giovedì 28 novembre 2024


29/12/2012 08:24:54 - Provincia di Taranto - Cultura

L’intervento dell’operatore culturale Pierfranco Bruni

 
Le città che “producono” cultura sono le città che vivono la cultura come processo di valorizzazione delle qualità, delle competenze, delle dialettiche. Le città che “elaborano” cultura sono le città che riescono coraggiosamente a fare delle scelte su questioni non solo territoriali ma su una articolazione di valori intellettuali. Le città che “propongono” una visione e una concretizzazione dei prodotti culturali sono le città immerse nella cultura.
La staticità non produce cultura. Il rimpianto per gli amori persi è agonia. La nostalgia è una ricordanza che racconta favole antiche. I processi culturali si inventano proprio nel momento in cui il vuoto è assillante e il discutere da decenni diventa una banale retorica. Taranto è una città della cattiva reto - (o retro) – torica (K – dalla geometria descrittiva) ma non conosce la “persuasione” (ovvero ciò che intende Carlo Michelstaedter come fenomenologia del pensiero). Ovvero, una città senza pensiero? D’Annunzio, direbbe, una città morta. Le città vive sanno intrecciare la morte e il senso di morte con l’ironia. Neppure questo. Dureraniamente non c’è cavaliere perché nella assenza della cultura manca persino l’ironia.
Allora. Taranto non produce cultura. Dimostratemi il contrario. Taranto non elabora cultura. Dimostratemi il contrario. Taranto non propone cultura. Dimostratemi il contrario. Io, io soltanto, mi riferisco a quel concetto di “qualità” sul quale Musil ha costruito, mannianamente, la sua “montagna incantata”. Qui tutto si lascia trascorrere con piccole candele di quartiere che si spengono al primo alzare di vento.
Parlo di Taranto per parlare anche della sua provincia come geografia culturalmente assente (sempre in riferimento ai concetti di qualità). Un territorio tra fiere e finzioni che non hanno borgesemente alcuna “cifra” di respiro culturale.
Taranto è stata una capitale archeologica. Chiedo scusa. Una delle capitali della Magna Grecia. Non la Capitale. Oggi è il vuoto. Tra quelle capitali di una memoria sconfitta ci sono città che si sono scrollate dalla reto (retro) torica e hanno costruito un viaggio non solo alla ricerca dello smarrito ma alla ricerca di una presenza nel futuro.
Sibari. Era un deserto bagnato dal mare. Una terra desolata ed eliotiana dopo il 510 a. c. Oggi è la meraviglia che lega il castello di Roseto a Kroton. Sibari e Cassano Ionio (con un Premio Magna Grecia puntuale da oltre trent’anni) producono cultura. In questi giorni di festa vi invito ad una passeggiata e in questi luoghi l’Arberia vi fa da cornice. Senza retorica.
Cosenza: dalla Università alla Biblioteca Nazionale, dal Teatro Rendano (nella storia del teatro europeo) alle case editrici che non solo fanno un singolare lavoro editoriale ma producono cultura (Il Terrazzo culturale della Pellegrini è un laboratorio di pensiero: viaggiate e vi renderete conto).
Tropea, Vibo, Catanzaro: città che fanno cultura. (Ma io sono calabrese e quindi non posso essere credibile ma vivo a Taranto /?/, anzi sono più gli anni vissuti tra Roma, Taranto, Roma che quelli trascorsi in Calabria ma so osservare, ascoltare, praticare, viaggiare senza la noia e l’ozio, senza l’oblio e il camminare menando i piedi sui passi già fatti).
E poi Reggio Calabria con la sua storia (i suoi bronzi? ma Taranto non ha i suoi Ori?) tra Oriente arabo e Occidente bizantino tra le maree dello Stretto e le onde pascoliane greche e latine. Nelle capitali che sono state centri della Magna Grecia si continua a produrre cultura perché gli intellettuali ci sono e hanno la coerenza, il coraggio, non la superbia, la lealtà, la dignità di Campanella, di Giochino da Fiore, di Nicola Misasi, di Corrado Alvaro che nel suo “Itinerario Italiano” ha tracciato una mappa delle Provenze del Mediterraneo. La Calabria vive la cultura, non la subisce, non dimentica, la esporta con le eccellenze. Ma questo è un altro discorso.
La qualità, invece, resta una questione aperta per Taranto. Il parlarsi addosso di chi ha in una mano il falso moralismo e sul capo la spada di Damocle. Sono irriguardoso nei confronti di questa terra dagli antichi scavi leonidiani? No. Sono uno che osserva, che ascolta, che legge, non “spara” alle spalle e ha lo sguardo tirato nel silenzio. D’altronde sono un calabrese.
Dove sta un progetto culturale per questa città? Le Istituzioni come le stelle di Cronin (1935, e non solo) stanno a guardare. Mentre il mio D’Annunzio recita il suo “notturno”.
Ma si sa che le aquile non volano mai a stormi (“le aquile non volano a stormi/vivo è il rimpianto della via smarrita/ nell'incerto cammino del ritorno”, Battiato).
Questa città muore nella perdita e nell’assenza della cultura con chi è convinto che lamentarsi è il tutto mentre si passa il tempo a sbucciar la “pelle” alle patate.
 
Pierfranco Bruni










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