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05/09/2012 07:34:05 - Provincia di Taranto - Politica

«Resto al mio posto per guidare la fase di transizione»

 
Ecco il documento letto in consiglio provinciale dal presidente della Provincia di Taranto, Gianni Florido. Con questa comunicazione, il capo dell’Amministrazione provinciale ufficializza la sua decisione: resta al suo posto per guidare la fase di transizione in vista dell’accorpamento delle Province di Brindisi e Taranto.
 
“Presidente, cari consiglieri e assessori
colgo l’occasione per proporvi alcuni spunti di riflessione di comune interesse al fine di offrire il mio contributo allo svolgimento del consiglio provinciale. E mi permetterete di iniziare con qualche considerazione di carattere generale.
In questi giorni la stampa ci ripropone dati e scenari che noi tutti bene conosciamo: disoccupazione record, i giovani senza una reale prospettiva, fabbriche che chiudono, milioni di famiglie che non arrivano alla fine del mese. A fronte di questo contesto a dir poco preoccupante, registriamo una certa difficoltà – dovremmo forse dire una certa incapacità – delle forze politiche ad avanzare valide alternative in un quadro di interventi e di riforme che deve riguardare innanzitutto gli stessi partiti.
Di questo processo riformatore, la modifica della legge elettorale rappresenta, come sappiamo, uno dei pilastri più importanti. I cittadini, infatti, chiedono a gran voce, e giustamente, di poter scegliere liberamente i propri rappresentanti. A questa ansia di cambiamento che si registra nel Paese occorre fornire risposte chiare ed efficaci.
Ma i cittadini – quindi famiglie e imprese - che pagano a duro prezzo gli effetti della devastante crisi economica che sta attanagliando non solo il nostro Paese ma tutto l’Occidente, chiedono anche una svolta in campo sociale ed economico. Non è forse questa la sede per addentrarci in questo tipo di discussione, ma è certo che questa aspettativa non può più essere delusa, pena l’ulteriore ridimensionamento del tasso di credibilità, già ai minimi termini, della classe dirigente italiana.
Nel frattempo - è fatto noto – nelle crepe di un sistema politico incapace di decidere e di rinnovarsi, si è incuneato il male antico dell’antipolitica. Sì, un male tanto antico quanto pericoloso: il dileggio, l’offesa, l’attacco indistinto e volgare contro i politici non è un fatto nuovo. I periodi di crisi hanno sempre offerto terreno fertile per l’Uomo Qualunque del momento.
L’antipolitica, come è stato rilevato opportunamente anche in questi giorni, si nutre di semplificazioni. Non è la prima volta che lo sottolineo: la democrazia è gestione della complessità, il sistema dei pesi e dei contrappesi, sia sul piano istituzionale che su quello delle relazioni sociali, implica un atteggiamento politico ispirato al dialogo, alla legittimazione degli avversari, al rispetto di regole e valori condivisi (su questo punto tornerò dopo brevemente).
Ma tutto ciò impone anche ponderazione nei comportamenti e abitudine al ragionamento. L’antipolitica invece odia la complessità; essa ha bisogno di un nemico da abbattere e di una folla da aizzare contro qualcuno. Per l’antipolitica non esiste la diversità: il sistema politico va abbattuto senza se e senza ma. Se poi ci si trova al cospetto di una democrazia storicamente fragile come la nostra, allora il gioco rischia di farsi ancora più semplice e dunque più pernicioso per chi ha a cuore le libertà democratiche e la vita delle istituzioni. Il rischio di una sfarinamento della nostra identità collettiva è quindi concreto; l’attacco agli organi dello Stato - si veda in proposito l’assurda vicenda che coinvolge il Quirinale – costituisce l’architrave di un disegno politico che non esito a definire inquietante.
Occorre fermarsi subito prima che sia troppo tardi. Occorre ritrovare senso della misura mettendo in campo uno scatto di orgoglio per rinsaldare il nostro sentimento nazionale. Le forze autenticamente democratiche devono reagire con fermezza ponendo un argine alla demagogia. Ma servono fatti, non solo dichiarazioni di intenti.
In questo senso, ciascuno di noi è chiamato a fare la sua parte. Sarebbe più facile sparare a zero sull’avversario, partecipare festosamente alla demolizione del nostro senso di comunità magari in cambio di un pugno di voti alle prossime elezioni. Chi lo fa, a tutti i livelli, sbaglia e se ne assume in pieno la responsabilità. Inoltrarsi nel bosco dell’antipolitica per calcolo elettorale è impresa azzardata e sconveniente soprattutto per chi la compie. Si rischia di finire come Robespierre che a furia di tagliare teste alla fine perse anche la sua.
D’altra parte, è pur vero che la portata dei problemi che affrontiamo è tale da renderci tutti più deboli e vulnerabili. Come facciamo a creare posti di lavoro per dare speranza ad un’intera generazione che sta pagando il conto salatissimo delle scelte disgraziate compiute dalle vecchie classi dirigenti? Dove si trovano i soldi per rilanciare la crescita incentivando le aziende che innovano? Come si fa a trasformare il Mezzogiorno nel vero valore aggiunto di questo Paese? Grandi interrogativi a cui ancora non corrispondono proposte e ipotesi di lavoro credibili.
Le forze politiche si stanno preparando alle elezioni della prossima primavera e giustamente parlano di alleanze, ma in realtà il tema vero è un altro: come uscire dalla crisi, come recuperare credibilità agli occhi dell’opinione pubblica nazionale e internazionale. Il processo di riforme è partito, il governo Monti sta provando a dare il suo contributo. È un segnale di cambiamento che l’Europa e i mercati hanno mostrato di apprezzare. Ma gli errori ci sono stati e non sono trascurabili.
Le Province sono state chiamate in causa nel modo peggiore: additate al pubblico disprezzo come la radice del problema, come la quintessenza della casta. Il tempo, alcuni studi commissionati a prestigiose università e l’opportuno approfondimento nelle sedi istituzionali competenti hanno dimostrato che gli sprechi si annidano in altre sedi. Se si colpiscono le Province, questa è la verità, si assesta un colpo mortale al principio di rappresentatività.
L’Upi, l’Unione delle Province Italiane, ha sempre dichiarato di essere disponibile a ragionare su una possibile rivisitazione dell’organizzazione dello Stato che coinvolgesse anche le nostre Amministrazioni.
Ma una cosa è modificare gli assetti istituzionali per contribuire allo snellimento della macchina amministrativa e renderla così più efficiente, un’altra è gettare alle ortiche decenni di storia di una Istituzione che da sempre eroga servizi importanti in settori decisivi per l’Italia quali l’istruzione, la formazione professionale, l’ambiente, la promozione del territorio, la viabilità.
Le Province – chi è in buona fede non può non riconoscerlo – sono state usate come simbolo della Casta interessata alla propria autoconservazione. Contro questa deriva populista e demagogica ho preso posizione. Se è stato un errore averlo fatto, difendendo il lavoro dei dipendenti della Provincia come quello di consiglieri e assessori, allora ho commesso un errore e me ne assumo in pieno la responsabilità.
Nel frattempo, qualcosa è cambiato: gli organi di informazione e in particolar modo i giornali più autorevoli hanno squarciato il velo dell’ipocrisia nazionale portandoci a conoscenza di fatti a dir poco grotteschi. Abbiamo così scoperto che la Regione Sicilia ha più dipendenti di Westminster, che le indennità di un paio di consiglieri e assessori regionali basterebbero a coprire per un intero anno le spese di funzionamento di questo consiglio provinciale; abbiamo anche scoperto che nei ministeri, nelle Regioni e nei Comuni come pure nella Sanità esistono casi emblematici di sprechi e prebende che costano allo Stato, cioè a noi cittadini tutti, centinaia se non migliaia di milioni di euro. 
 
Cari amici, ho un debito di riconoscenza verso questo Consiglio. Perché ciascuno di noi e tutti insieme rappresentiamo la comunità di Terra Ionica. Ho un debito di riconoscenza verso questo Consiglio perché in questa assise noi tutti rappresentiamo la volontà popolare. Insieme abbiamo provato ad amministrare questo territorio con l’unico obiettivo di costruire il bene comune. Abbiamo affrontato insieme il progressivo depauperamento del nostro bilancio e gli ingiusti tagli ai trasferimenti. Non solo, abbiamo affrontato insieme le difficoltà e le contraddizioni di un sistema istituzionale schizofrenico che proprio nel momento in cui ci considerava il male da estirpare finiva per assegnarci sempre nuove deleghe per gestire, per esempio, la formazione professionale e il mercato del lavoro. Ho dunque un rispetto sacro per la funzione in sé che esprime questa assemblea elettiva.
La Provincia in questi anni ha fatto fino in fondo il proprio dovere. Questo non significa che non abbiamo commesso errori. Questo non significa che non accettiamo le critiche. Questo non significa che non avremmo potuto fare di più e meglio. Significa però che abbiamo sempre operato con onestà perseguendo l’interesse generale. Onestà e interesse generale: sono questi i nostri riferimenti, è questa la nostra legge morale.
Ho sempre creduto e credo ancora che sia possibile difendere e tutelare ambiente, salute e lavoro. Ho sempre creduto e credo che l’ambientalizzazione dell’apparato industriale non sia una chimera.
Sono opinioni discutibili? Certamente sì e sono pronto a riconoscere le altrui ragioni, ma su un punto non transigo: in questa assemblea siamo tutte persone perbene. In più di otto anni di Amministrazione, ho firmato - abbiamo firmato – centinaia, forse migliaia di atti e provvedimenti. Possiamo aver sbagliato, insisto, ma lo abbiamo fatto in buona fede. Il nostro operato finisce – ed è fisiologico che ciò accada – sotto la lente di ingrandimento di chi giudica e ci osserva.
Dopo cento mesi da presidente della Provincia di Taranto, posso rivendicare, fatti alla mano, di essere un amministratore che non ha mai firmato un solo atto contro gli interessi della comunità di Terra Ionica. Posso rivendicare, dopo cento mesi da presidente della Provincia di Taranto, di essere un uomo libero che ha la coscienza a posto.
Vorrei ricordare che siamo stati noi ad “armare” l’Arpa, come ha più volte ripetuto il direttore Giorgio Assennato, finanziando l’acquisto di strumentazione e attrezzature per il monitoraggio dei fattori inquinanti. La nostra Polizia provinciale partecipa abitualmente ai controlli su discariche e impianti di rifiuti, d’intesa con gli organi inquirenti e le forze di polizia. È lavoro di tutti i giorni e non abbiamo ritenuto opportuno sbandierarlo ai quattro venti. La Provincia di Taranto in questi ultimi anni ha condiviso e sostenuto le scelte della Regione Puglia nell’adozione di nuove e più stringenti misure e leggi per la lotta all’inquinamento.
Inoltre, non appena ci è stato notificato in data 29 ottobre 2010 l’atto con il quale la Provincia di Taranto veniva indicata, unitamente ad altri enti, quale persona offesa ai fini dell’incidente probatorio sulla vicenda Ilva disposto dal GIP del Tribunale di Taranto con ordinanza del 27 ottobre 2010, con la giunta provinciale ho adottato, in data 4 novembre 2010, la delibera 299 con la quale è stato nominato legale per la difesa giudiziale l’avvocato Carlo Petrone di Taranto che si è avvalso della consulenza tecnica dell’ingegner Antonio Carrozzini e del dottor Ferdinando Graziano, i quali hanno costantemente seguito le fasi di espletamento dell’attività peritale partecipando anche a tutte le sedute svolte a Roma da parte dei periti. La Provincia di Taranto è dunque stata e continua ad essere presente nel processo in questione, svolgendo il ruolo che la legge le conferisce.
Ernest Hemingway sosteneva che “è morale ciò che mi fa sentire bene dopo che l’hai fatto, immorale è ciò che mi fa sentir male”. Devo dire che sul piano amministrativo mai ho fatto cose che mi hanno posto l’angoscia della cattiva coscienza.
Dal 2004 ad oggi - cento mesi di governo della Provincia di Taranto, come dicevo prima – nessuno degli amministratori, dal sottoscritto a tutti gli assessori, è stato sanzionato per i comportamenti assunti nell’esercizio della funzione di rappresentanza e di gestione della cosa pubblica. Eppure, sarebbe facile rilevare che chi amministra può sbagliare.
Ho inoltre il dovere di confermare ciò che riportano oggi i mezzi di informazione: nella giornata di ieri mi è stato consegnato un documento a firma degli assessori provinciali e dei consiglieri di maggioranza con il quale mi si invita a riflettere sulla mia decisione di valutare l’opportunità di dimettermi dalla carica di presidente della Provincia a seguito delle riforme che di fatto rischiano, come sappiamo, di svuotare di ogni significato l’azione e le scelte degli amministratori provinciali. Devo dire con estrema sincerità che mi hanno molto colpito il tono e la dignità delle parole utilizzate dai miei amici e colleghi con i quali condivido questa importante esperienza amministrativa.
Essi sottolineano la necessità che a guidare il processo di accorpamento con la Provincia di Brindisi non sia un commissario ma chi, come tutti noi, è legittimato dal voto popolare. Come pure non mi sfugge l’importanza per la Provincia di Taranto di essere parte integrante e propositiva nel percorso individuato insieme a Governo e Regione Puglia con l’Accordo di programma per il nostro territorio. Né tanto meno ho mai sottovalutato, per parte mia, il dovere di completare il programma con il quale ci siamo presentati agli elettori di Terra Ionica nel 2009.
Tutti argomenti che mi inducono a rispondere positivamente all’appello che mi è stato fatto perché da massimo rappresentante di questo Ente avverto fino in fondo la responsabilità del mio ruolo ben sapendo che i prossimi mesi saranno amministrativamente impegnativi.
Sulle nostre spalle, infatti, ricadrà il peso delle scelte necessarie per salvaguardare il prestigio e l’esistenza stessa della Provincia di Taranto, l’Istituzione che con dedizione e spirito di sacrificio sto cercando di onorare nel migliore dei modi”.










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