martedì 26 novembre 2024


10/11/2012 10:45:13 - Salento - Attualità

Tagliati 7389 posti letto, via oltre mille primari. Sparirà il 63% delle case di cura convenzionate

 
Oltre mille primari costretti a fare le valigie e a chiudere i battenti ad altrettanti reparti, poco sicuri perché operano o ricoverano con il contagocce. Oltre la metà delle case di cura private che rischiano di perdere la convenzione con le Regioni. A rischio chiusura circa 160 ospedaletti con meno di 120 posti letto. E poi impiegati di Asl e ospedali da mettere in mobilità se non peggio e, come noto, 7389 posti letto da tagliare negli ospedali pubblici, che portano il totale dal 2009 a quota 26mila. 
A distanza di poco più di 48 ore dall’invio alle Regioni assume sempre più i contorni di una vera rivoluzione il regolamento firmato Balduzzi che mette a dieta cliniche e nosocomi pubblici in applicazione a quanto previsto dalla spending review. «Non tagli lineari - assicura il ministro della Salute - ma razionalizzazione del sistema».
Parole che sembrano raccogliere al volo l’esortazione del presidente Napolitano, che proprio ieri ha parlato di salvaguardia del servizio sanitario pubblico compatibile con le politiche di riduzione di spesa «a patto che ci sia la ricerca di soluzioni razionalizzatrici e innovative». «Siamo nei primi posti al mondo ma per poterci rimanere occorre una manutenzione straordinaria», ha detto il titolare della Salute, riferendosi appunto al regolamento ministeriale che porta a 3,7 per mille abitanti il parametro dei posti letto. Obiettivo che Balduzzi vuole raggiungere fissando precisi parametri, come il bacino di utenza, che per gli ospedali di base andrà da 80 a 150mila abitanti, mentre per quelli più complessi di primo livello oscillerà tra 150-300mila assestandosi tra i 600mila e il milione e 200mila per quelli di secondo ad alta specialità. Senza trascurare i volumi di attività, come il tasso di occupazione dei posti letto al 90% o la soglia minima di ricoveri ed interventi, che ad esempio per il bypass non dovranno essere meno di 150. 
Oggi troppo spesso, come documentato dal ministero, si tende invece a fare spezzatino degli interventi chirurgici, distribuendoli in più reparti, il più delle volte per giustificare l’esistenza del reparto stesso e del primario che lo dirige, anche se le linee guida internazionali dicono che sotto una certa soglia di attività manca l’esperienza necessaria a lavorare in sicurezza. Lo stesso ministero con il «Piano esiti» ha rilevato che dove si vedono meno pazienti più scarsi sono gli indici di guarigione e più alti gli indici di mortalità. Per fare un esempio, al Policlinico Umberto I di Roma gli interventi di tumore allo stomaco si fanno in ben 15 reparti diversi, tanto che spesso se ne arrivano a fare uno, due l’anno, quando la soglia di sicurezza è fissata a 20 l’anno.
Fissati i parametri al ministero i tecnici hanno iniziato a calcolarne in questi giorni gli effetti. I dati non sono ancora definitivi ma le prime elaborazioni dicono che i reparti da chiudere sarebbero 1100-1200 mentre dei 365 ospedali con meno di 120 posti letto ancora in funzione, nonostante le leggi che da circa venti anni ne intimano la chiusura, oltre 160 dovrebbero chiudere e riconvertirsi in strutture riabilitative o per l’assistenza territoriale. A rimanere aperti, spiegano al dicastero, sarebbero in pratica quelli in zone disagiate. 
Ma il regolamento assesta un durissimo colpo soprattutto alle case di cura convenzionate, che con meno di 80 posti letto devono chiudere. Gli esperti di «quotidianosanità.it» hanno fatto i conti partendo dalla mappa ministeriale delle strutture private e hanno scoperto che a non lavorare più per il pubblico sarebbero 257 su 406, il 63% del totale, pari a 10.400 letti per acuti. Alcune con una manciata di ricoveri o, caso incredibile ma vero, un solo letto per fare day hospital.










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