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07/03/2013 09:34:47 - Provincia di Taranto - Cultura

Devoto in Cristo e non nei limiti dell’antropologia. Concordo con monsignor Santoro

 
di Pierfranco Bruni
 
 
Riti, gare - aste e settima Santa. Il problema si pone e si pone seriamente sia sul piano etico sia su quello religioso sia su quello “carismatico”. Chiedo scusa se usa, quasi impropriamente, questo concetto a me molto caro, ovvero “carisma”.
Monsignor Filippo Santoro entra in questo processo di riflessioni, a giusta ragione, attraverso due percorsi che hanno un loro senso, soprattutto in questo particolare momento in cui la Chiesa è attraversata da una discussione molto vivace e mi auguro che sia annunciatrice di nuovi percorsi (lo dico con molta chiarezza: io che da anni mi considero silonianamente un cristiano in Cristo, che vive la Croce e non la liturgia o il rito, senza Chiesa, anzi senza “questa” chiesa e i miei articoli recenti, come il libro su Giovanni Paolo II e il mio saggio su San Giuseppe Moscati o su San Francesco di Paola lo testimoniano, condivisibili o meno).
Il primo percorso è quello prettamente religioso e quindi cristiano. Bisogna rinnovare. Si rinnova non accettando ma rivoluzionando. Il cristianesimo in Cristo è la vera rivoluzione che si agita tra il dubbio e la verità e rivoluzionare significa testimoniare e dare esempi.
Mons. Santoro offre testimonianza e ci “dona” l’esempio non solo con la parola ma con un gesto. Bene. Concordo pienamente con questa azione che ha il senso di una nuova trasmissione di evangelizzazione. Il Cristo in Croce, la Passione e la Settima Santa sono cristianità e non antropologia della religiosità. Già il concetto di “gara” mi turba, senza voler entrare in altri ambiti che non toccano la mia sfera di studio, proprio sul versante della cristianità, anzi del mio vivere Cristo nelle eresie che mi inquietano. Gara è competizione. Cristo, metaforizzando il tutto, può accettare il “rito” di una competizione anche in una interpretazione antropologica?
Se questo gesto di Mons. Santoro ha una sua funzione questa funzione è anche quella di portare la Chiesa Vangelo al centro della comunità. Usciamo dalla Chiesa antropologia per appropriarci di una nuova evangelizzazione. Puntiamo lo sguardo sul dono della cristianità e non sulle “gare - aste”.
Ho scritto, di recente, che la Chiesa deve essere processata e deve avere l’umiltà di chiedere perdono, dopo i recenti episodi pre e post Benedetto XVI.
L’atto di Mons. Filippo è un grande gesto di umanizzazione della cristocentricità ma anche definire una distinzione tra il sacro che deve restare nella Chiesa Vangelo e il profano che è materialità attraversata da una antropologia del quotidiano.
Proprio questo elemento tocca il secondo percorso, da me menzionato, condividendo la posizione del Vescovo. Sulla base di che cosa si giunge all’asta? Sulla base di un “terreno” religioso? Quindi si “usa” la religiosità per mettere all’asta un processo che produrrà una tipologia di processione e la Settimana dei riti.
C’è una differenza di fondo tra la Settimana Santa e la Settimana dei Riti. Una differenza proprio sul merito antropologico e sull’umanesimo della religiosità cristiana. La Settimana Santa è dentro il vissuto di una nostalgia di Cristo nella comunità ed è il dato prioritario. Si riporta nello sguardo della comunità il volto della santità cristiana ed è una riflessione di fondo che si distacca completamente dal rito che si intreccia in un vocabolario che è quello mitico, archetipico, simbolico.
La Chiesa si spiega anche attraverso i simboli. Certamente sì. Ma la distinzione è fondamentale. Io credo che è giusto vivere i due momenti separati ma articolati in un humus umanizzante. Ma la Chiesa ha la sua storia che è dentro la sacralità dell’Evento.
Ogni festa ha i suoi riti e le sue gare - aste. Si pensi alle culture primitive. Si pensi ai racconti pavesiani e demartiniani. Ma il sacro non ha aste collegabili alla santità. Paolo parlava le lingue del mondo e in ogni agorà trovava il giusto scavo per comprendere le comunità nel segno di Cristo nella fede. Il sacro deve ritornare alla sacralità. Il profano che si lega al sacro è altra cosa.
Questa Chiesa deve rinnovarsi e deve avere il coraggio di fare delle scelte rigorose. Mi auguro che Mons. Filippo sia fortemente autorevole perché soltanto nella fede in Cristo si potrà capire la differenza tra la sacralità cristiana e il relativismo nel sacro. Sembrerebbe ambiguo questo mio dire. Ma non è così. E lo dico da studioso che si scontra costantemente con la teologia ma abbraccia quotidianamente la preghiera ai piedi del Cristo morente.
Qualche giorno fa in una intervista Monsignor Rino Fisichella (“Avvenire” 3 marzo 213) ha sottolineato con molto coraggio e singolarità questo concetto: “… la Chiesa è anche popolo in cammino che ha ben presente la sua missione e la sua meta. Sa quindi di avere alle spalle una storia di santità e di amore, nonostante le infedeltà di alcuni cristiani, e sa che in questo cammino deve coinvolgere gli uomini, le donne del nostro tempo”. E poi ha aggiunto: “Io credo che realmente l’immediato della Chiesa lasciatoci da Benedetto XVI sia la nuova evangelizzazione, da intraprendere con fedeltà, entusiasmo e intelligenza.…”.
Un messaggio forte ma necessario soprattutto per sconfiggere il relativismo di una cultura che sradica le eredità e modella le secolarizzazioni. Nulla deve prescindere da Dio – Cristo.
E in una città come Taranto bisogna che ci sia una motivazione profondamente cristiana che rompa con realtà acquisite che sono sì dentro la storia di una città stessa e forse anche dentro modelli di tradizioni ma sono distanti, queste motivazioni cristiane, da una Fede – Carisma. Ritorno, dunque, sul concetto della bellezza del Carisma.
Gare - Aste per la settimana Santa e cristianità! Sono due mondi che si rivolgono a culture articolate. La Chiesa in Cristo può fare a meno delle aste. La comunità ha sempre più bisogno del Cristo – Tradizione – Vangelo. Forse solo così la Chiesa può trovare una nuova “devozione” senza il rischio delle infedeltà.
Cristo non è cultura. È Fede, Mistero, è Grazia. Il discorso sulle “gare” non tocca questi aspetti.
La Chiesa di Mons. Filippo Santoro faccia delle scelte, faccia capire le distinzioni, e con chiarezza dia il senso della speranza cristiana in un’opera di evangelizzazione fuori da qualsiasi modello antropologico. La Chiesa Cristo è una azione di fede. La Settimana Santa è una preghiera dentro le culture, le Gare sono altra cosa. Lo dico con una profonda consapevolezza. Da Cristiano. Da eretico alla Ernesto Buonaiuti. Da missionario con le sue “ambiguità cristiane” alla Diego Fabbri ma senza commettere “delitti” e accettare “castighi”.
Sono con Lei Monsignor Santoro, senza alcun smarrimento ma con la certezza che Cristo è fede e le gare sono elementi di una antropologia altra. I Cristiani veri devono stringersi intorno alla Sua parola e alle Sue Azioni!










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