Transazione Miulli: Vendola indagato con Fiore e Tedesco
Prima l’accusa di abuso d’ufficio per un primario da sistemare a ogni costo al «San Paolo». Ora altre tre imputazioni (peculato, falso e ancora abuso d’ufficio) per la transazione da 45 milioni con l’ospedale Miulli di Acquaviva. In due giorni Nichi Vendola fa il pieno, ma non perde l’ironia («Se me lo avessero comunicato prima, avrei fatto una sola conferenza stampa») e continua a proclamarsi «assolutamente estraneo». Stavolta, però, le accuse di Lea Cosentino non c’entrano.
Nell’inchiesta sul Miulli - ieri la Procura ha fatto recapitare l’avviso di proroga delle indagini - il governatore Nichi Vendola è in compagnia di altre sei persone, tra cui gli ex assessori alla salute Alber to Tedesco e Tommaso Fiore ed i vertici dell’ente ecclesiastico. Per la transazione approvata dalla giunta regionale l’11 marzo 2009, il procuratore aggiunto Lino Giorgio Bruno e la pm Desirè Digeronimo ipotizzano il concorso in falso ideologico a carico di Vendola, dell’assessore Fiore (in carica all’epoca) e del direttore d’area Nicola Messina: l’ipotesi di accusa è che quell’accordo - comunque poi annullato in autotutela - fosse stato raggiunto su presupposti falsi, testimoniati dal parere negativo espresso dall’Ares e dagli uffici regionali e superato solo con una relazione dell’avvocatura.
L’altra accusa, concorso in peculato e abuso d’uf - ficio, riguarda anche Alberto Tedesco, gli ecclesiastici Mario Paciello (vescovo della Diocesi di Altamura-Gravina- Acquaviva), don Mimmo Laddaga (delegato dell’ospedale) e il dirigente amministrativo Rocco Palmisano: secondo l’impostazione della Procura, i soldi per il «Miulli» sono stati prelevati da un capitolo del bilancio destinato ad altri scopi (le calamità naturali). Da qui in particolare il peculato. Nonostante l’annullamento in autotutela, infatti, la Regione ha ugualmente pagato. È stata condannata dal Tar ed ha già versato al Miulli i primi 45 milioni del maxirisarcimento riconosciuto a titolo di equiparazione dell’ospedale ecclesiastico con le altre strutture pubbliche. Ma è solo un anticipo, perché l’ammontare del saldo - su cui sta lavorando un’apposita commissione tecnica - sarà pari ad almeno 100 milioni.
La Procura ritiene che la Regione non abbia titolo a impegnare queste somme, impostazione dibattuta anche tra gli stessi magistrati. Nel 2010, quando il fascicolo faceva capo a Digeronimo insieme a Marcello Quercia e Francesco Bretone, si erano infatti verificate delle divergenze, così come testimoniano i verbali delle riunioni di coordinamento. Se infatti per la Digeronimo era «ravvisabile peculato» in quanto «l'appropriazione si concretizza non solo rispetto al patrimonio della Regione ma anche rispetto ai patrimonio delle Asl», gli altri due colleghi propendevano per l’archiviazione: Bretone, in particolare, riteneva «non essere ravvisabile né il peculato né l'abuso di ufficio», perché la transazione aveva la «finalità pubblica di salvare l'ospedale».