Anche per Avetrana salterebbe il passaggio nella provincia di Lecce
Sipario: il decreto che riordina, taglia e accorpa le Province non sarà convertito in legge. Tradotto: la riforma istituzionale - messa a punto dal governo in un anno di lavoro, colpi di lima e cesello, confronti serrati con partiti ed enti locali - non vedrà la luce. Lo ha deciso all’unanimità la Commissione Affari costituzionali del Senato, in tarda serata: troppi i 140 sub-emendamenti accumulati ai confini del decreto, che dovrebbe coronare l’iter parlamentare di conversione entro il 5 gennaio. I senatori lo hanno deciso alla presenza dei ministri Filippo Patroni Griffi (Funzione pubblica) e Pietro Giarda (Rapporti con il Parlamento). La svolta a gomito nel copione, declinata su scala pugliese, sancisce l’armistizio tra campanili: le Province di Brindisi, Taranto e Bat non evaporano nel nulla, restano in vita e dribblano per incanto l’accorpamento.
Lieto fine, almeno per i territori direttamente coinvolti nell’aspro duello a suon di rivendicazioni, accuse, tranelli, delibere e campi minati apparecchiati per far deflagrare per aria il riordino. Ma resta intatto l’allarme lanciato dal governo proprio l’altroieri: la mancata conversione del decreto comporterà il caos, facendo lievitare i costi e lasciando sguarnite di copertura istituzionale importanti funzioni. Dalle scuole alle strade, dai rifiuti alla tutela ambientale e idrogeologica. Il dubbio è inestricabile: decadendo il decreto sul riordino delle Province, a chi spetta gestire scuole, ambiente e strade provinciali visto che nessuna Regione ha provveduto a varare la legge regionale di trasferimento delle competenze? In sostanza si tornerebbe al decreto Salva Italia (il provvedimento, varato nel dicembre 2011, con cui il governo fissava i criteri di massima del riordino istituzionale): «I perimetri e le dimensioni delle Province - avverte il governo nel suo dossier - resterebbero quelli attuali, e verrebbe meno l’individuazione delle funzioni di area vasta come funzioni fondamentali delle Province». Alla luce di tutto ciò, «le Regioni dovrebbero emanare entro la fine di quest’anno leggi per riallocare le funzioni tra Comuni e Regioni stesse» e ciò comporterà la «devoluzione delle funzioni alle Regioni con conseguente lievitazione dei costi per il personale (ndr: quello regionale costa più di quello provinciale e comunale) e la probabile costituzione di costose agenzie e società strumentali per l’esercizio delle funzioni». E semmai le Regioni non dovessero provvedere, lo Stato interverrebbe in via sostitutiva.
Alla luce della mannaia piombata sul decreto, spunta comunque un piano-B: spacchettare il decreto e inserire alcune norme nella legge di Stabilità (che comunque incasserà l’ok del Parlamento). In questo caso verrebbe spianato un salvacondotto per le funzioni, ipotizzando un rinvio della riorganizzazione mediante una proroga. Amara la riflessione di Antonio Saitta, presidente dell’Unione delle province: «Sul nulla di fatto hanno pesato i localismi e chi vuole conservare così com’è l’organizzazione attuale dello Stato». A questo punto, aggiunge, «spero che il Parlamento affronti nella legge di Stabilità qualche proposta per aiutare le Province, le quali, non avendo più funzioni fondamentali da svolgere, rischiano di morire. Ma ancor più è necessario garantire i servizi nel Paese che ora sono a rischio, come la manutenzione delle scuole, delle strade, i centri per l’impiego e il trasporto locale».