Quando gli “sporchi negri” eravamo noi italiani…
«Generalmente vengono descritti come di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perchè tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si
costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri.
Quando riescono ad avvicinarsi al centro, affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci.
Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi e petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti tra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perchè si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro.
I nostri governanti hanno aperto troppo gli ingressi alle frontiere ma, soprattutto, non hanno saputo selezionare tra coloro che entrano nel nostro Paese per lavorare e quelli che pensano di vivere di espedienti o, addirittura, attività criminali. “Propongo che si privilegino i tardi di comprendonio e ignoranti ma disposti più di altri a lavorare. Si adattano ad abitazioni che gli americani rifiutano purchè le famiglie rimangano unite e non contestano il salario.
Gli altri, quelli ai quali è riferita gran parte di questa prima relazione, provengono dal […]. Vi invito a controllare i documenti di provenienza e a rimpatriare i più. La nostra sicurezza deve essere la prima preoccupazione»*.
Questo testo, dal linguaggio scorrevole e moderno, ad una semplice prima lettura, sembra proprio stia facendo riferimento a quel considerevole numero d’immigrati che, recentemente in Italia, ma da lungo tempo anche nel resto dei Paesi, ha travolto l’Europa in numerose, violente ondate immigratorie. Non c’è altro aggettivo che più precisamente possa esprimere ciò che è accaduto al nostro amato Paese: travolto. L’Italia è stata totalmente travolta da questi giovanotti dalla pelle scura, con abitudini, tradizioni e stili di vita completamente differenti dalle nostre. Sono approdati nelle nostre terre convinti di trovare benessere, gioia e spensieratezza di vita che nei loro Paesi da lungo tempo ormai non riuscivano più a trovare, a causa di guerre, carestie ed attacchi terroristici che hanno letteralmente invaso le loro case, le loro vite.
L’Occidente in generale, nel corso di lunghi anni, avendo attraversato guerre e conflitti vari e pesanti, in un modo o nell’altro, oggi, è riuscito a conquistare quel benessere di vita di cui godono tutti i suoi cittadini, Italia compresa (situazione politica a parte). Del resto, questo nostro sviluppo, questo nostro alto livello che siamo riusciti a perseguire, ci ha anche reso sufficientemente tolleranti verso il prossimo, chi più chi meno, a differenza di molti altri Paesi europei che hanno sigillato l’ingresso a qualunque, anche minimo, flusso immigratorio, com’è il caso dell’appariscente Francia.
Manduria, il nostro paese, è stato uno dei più travolti luoghi, una delle mete preferite da quest’immigrati: per lunghissimo tempo le nostre strade brulicavano di zingari, tunisini, uomini di colore. Molte volte le nostre madri hanno temuto per la sicurezza di noi ragazze, noi figlie; innumerevoli volte i nostri padre si sono allarmati ogni qualvolta mandavano noi ragazzini, bambini, a gettare l’immondizia nel bidone della stradina accanto, soprattutto di sera. Eppure, nonostante ciò, non ci siamo mai comportati come freddi trogloditi, barricando porte e finestre, o protestando violentemente contro il modo in cui quest’immigrati vennero accolti, lasciati passeggiare tra le nostre strade, nel nostro Paese.
No: siamo sempre stati clementi, tolleranti, abbiamo sempre offerto aiuto, spesso anche viveri se richiesti, abbiamo sempre agito, dimostrato di possedere una mentalità aperta, non chiusa nel vizio e nell’intolleranza in quanto cittadini benestanti; anzi, pur essendo noi manduriani, italiani, in crisi come Paese, non ci siamo mai comportati da tirchi.
Certo, noi conosciamo i diritti di tutti, dei poveri bisognosi come dei felici benestanti, e allo stesso modo rispettiamo quelli degl’uni e degli altri, perchè una persona povera non è giustificata, in quanto tale, a comportarsi volgarmente in casa della persona più ricca e agiata di lui. I diritti appartengono a tutti, e nei confronti di tutti devono essere rispettati, soprattutto se quest’immigrati vogliono ancora essere ospitati da noi, a casa nostra, unici bonaccioni in Europa che li lasciamo scorrazzare tanto liberamente nelle nostre strade.
Perchè siamo persone tolleranti, buone, che credono nell’aiuto dell’altro, che amano l’altro non per seguire il precetto di quel Cristo che ci chiese “d’amare il prossimo tuo come te stesso” per garantirci, riservarci un posto in Paradiso, ma per un intimo convincimento personale.
Però anche noi italiani all’estero, in quei Paesi poveri, non ci siamo comportati bene: abbiamo abusato di povere ragazzine indifese gettate in strada, spesso drogate, per elemosinare un tozzo di pane. Quindi allo stesso modo anche noi abbiamo le nostre colpe perchè anche noi siamo tutt’ora violenti, anche noi rubiamo e approfittiamo dell’altrui povertà, dell’altrui bisogno.
Tutti sono bravi a parlare, a puntare il dito verso il povero, l’indifeso che ruba per campare, che si crea un certificato falso per non farsi gettare fuori a calci nel sedere, che attraversa acque tumultuose e notti tormentate da ululati di vento che le fanno sembrare notti eterne, per giungere in una terra nuova, forse paradisiaca, e essere liberi di sperare in un domani migliore, cercando di evitare in tutti i modi quei proiettili scagliati dalla costa ormai prossima che non li vuole, che li “invita” a tornarsene a casa; ma quasi nessuno è bravo a puntare il dito contro se stesso, forse perchè troppo pigro per scavare nel proprio passato, troppo stanco e annoiato per frugare in quella che è stata la sua storia di Italiano, di cittadino emigrato nei tempi del dopoguerra.
Si, è troppo noiosa la storia perchè uno possa aver voglia di andarla a spulciare, per curiosare in una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati Italiani negli Stati Uniti e scoprire, comprendere, meravigliarsi di sapere che nel millenovecentododici quella relazione scritta da quel congresso, per chissà quale altolocato giornale o ministero, di chissà quale Stato, parlava proprio di noi, di quell’antico tempo in cui gli “sporchi negri” eravamo noi.
Noi Italiani.
Chiara Elena D’Ostuni
*Da una relazione dell’Ispettorato per l’Immigrazione del Congresso americano sugli immigrati italiani negli Stati Uniti, Ottobre 1912, “quando gli sporchi negri” eravamo noi italiani