Il docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano è stato di recente a Manduria per tenere una conferenza sul tema “In piedi, Organizzatori della Speranza”
È per me - che sono nato a Martina Franca e vivo, lavoro e insegno a Milano - motivo di grande gioia parlare a Manduria, una delle capitali del vino (rectius: del grande vino), vale a dire di quel vino capace, grazie al suo equilibrio e alla sua freschezza, di donare al bevitore avveduto un’emozione di intima soddisfazione e di intensa felicità.
Che si tratti di grande vino è certificato, da ultimo, dal riconoscimento attribuito dagli esperti per il secondo anno consecutivo di miglior rosso d’Italia al Primitivo di Manduria “Es” 2010 di Gianfranco Fino. Complimenti.
Ma, mi piace sottolinearlo, è certificato anche dalla storia: quella meravigliosa che emerge dal Museo della civiltà del vino Primitivo. Complimenti.
Il 20 dicembre, con il berretto da economista, sono stato relatore in materia di rapporto banche-imprese presso il Chiostro di San Domenico a Noci.
L’ho detto due giorni fa, lo ripeto stamattina, 22 dicembre 2012, presso l’Aula Magna del Liceo Classico Scientifico “Galilei – De Sanctis” di Manduria.
A mio avviso, a seguito della crisi finanziaria e economica viviamo in un’epoca in cui si è avverato ciò che un timido ed eccentrico docente di matematica pura aveva previsto nel 1896, nel libro “Attraverso lo specchio”. In precedenza aveva scritto “Alice nel Paese delle Meraviglie”. Il suo nome è Lewis Carroll.
“Nel Regno della Regina Rossa per mantenere il proprio posto, occorreva . . . . come adesso . . . . correre a più non posso; per andare da qualche altra parte, occorreva . . . . come adesso . . . . correre almeno il doppio”.
Due giorni fa ho aggiunto una considerazione brutta, cattiva, infame . . . .che ribadisco stamattina: “Per andare da qualche altra parte, per avanzare, . . . . se fai impresa al Sud . . . .non basta correre almeno il doppio, ma occorre correre almeno il triplo”.
Quando. . . . a Manduria, per mantenere il vantaggio competitivo di essere capaci di produrre un vino impareggiabile come il Primitivo di Manduria . . . . occorre correre almeno il triplo?
Adesso. . . . starsene freddi e morti, ad esempio con riguardo all’assurdo progetto di impiantare a Manduria dei parchi eolici, è inconcepibile!
Adesso. . . . non crescere è un errore!
Adesso. . . . non sognare è un errore blu!
Ne sono più che convinto: Se non si sogna . . . . non si progetta; e se non si progetta . . . . non si realizza.
Ciò premesso, raccogliendo l’invito di Rosanna Rossetti, presidente del Lions Club di Manduria, e del vostro dirigente scolastico Addolorata Micelli, devo parlarvi di prospettive future, declinando le variabili crescita economica e giovani.
CRESCITA ECONOMICA
Parlare di crescita economica quando tutti parlano di crisi, recessione, decrescita, rigore. . . .non è per niente semplice.
Mi avvalgo, al riguardo, di un’efficace, quantunque angosciante, fotografia della situazione attuale scattata da Lorenzo Jovanotti Cherubini. La foto, in realtà, è un sonetto rap chesi intitola “L’ingorgo”.
L’ingorgo si formò per congestione
senza un vero motivo scatenante.
Si cominciò ad andare lentamente
fino a totale immobilizzazione.
Passarono i minuti, poi le ore:
non si poteva andare, né voltarsi.
Qualcuno cominciò ad abituarsi.
Spensi il motore e stetti ad aspettare.
La radio che diceva sta passando
e lo diceva ormai a ripetizione:
pensai che fosse una registrazione.
Restammo nell’ingorgo fino a quando
l’ingorgo diventò la condizione.
Si morì di vecchiaia, lì aspettando.
Sta già passando, diceva il presidente
col suo consiglio intorno a fargli il coro;
ritornerà mobilità e lavoro,
intanto andiamo avanti come sempre.
Blocchi nelle autostrade e in tangenziale:
ingorgo condizione permanente.
Nascevan bimbi e ci moriva gente
dentro a quell’immobilità totale.
Nessuno che prendeva decisioni,
nessuno a immaginare altri scenari. . . .
Nessuno a immaginare altri scenari. . . .Restando, ovviamente, in campo economico, segnalo che in Italia c’è ancora poca osmosi tra ricerca applicata, innovazione tecnologica e rapporti università-imprese.
Eppure la ricerca produce conoscenza e l’innovazione la sfrutta per generare vantaggi competitivi.
L’ultima edizione dell’Innovation Union Scoreboard (IUS 2011 del 7 febbraio 2012) divide i 27 paesi dell’Unione Europea in quattro gironi.
La prima in classifica è la Svezia.
L’Italia figura al sedicesimo posto e si colloca nel terzo girone insieme a Grecia, Spagna, Portogallo, Malta, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia.
Povera Italia!
Non mi stancherò mai di ripeterlo. La capacità innovativa è una delle priorità strategiche per lo sviluppo del nostro Paese, un progetto ineludibile se vogliamo davvero restare nel gruppo delle economie più avanzate.
Come se non bastasse, l’Italia è inserita nell’area dell’euro.
Un’area, purtroppo, che:
Ø è affetta da grave miopia;
Ø ha serie difficoltà di crescita;
Ø è dilaniata da liti e, sovente, da insulti tra le contrapposte fazioni che, non avendo ancora capito di trovarsi sullo stesso treno, si accapigliano . . . . per un posto in prima classe.
Povero Vecchio Continente!
Crescita economica. . . .L’analisi sulla crescita per il 2013 della Commissione Europea individua cinque priorità:
1) lottare contro la disoccupazione e le conseguenze sociali della crisi;
2) ripristinare la normale erogazione di prestiti all’economia;
3) portare avanti un risanamento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita;
4) promuovere la crescita e la competitività nell’immediato e per il futuro;
5) modernizzare la pubblica amministrazione e correggere il malfunzionamento della giustizia civile.
Faccio alcune considerazioni sulla prima priorità: lottare contro la disoccupazione e le conseguenze sociali della crisi.
La strategia “UE 2020” fissa due obiettivi specifici per il 2020: un tasso di occupazione delle persone tra i 20 e 64 anni nell’UE pari al 75% e una riduzione di almeno 20 milioni del numero di persone a rischio di povertà o esclusione sociale.
Nell’ambito del Programma Nazionale di Riforma dello scorso anno, l’Italia ha fissato i corrispondenti obiettivi nazionali in:
un tasso di occupazione del 67-69% (più basso della media UE);
una riduzione di 2,2 milioni del numero di persone a rischio di povertà o esclusione sociale.
Come è andata la marcia di avvicinamento ai citati obiettivi? Non bene, ahinoi.
Per rendersene conto, testiamo adesso l’indicatore di grave deprivazione materiale, precisando che individua la quota di persone che vivono in famiglie con almeno 4 tra le 9 seguenti difficoltà:
non riuscire a sostenere spese impreviste;
avere arretrati nei pagamenti per mutuo, affitto, bollette;
non potersi permettere in un anno una settimana di ferie lontano da casa;
non potersi permettere l’acquisto di un’automobile;
non potersi permettere un pasto adeguato almeno ogni 2 giorni;
non potersi permettere di riscaldare adeguatamente l’abitazione;
non potersi permettere l’acquisto di una lavatrice;
non potersi permettere l’acquisto di un televisore;
non potersi permettere l’acquisto di un telefono. . . .
Dobbiamo crescere! Ma come si fa a crescere? Semplice, come ho detto prima, lottando, ripristinando, portando avanti, tagliando, promuovendo, modernizzando, correggendo. . . .manca un gerundio, il più importante di tutti, massimizzando. . . . .cosa?. . . . i nostri vantaggi competitivi: la capacità creativa, la dotazione culturale, il gusto della qualità, la consapevolezza della nostra unicità, la capacità di cogliere e soddisfare i desideri irrazionali, la forza della tradizione, la vocazione estetica, lo stile di vita, la flessibilità.
CRESCITA ECONOMICA E GIOVANI
La crescita economica non può fare a meno dei giovani. La bassa crescita dell’Italia negli ultimi anni è anche riflesso delle sempre più scarse opportunità offerte ai giovani di contribuire allo sviluppo economico e sociale con la loro capacità innovativa.
Se è vero che la crescita economica non può fare a meno dei giovani, è altrettanto vero che i giovani non possono fare a meno della crescita economica.
Una considerazione per tutte. La spesa pensionistica in Italia è significativamente maggiore rispetto a quella dei paesi OCSE (14,1% sul PIL rispetto al 7% medio).
Nel 2010 tra i paesi OCSE l’Italia era il secondo paese più anziano dopo il Giappone, con 2,6 persone in età di lavoro (20-64 anni) per ogni anziano (65+). Tendenza in aumento, a causa della bassa fertilità e dell’elevata speranza di vita.
Se tali dati vengono letti assieme alla prospettiva di un profilo del rapporto spesa pensionistica/PIL crescente fino al 2030, si comprende che l’invecchiamento della popolazione pone questioni di sostenibilità della spesa sociale che sono ben lungi dall’essere risolte. Va inoltre considerato che dai primi anni novanta i salari e gli stipendi d’ingresso dei più giovani si sono ridotti in termini reali, senza essere compensati da una più rapida progressione salariale nella successiva carriera lavorativa.
Da un po’ di tempo si parla di giovani come generazione tradita, esclusa . . . .di adulti contro giovani. Tutti i giornali e i media riportano titoli quali: “L’Italia è contro i giovani”, “L’Italia non è un Paese per giovani” . . . .
In data 22 maggio 2012 il Rapporto annuale ISTAT circa la situazione del Paese ha ribadito che il numero dei giovani Neet (Not in Education, Employment or Training, 15-29 anni) ha superato 2,1 milioni di unità, pari al 22,7% della popolazione di questa età (Cfr. pag. 124).
Siamo di fronte ad un enorme spreco di risorse . . . . di risorse umane . . . .di vite!
Una considerazione fondamentale. Per parlare di giovani, per parlare ai giovani ho bisogno di aiuto e non posso indossare, come ho fatto fino ad adesso, solo il berretto da economista.
L’aiuto lo chiedo a don Tonino Bello: un testimone-maestro, un vescovo-poeta, un profeta-prossimo santo, che ha indicato chiaramente che per tutti noi, per i giovani in particolare, è necessario coltivare una speranza indistruttibile e affrettare la cadenza dei passi.
A questo punto sorge spontanea una domanda difficile: cosa si intende per “giovani?”
LE VARIEGATE ACCEZIONI DI “GIOVANI”
La scienza statistica utilizza, prevalentemente, un’accezione classica di giovani (da 18 a 29 anni) e un’accezione di giovani not in education, employment or training (da 15 a 29 anni).
Se don Tonino Bello fosse qui, quale di queste due accezioni utilizzerebbe?. . . . Nessuna delle due: ne utilizzerebbe un’altra, anche se di difficilissimo computo per gli statistici. Direbbe:
“Vi ricordate i versi di Trilussa intitolati Favole?
Pe’ conto mio la favola più corta
è quella che se chiama Gioventù:
perchè. . . .c’era una vorta . . . .
e adesso nun c’è più.
E la più lunga? È quella de la Vita:
la sento raccontà da che sto ar monno,
e un giorno, forse, cascherò dar sonno
prima che sia finita . . . .”
La commenterebbe così:
“La gioventù si vive una volta sola, ma potete rimanere con il cuore giovane per tutta la vita.
Ragazzi, se voi volete, c’è sempre la gioventù, perché si è giovani non sulla base del numero degli anni che si è vissuto, ma sulla base del saper coltivare degli ideali per i quali valga la spesa battersi.
Ragazzi, fate in modo che quando questa favola della vita, la più lunga, finirà, voi possiate sentirvi sempre col cuore giovane”. (Cfr. Renato Brucoli, “L’alfa”, in Giovani, Edizioni Messaggero Padova, 2009, pagg. 59-60).
Avere il cuore giovane è essenziale per affrettare la cadenza dei passi, per correre, per correre velocemente.
Sappiamo tutti che quando si corre velocemente (pensate ad un centometrista) si sollevano i piedi da terra: un fermo immagine mostra che si sollevano da terra entrambi i piedi. Se don Tonino Bello fosse qui, apprezzerebbe l’immagine di ragazzi che, correndo, si sollevano da terra? Non ho dubbi: l’apprezzerebbe moltissimo e direbbe:
“Ragazzi, non lasciatevi suggestionare dal mito di dover camminare con i piedi per terra, perché quello è un mito che viene adoperato moltissimo, strumentalmente dal mondo degli adulti.
A furia di camminare con i piedi per terra, ci stiamo appiattendo alla banalità più assurda.
Io credo che siete voi, invece, che dovete impregnare di luce, di sogno, di entusiasmo, di passione la vita così arida, così secca degli adulti”.
E, un attimo dopo, aggiungerebbe:
“Ragazzi, istituite un fondo internazionale di speranza.
Raccogliete gli scampoli superflui della vostra innocenza, i ritagli della vostra limpidezza, gli spezzoni eccedenti della vostra voglia di vivere.
Fate una colletta dei vostri sogni impossibili. Raccontate i residui delle vostre illusioni.
E inviate, adesso, a noi adulti il pacco dono della vostra misericordia”.
Permettetemi di allargare il discorso a come è cambiato il contesto in questi ultimi anni. È chiaro che, se volessi parlarne compiutamente, avrei bisogno di un corso di laurea. Ma, io seguo la strada tracciata da don Tonino Bello, con una variante: anziché una favola di Trilussa, utilizzo una recente canzone di Lorenzo Jovanotti Cherubini che, pensate un po’, è contenuta nell’album “Ora”.
Ci ascoltano al telefono
Ci guardano i satelliti
Ci intasano nel traffico
Controllano gli acquisti
Ci rubano le password
Ci frugano nel bancomat
Ci irradiano
Ci scannerizzano
Ci perquisiscono
Ci sommano le cellule
Controllano i rifiuti
Ci spiano telecamere piazzate sui semafori
Ci seguono col radar
Ci usan per i calcoli
Controllano le cose che guardiamo alla parabola
Controllano le cose che facciamo la domenica
Ci fanno propaganda elettorale nella predica
Ci impongono censure sulle cose da sapere
Ci danno indicazioni sulle fonti di piacere
Ci dicon cosa bere
Ci copiano lo stile
Ci giudicano in base a quale zona uno vive
Ci timbrano la mano per uscire dal locale
(Cfr. Lorenzo 2011, Sulla frontiera)
In un siffatto contesto sociale, sapete qual è la considerazione di Jovanotti? . . . . Qual è il ritornello che ripete più volte?
Eppure non mi sono mai sentito così libero.
Eppure non mi sono mai sentito così libero.
Perché io danzo. Perché io danzo sulla frontiera.
Perché io danzo. Perché io danzo sulla frontiera.
DANZARE LA VITA ORGANIZZANDO LA SPERANZA
A questa considerazione ho associato immediatamente, dal primo momento che ho ascoltato la canzone di Jovanotti, un meraviglioso pensiero di don Tonino Bello:
“Il ritmo della danza è ripetizione di passi, è invenzione di mosse, è strategia, è calcolo armonico, è movimento, è comunicazione. In ultima analisi, è il ritmo stesso della vita . . . . purché, ragazzi, si scelga di danzarla”.
Ci sono. . . . con il suo aiuto sono arrivato alla soluzione.
La soluzione che don Tonino Bello indica ai ragazzi, per stare in linea con i tempi che corrono, è scegliere di danzare la vita:
· senza stancarsi di ripetere i passi;
· inventando nuove mosse sempre e comunque;
· perseguendo una strategia che trasformi i movimenti in calcolo armonico;
· comunicando.
Mi limito, stamattina, ad approfondire solo uno dei citati punti.
Inventare nuove mosse sempre e comunque significa, in termini operativi, accrescere nel nostro Paese la propensione imprenditoriale.
Alla penultima cerimonia di consegna dell’Oscar di Bilancio, a Milano, presso la sede della Borsa Italiana, sui tre maxi schermi campeggiavano due scritte:
Ø orgogliosi di essere italiani;
Ø orgogliosi di fare impresa.
Chi è l’imprenditore? È una persona capace di “creare” valore aggiunto, tanto valore aggiunto, vedendo quasi sempre “il bicchiere mezzo pieno”.
Come ne veniamo fuori da un mondo in cui gli antichi valori sono andati giù, in cui il mare ha inghiottito le boe, sicure e galleggianti, cui attraccavamo le imbarcazioni in pericolo?
Secondo don Tonino Bello non basta più enunciare la speranza: occorre organizzarla. Sottoscrivo, sottoscrivo . . . .sottoscrivo, indicando nei giovani capaci di dar vita ad attività imprenditoriali la punta più avanzata di organizzatori della speranza. Ad essi rivolgo i pensieri di don Tonino Bello:
“Chi spera non fugge: cammina . . . .corre . . . .danza.
Cambia la storia, non la subisce.
Costruisce il futuro, non lo attende soltanto.
Ha la grinta del lottatore, non la rassegnazione di chi disarma.
Ha la passione del veggente, non l’aria avvilita di chi si lascia andare.
Ricerca la solidarietà con gli altri viandanti, non la gloria del navigatore solitario”.
E ancora.
“La speranza è la tensione di chi, incamminatosi su una strada, ne ha già percorso un tratto e orienta i suoi passi, con amore e trepidazione, verso il traguardo non ancora raggiunto”.
L’avvertenza è che il nostro Paese si contraddistingue per l’esistenza di tante PMI, molte delle quali sono imprese familiari.
Qual è il problema più serio che affligge le imprese familiari? È il passaggio generazionale. La statistica ci dice che solo il 33% delle imprese supera il primo passaggio generazionale e solo il 15% delle imprese familiari sopravvive alla terza generazione.
La causa va individuata nel fatto che il genitore aveva tanta voglia di emergere ….il figlio o il nipote, di solito, no!
Lo spirito imprenditoriale è un’attitudine. Chi ce l’ha innata è sicuramente avvantaggiato. Chi non ce l’ha innata, deve impegnarsi parecchio per acquisirla. È comunque certo che lo spirito imprenditoriale non si trasmette dal DNA dei genitori a quello dei figli.
Cosa deve fare chi “da grande” vuol fare l’imprenditore? È mio profondo convincimento che, per conseguire un simile obiettivo, occorrono sostanzialmente tre cose:
· istruzione,
· preparazione,
· determinazione.
Provo a spiegarmi.
L’istruzione allenta i vincoli economici e culturali che legano gli individui al proprio ambiente di origine.
L’istruzione ti fa capire tante cose.
L’istruzione consente di superare un problema enorme, vale a dire l’incomunicabilità.
È grazie all’istruzione che si comprende il significato di un pilastro ai fini dell’attività di impresa: per ottenere un duraturo successo l’impresa deve sapere, deve saper fare e deve farlo sapere.
Il nostro sistema industriale è caratterizzato dalla presenza di un numero rilevantissimo di micro e piccole imprese e da un numero relativamente ristretto di medie e grandi imprese.
Le medie imprese non amano essere visibili. Spesso, infatti, sono guidate da imprenditori riservati, che non si aspettano alcun vantaggio da una maggiore notorietà personale e dei propri modelli di gestione.
È un errore blu, perché la notorietà è essenziale, indispensabile, necessaria per competere nei settori di riferimento del made in Italy.
Tutto ciò si impara a scuola!
Con riguardo alla “preparazione” ritengo doveroso richiamare la valorizzazione del capitale intellettuale, che non è solo capitale umano, ma anche capitale relazionale e capitale strutturale.
Un’avvertenza per l’uso: se si lavora presso aziende all’avanguardia, non importa se ubicate in Italia o all’Estero, s’impara il mestiere al meglio.
Resta da spiegare cosa intendo per “determinazione”. Utilizzo per farlo la risposta che Julio Velasco diede qualche anno fa ad un giornalista, che gli chiedeva come facesse a scegliere, a parità di tecnica, un pallavolista per l’allora invincibile nazionale italiana. Gli rispose: “Semplice . . . . scarto quelli che hanno gli occhi di bue e prendo quelli che hanno gli occhi di tigre”.
Mi permetto di aggiungere che un buon imprenditore, oltre a “occhi di tigre” deve possedere “orecchie alla Dumbo”.
Nelle ultime Considerazioni Finali del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi ci sono una domanda e un’esortazione che mi hanno particolarmente colpito. La domanda è: “Quale Paese lasceremo ai nostri figli?”. L’esortazione è: “Torniamo alla crescita”.
Perché l’esortazione alla crescita?. . . . Perché i ritmi di crescita dell’economia italiana negli ultimi quindici anni non sono sufficienti a sostenere le prospettive di una popolazione che invecchia, di giovani generazioni spesso scoraggiate, spesso escluse, spesso tradite.
Mi permetto di aggiungere che la crescita non è una missione impossibile. Il nostro Paese c’è già riuscito una volta, negli anni cinquanta, sotto la guida di un grande Pugliese, un grande Economista, un grande Governatore della Banca d’Italia: Donato Menichella.
Vi regalo una frase tanto cara a Donato Menichella: “Il futuro nostro, dei nostri figli . . . . sta in noi, in tutti noi”.
Abbiamo ascoltato prima “La lampara”, una meravigliosa preghiera di un altro grande Pugliese, don Tonino Bello, con accompagnamento al violino del maestro Ivan Zittano. Ne ripeto adesso un frammento:
“Concedi, o Signore, a questo popolo che cammina
l’onore di scorgere chi si è fermato lungo la strada
e di essere pronto a dargli una mano
per rimetterlo in viaggio”.
È stupefacente la richiesta di don Tonino (concedi l’onore di scorgere chi si è fermato lungo la strada . . . .), ma a me convince, eccome se convince. Riflettiamoci insieme . . . . Chi, adesso, è fermo lungo la strada, incapace di proseguire il cammino da solo? . . . .
Quando penso a qualcuno fermo lungo la strada. . . .io penso ai ragazzi, oggi mortificati da un’istruzione in certi casi inadeguata, da un mercato del lavoro che sovente li discrimina a favore dei più anziani, da un’organizzazione produttiva che troppo spesso non premia il merito, non valorizza le capacità.
E chi sono i ragazzi? . . .Sono il futuro dell’umanità. . . .adesso!
Ebbene, è mio profondo convincimento che dobbiamo fare di tutto, dobbiamo fare di più . . . . come ci ha insegnato con la sua parola e il suo esempio don Tonino Bello . . . . per stimolare in tutti, nei ragazzi in particolare, una creatività più fresca, una fantasia più liberante e la gioia turbinosa dell’iniziativa.
Dobbiamo convincerci e convincerli che, per crescere, occorre spalancare la finestra del futuro, progettando insieme, osando insieme, sacrificandosi insieme.
È ciò che mi piace definire “la logica della staffetta”. La staffetta è quella gara meravigliosa (sto pensando alla 4x100 metri in atletica leggera) che consente a quattro atleti normali di battere quattro campioni. Ci possono riuscire perché ciò che conta è far viaggiare veloce il testimone e per farlo occorre, soprattutto, essere affiatati nei cambi: un frazionista deve cominciare a correre prima che arrivi l’altro e quest’ultimo deve arrivare alla giusta distanza dal primo.
Se è, però, vero che quattro frazionisti affiatati possono battere quattro campioni, è anche vero che se cade per terra il testimone . . . .non perde il frazionista che ha commesso l’errore . . . .ma perde l’intera squadra.
Mi avvio alle conclusioni, tornando a parlare di vino, di grande vino.
Dopo tutto quello che vi ho detto, capite che condivido completamente quanto affermato dal Presidente Produttori Vini Manduria S.c.A.. Ve lo leggo.
“Per generare un vino impareggiabile come il nostro Primitivo di Manduria, in cui probabilmente la poetessa Saffo avrebbe rintracciato la nouvelle ambrosia, occorre dedicare particolari cure ai vitigni, perché essi producano un’uva delicata che, per esprimersi al meglio, richiede un’amorevole e costante dedizione che solo i piccoli agricoltori possono dare. La meccanizzazione, infatti, non è realizzabile.
Ma i piccoli artigiani, maestri e poeti delle loro vigne, rischiano di scomparire travolti da una repentina ed incalzante trasformazione della società civile che esige un profondo cambiamento, quasi epocale, nel modus operandi.
Perciò necessita un complesso adattamento della mentalità per affrontare una nuova vita lavorativa irta di nuove difficoltà.
Dovranno affrontare una mentecatta burocrazia che li ha equiparati al mondo dell’industria e che ha posto nuove regole e balzelli difficilmente sopportabili per chi adotta la millenaria tradizione del sacrificio, non scevro di un mutuo ausilio, ma velata da una vena di anarchia.
Dovranno scrollarsi di dosso quel fatalismo che li induce a demandare ad altri l’impegno per valorizzare il prodotto del loro sudore.
Dovranno avere fiducia nelle loro forze e nel loro ingegno, per traghettarsi da piccolo “villano” a piccolo “agricoltore”, aggiornandosi per capire le esigenze del nuovo che avanza; solo in questo modo potranno adottare scelte e decisioni utili al loro benessere.
Dovranno rinunciare a quella piccola furbizia del tornaconto personale a danno di altri, necessario probabilmente una volta per difendersi e sopravvivere.
Dovranno avere il coraggio di essere arbitri del proprio destino.
Dovranno non dimenticare mai che hanno un’importante missione da compiere: continuare ad essere, attraverso il loro vino, degni ambasciatori, nel mondo della propria piccola patria.
Se i nostri piccoli agricoltori sapranno sopravvivere, sopravvivrà anche il nostro incomparabile Primitivo di Manduria DOC” (Cfr. Fulvio Filo Schiavoni, “Luci e ombre sul Primitivo di Manduria DOC”, in Alceo Salentino, giugno 2012, pag. 3).
Mi permetto solo di aggiungere che ciò che consente alle imprese di avere successo (oltre al capitale strutturale prima menzionato) è la staffetta, che deve avvenire:
Ø tra grandi e ragazzi;
Ø tra uomini e donne di buona volontà, ovunque siano nati;
Ø tra i giovani, nella meravigliosa accezione di don Tonino Bello.
Io ho dedicato tanti anni della mia vita allo studio delle imprese.
So di una sola impresa in Italia, che ha sempre chiuso i bilanci in utile e che ha distribuito almeno un dividendo tutti gli anni.
Due anni fa alla Convention per i 25 anni di quell’impresa, nel palazzo dello sport di Pesaro sono stati installati a beneficio dei 10.000 presenti due maxi schermi. Sul primo maxi schermo è apparsa una frase, accolta da un applauso: “Se vuoi andare veloce, devi correre da solo”. E poi c’è stato un boato. Cos’era successo? Sull’altro maxi schermo era apparsa la seguente frase: “Ma se vuoi andare ancora più veloce e ancora più lontano, devi correre insieme agli altri”.
La logica della staffetta non è un’utopia; la logica della staffetta è ciò che consente alle imprese di avere un successo duraturo.
Concludo con una meravigliosa esortazione di don Tonino Bello:
“Ragazzi, non abbiate paura
di riscaldarvi adesso,
di innamorarvi adesso,
di incantarvi adesso,
di essere stupiti adesso,
di entusiasmarvi adesso,
di guardare troppo in alto adesso,
di sognare adesso.
Ragazzi, non fate mai, mai. . . .mai riduzioni sui sogni”.
Francesco Lenoci