traccia”. Si sofferma sul pool antimafia, com’è nato e com’è stato ostacolato e mortificato all’indomani delle sentenze del maxiprocesso di Palermo. La mancata nomina di Falcone, da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, come sostituo di Nino Caponnetto a capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo, a favore di Antonino Meli, fu il primo passo verso lo smantellamento del pool. E non solo. “Caponnetto dirà – confessa Ayala – che Falcone cominciò a morire in quel momento”.
Ayala fa due passi verso gli spettatori. “Perchè la parte sana delle Istituzioni – interroga – non ce la faceva più a sostenerci?”. La risposta arriva in un silenzio che non aspettava altro. “Durante la guerra di mafia, il rapporto tra mafia e pezzi della politica entra in crisi: c’erano gli interlocutori politici pronti ad assecondare gli interessi mafiosi, mancavano però gli interlocutori mafiosi e nel vuoto che si è creato la parte sana delle Istituzioni è riuscita a lavorare al nostro fianco”. “Dopo il maxiprocesso lo Stato decise di fermare se stesso, perchè la mafia ce l’ha dentro”.
Ritorna infine l’aspetto più umano dell’opera teatrale e di questa avventura umana e professionale. “Credo che ce li hanno scippati troppo presto, gli hanno impedito di continuare a darci quello che ancora avrebbero potuto e voluto”.
E la storia si conclude idealmente davanti alla magnolia di via Notarbartolo 23 a Palermo, lì dove abitava Giovanni Falcone e dove la gente continua, a distanza di quasi vent’anni, a lasciare i propri messaggi di speranza.
Nicola Sammali