Nel suo studio su Dante la presenza incisiva di Giovanni Pascoli
di Pierfranco Bruni
A venti anni dalla morte di Cosimo Fornaro (1928 – 1992). Vissuto nella Magna Grecia delle “intermittenze” simboliche e storiche, dove la storia supera il quotidiano e si definisce come ancestrale meteora nel tempo proustiano. Vissuto sulle sponde della Magna Grecia del Novecento, i cui richiami hanno echi ellenici. Il poeta, lo scrittore, il pensare la letteratura dentro la vita e il considerare le parole come esperienza in una visione escatologica dell’esistenza sono nel cammino di Fornaro.
Oltre il poeta e lo scrittore di percorsi narranti, in cui la memoria è il legame tra archetipi e miti, tra passaggi quasi alchemici e linguaggi, si intreccia (Fornaro è un intrecciatore di “trame” letterarie) il contemplante studioso di Dante e delle letterature europee che si lasciano tracciare la strada dai segni dogmatici della rivelazione. Rivelazione che ha non soltanto un valore ontologico ma anche esistenziale.
Proprio su questa linea, Fornaro, si è confrontato e incontrato con poeti, scrittori, mistici. Da San Francesco, l’iniziatore di un poesia occidentale moderna, sino a Giovanni Pascoli. Il tutto attraverso la dimensione sia onirica che metaforica della “Commedia” di Dante, alla quale ha dedicato il suo impegno intellettuale e operativo (anche come importante esponente dalla Società Dante Alighieri) con scritti che hanno scavato nel rapporto tra il Dante contemporaneo del Medioevo e il Dante nella modernità del Novecento.
Uno dei raccordi che Fornaro ha individuato e indicato è quello dei rimandi costanti. Tra questi campeggia il richiamo, che ha del sublime, a Giovanni Pascoli. Il Pascoli di Fornaro, che troviamo nei suoi studi critici e soprattutto nel suo saggio “Costellazione Dante” (Borla, 1989), è il poeta che sembra dialogare, attraverso alcune tappe dentro il viaggio del “Purgatorio” e del “Paradiso”, con autori come Borges, Eliot, Kafka, Leopardi, Manzoni, Omero, Pound, Rimbaud, Tomasi di Lampedusa, Virgilio partendo, chiaramente, da Francesco d’Assisi.
Il Pascoli di Fornaro vissuto in Dante è quello dei “simboli” e delle “immagini”, è quello che si raccoglie nel “cuore della creazione”. Fornaro, nelle sue “Costellazioni”, leggendo il verso 104 (“Amor sementa in voi d’ogni virtute”) del XVII Canto del Purgatorio riprende Pascoli in linea con Borges e Neruda lasciandoci questo pensiero: “Anche Pascoli, parlando della poesia di Virgilio, dice che essa somiglia al grano, il cui seme marcisce nell’umida terra e la cui spiga svetta nell’aria aprica; oppure alla vite che ha le radici tra i sassi e il grappolo maturo nella luce del sole” (Fornaro, pag. 130).
Pascoli accompagna Fornaro in molte interpretazioni su Dante. Ma il Pascoli che studia Dante è il poeta della oscura Minerva, del velame che nasconde, della luce stellare (come abbiamo sostenuto, chi scrive e Marilena Cavallo, nel saggio su Pascoli, tanto discusso positivamente, dal titolo “Nel mare di Calipso”, Pellegrini editore) in una contestualizzazione quasi eretica rispetto alle interpretazioni di un Dante “secolarizzato” e scolasticizzato dal quale lo stesso Fornaro si distacca sin dalle prime battute del suo saggio.
Fornaro, dunque, ascolta Pascoli e lo fa commentando tre versi del “Paradiso”.
Il verso 80 del V Canto: “Uomini siate e non pecore matte”. Qui Fornaro chiude addirittura il suo capitoletto riconsiderando il Pascoli del poeta – fanciullo e lascia questo inciso: “… il Pascoli, che volle ricercare se vi sia felicità in ‘quest’atomo opaco del male’, pensò di trovarla nello scalare la montagna, sorretto da una piccozza, non per tornare a valle a cogliere gli applausi, ‘ma per restare la dov’è ottimo/restar sul limpido culmine’”.
Successivamente Pascoli si trova nel commento del verso 43 (“Intra Tupino e l’acqua che discende”) del canto XI sempre del “Paradiso” e lo si colloca tra i poeti che, nonostante abbiano sete di luce ,non fanno altro che “corteggiare la morte”.
Infine nel Canto XV (“Paradiso”) nella proposta del verso 13: “Quale per li seren tranquilli e puri”. Fornaro penetra i labirinti del mistero, del segreto e del silenzio e chiama in causa proprio Pascoli. Così: “Come per Pascoli: ‘E tu Cielo,/dall’alto dei mondi/sereni, infinito, immortale,/oh! Del Male”.
Pascoli viene seguito, nell’analisi di Fornaro, da Mario Luzi che si incastona nella presenza illuminante di Francesco d’Assisi. Il Pascoli che propone Cosimo Fornaro non è, comunque, soltanto lo studioso del simbolismo dantesco. Vive nella visione onirico – temporale di una poesia che raccoglie le ferite della nostalgia di una vita in cui la memoria può diventare lo specchio wildiano, ma anche il tragico teatro di un Kafka, più volte citato in Fornaro, nella recita tra Pirandello e Ionesco.
Fornaro, proprio grazie a Dante legge e propone, nella sua tradizione, un Pascoli che è dentro la sua esperienza non solo intellettuale ma umana perché resta vivo quel suo pensiero su Dante: “Rileggere Dante con la cultura della nostra esperienza è rileggere la nostra stessa vita”.
Un invito che ha alla base quella “suggestione di profezia” che intrappola l’universale indefinibile della poesia. E Pascoli, ovvero il Pascoli di Fornaro letto con le “parole” di Dante, è nel porto della profezia.