Il catino di pietra lavica costituirebbe, in realtà, la parte inferiore di un piccolo mulino di epoca romana, opportunamente riutilizzata, in un’epoca imprecisata
Non c’è momento migliore di quello che ci concede la pausa estiva per dedicarsi allo studio e, se possibile, alla risoluzione dei piccoli enigmi riguardanti la storia e l’archeologia del nostro territorio. E alla fine, anche con l’aiuto degli esperti, i risultati arrivano. Pare infatti definitivamente risolto l’“enigma” del fonte battesimale della chiesa di San Pietro in Bevagna.
Il catino di pietra lavica, da tempo immemorabile collocato nel “sacello” del santuario petrino, oggetto di venerazione da parte dei fedeli e ritenuto prova del passaggio del principe degli apostoli nelle nostre contrade, oggetto che suscita più di un interrogativo per la forma stessa e il materiale che lo costituiscono, non sarebbe stato inizialmente realizzato in funzione sacramentale. Costituirebbe invece, in realtà, la parte inferiore (meta) di un piccolo mulino di epoca romana, opportunamente riutilizzata, in un’epoca imprecisata, a scopo cultuale cristiano.
La parte superiore, biconica (catillum) del mulino sarebbe invece perduta.
In altri termini, ci troveremmo di fronte ad un classico caso di “riuso dell’antico”, tipico dell’età medievale. Decisive, ai fini della risoluzione del problema, sono risultate le osservazioni fatte dal prof. Custode Silvio Fioriello, archeologo classico dell’Università di Bari, cortesemente comunicateci in data 16 agosto scorso per posta elettronica, in risposta ad una nostra precedente missiva. A conferma della giustezza delle considerazioni dell’archeologo barese stanno le analogie, lampanti, con tutta una serie di manufatti simili al nostro, eccellenti termini di confronto per chiarire la funzione originaria dell’oggetto conservato a San Pietro in Bevagna. A Pompei , infatti, sono conservati diversi esemplari di mulini di età romana, tutti in pietra lavica, come dello stesso materiale sono gli altri mulini di età romana che si rinvengono in Sicilia, in Francia, in Spagna.
Restano invece oscure la provenienza geografica del materiale utilizzato (basalto) e il periodo preciso in cui avvenne il riutilizzo in funzione cultuale del manufatto “petrino”, che è arduo stabilire con certezza, ma che è da inquadrare quasi certamente in età medievale, verosimilmente in epoca bizantina, dal momento che le misure del catino battesimale fanno riferimento a quell’ambito culturale, come noi stessi avevamo osservato nel nostro intervento pubblicato su “Liberamente “ del 5 agosto 2012. Risolto un mistero, ne rimane aperto un altro, quello costituito dalla cosiddetta “epigrafe petrina”. Si tratta di una iscrizione in latino attualmente custodita all’interno della Biblioteca Comunale M.Gatti di Manduria, di cui pubblichiamo una riproduzione fotografica (cortesemente concessaci dalla Direzione della Biblioteca).
L’epigrafe è in lettere latine e misura cm. 35 di lunghezza, cm. 28,5 di larghezza e cm. 2,3 di spessore. Essa è inedita, o meglio, è stata studiata unicamente dallo storico locale Antonio Bentivoglio (1946-2004), il quale l’ha considerata come “memoria”, alla stregua di una prova tangibile del presunto passaggio di San Pietro apostolo nel territorio mandurino.
Al di là dell’interpretazione e della contestualizzazione storica del manufatto (è noto che la tradizione del passaggio di San Pietro in Puglia è stata sottoposta in tempi recenti ad una serrata critica storica,che ne ha negato l’autenticità) l’epigrafe resta a tutt’oggi un oggetto misterioso, nel senso che non si è ancora fatta piena luce ne' sull’interpretazione ne' sulla datazione.
Allo scopo di ottenere, per quanto possibile, un chiarimento, ci siamo permessi di chiedere un parere al prof. Antonio Enrico Felle, associato di Archeologia cristiana presso l’Università di Bari, il quale ha per il momento affermato, riservando le conclusioni ad un’analisi più approfondita, che l’epigrafe, verosimilmente, non è di età apostolica, ma sarebbe molto più recente, probabilmente cinquecentesca, se non proprio di età addirittura posteriore.
Rimangono però alcuni seri ostacoli ad una corretta contestualizzazione storica del manufatto, costituiti dal fatto che non sono chiari ne’ il contesto materiale, ne’ l’epoca, ne’ le circostanze in cui esso e’ stato rinvenuto. L’amico Antonio Bentivoglio affermava che l’epigrafe proveniva dall’area del Cimitero Vecchio di Manduria, cioè verosimilmente dalla zona adiacente la chiesa di Santa Croce, nei pressi dell’attuale Parco Archeologico, ma le circostanze e il luogo esatto del rinvenimento, come già detto, restano oscure. Ad onore del vero, non si sa neanche chi ha preso l’iniziativa, sicuramente meritoria, di conservare l’epigrafe nella Gattiana di Manduria, dopo averla messa in salvo.
In ogni caso quest’epigrafe, di cui del resto ancora non si è correttamente interpretato neanche il contenuto,non sembrerebbe costituire prova del presunto passaggio di San Pietro nel territorio mandurino , contrariamente a quanto sostenuto da tempo in ambito locale.Il luogo del rinvenimento (il Cimitero Vecchio ) ci fa propendere, invece, per un’altra ipotesi: il manufatto potrebbe far parte dell’insieme delle epigrafi funerarie collocate da tempo immemorabile nei pressi delle sepolture un tempo adiacenti alla chiesa di Santa Croce, e provenire quindi realmente dal Cimitero Vecchio, impiantatovi non si sa con precisione in che epoca, ma verosimilmente in età moderna.
Nicola Morrone