Uno studio sulla sua datazione e sulla sua provenienza
Come abbiamo avuto modo di affermare recentemente nel nostro articolo dal titolo “Il quadro, il fonte, la pietra: nuovo contributo sul santuario di San Pietro in Bevagna”, pubblicato su “Liberamente” del 5 agosto 2012, una ipotesi di datazione del catino battesimale del santuario di San Pietro in Bevagna, venerata reliquia del leggendario passaggio dell’Apostolo Pietro su questi nostri lidi (passaggio che, al di la’ della mancanza di prove certe,che forse mai verranno prodotte, non e’ improbabile possa essersi realmente verificato) resta piuttosto difficile da formulare, per i motivi da noi illustrati nel nostro intervento.
In realtà, spingendo ancora più in la’ l’analisi del problema, si potrebbe mettere in discussione, oltre che una supposta datazione, persino la originaria funzione di questo misterioso manufatto di pietra lavica (che vediamo nella foto di F. Talò) conservato nel “sacello” del Santuario, oltre che naturalmente l’ambito geografico e culturale di provenienza.
Vogliamo integrare le nostre precedenti osservazioni con un dato, in apparenza marginale, su cui abbiamo avuto modo di riflettere ultimamente. C’e’ una radicata tradizione popolare locale che vuole che in origine la “vasca” sia stata concepita, piuttosto che come catino battesimale, come mortaio. Ammessa la fondatezza di questa ipotesi, per niente implausibile, si spiegherebbero alcune cose.
Innanzitutto, il fatto che sul supposto catino battesimale non compare nessun elemento decorativo che almeno accenni al suo uso sacramentale, e questa è un’evenienza piuttosto singolare, dal momento che non vi sono fonti battesimali, anche molto antichi, che non rechino incisa su di essi almeno una semplice croce, come segno del loro essere stati concepiti in un contesto e per un uso cristiano.
Poi, se il manufatto in questione nasce come mortaio, o comunque per un uso non sacramentale ma assolutamente pratico, si potrebbe allora anche arrivare a supporre, in uno con la nota leggenda, che San Pietro Apostolo, o chi per lui, lo abbia poi effettivamente riutilizzato, all’occorrenza, come catino battesimale. Il manufatto, in questo caso, deve necessariamente essere stato prodotto prima dell’età apostolica, e potrebbe per esempio essere datato ad epoca romana. In ogni caso, anche se l’oggetto nasce come fonte battesimale, difficilmente può essere datato ad età apostolica. Sarebbe infatti assurdo pensare che Pietro, se veramente è stato sul posto, abbia trovato al suo arrivo un fonte battesimale già pronto per l’uso: la religione cristiana era allora appena sorta, e in tutt’altri lidi!
E’ più logico pensare, se mai, ad un riutilizzo cristiano, nel corso dei secoli, di un manufatto concepito per altro uso e nell’ambito di un’altra cultura; evenienza, questa, più volte verificatasi nel corso dei lunghi secoli della Storia. Inoltre, il materiale di cui è costituito l’oggetto, cioè la pietra lavica, potrebbe esso stesso fornire qualche altra utile indicazione. E’ noto che il basalto fu spesso cavato in epoca romana per i più svariati usi, anche per lastricare le strade dell’Impero.
Effettivamente, come per molti altri materiali lapidei più o meno pregiati, l’epoca di massimo sviluppo per il commercio e i traffici è stata soprattutto quella romana. Questo dato potrebbe farci ipotizzare che il manufatto sia stato prodotto in quell’ambito culturale. Nel Medioevo, infatti, il traffico di questi materiali subì una forte contrazione, probabilmente per la generale minore disponibilità di risorse economiche da impiegare allo scopo.
Molte sono quindi le ipotesi che si possono formulare sul misterioso oggetto conservato nella cripta della chiesa di San Pietro in Bevagna. Per conoscere la verità su di esso, comunque, si attende il parere di archeologi qualificati, che sono stati allo scopo già coinvolti.
Nicola Morrone