«Nessuno dei partecipanti si è detto contrario alla realizzazione di un progetto comune e alla creazione di un nuovo soggetto unitario»
«Non so dire quali potranno essere in concreto, e soprattutto nel tempo, gli effetti della convention leccese, molto opportunamente voluta da Adriana Poli Bortone, finalizzata a segnare i primi passi della eventuale ricomposizione di una Destra, autorevole, forte e rappresentativa.
E’, però, già importante che ciò sia avvenuto in un momento storico caratterizzato da una sostanziale disgregazione del quadro politico emerso non solo dalle elezioni Politiche del 2008, ma anche di quello molto più recente del febbraio 2013.
Pochi giorni e il Pdl come soggetto politico unitario non ci sarà più, mentre il movimento grillino manifesta ogni giorno di più limiti insuperabili sia nel Paese che in Parlamento e lo stesso Pd s’interroga angosciato sulle scosse telluriche che seguiranno il dopo Epifani. Il Centro Montiano sta per esaurire la sua, ailoro!, breve, e per nulla esaltante, stagione politica, mentre a Destra molti sperano che, così come accaduto nel passato, alcuni fattori esterni contribuiscano a rimetterla in gioco nel Paese e nelle Istituzioni.
A Lecce Adriana è riuscita a coinvolgere in un generoso tentativo di ricomposizione molte anime di quella che fu la classe dirigente dell’Msi prima e di Alleanza Nazionale poi. E va riconosciuto che il tentativo non è fallito anche perché, in conclusione, nessuno si è detto contrario alla realizzazione di un progetto comune e alla creazione di un nuovo soggetto unitario. Ma perché si possa effettivamente parlare di una rinnovata, e auspicabilmente feconda, stagione politica della Destra, almeno a parere di chi scrive, vi sarebbe stato bisogno di qualcosa in più delle semplici buone intenzioni.
Innanzitutto una analisi critica rigorosissima dei motivi a causa dei quali, nello spazio di pochi anni, una intera classe dirigente che aveva ricoperto ruoli di primissimo piano è stata sostanzialmente espulsa dalle Istituzioni politiche più rappresentative a seguito della dilapidazione di un patrimonio elettorale e politico che in gran parte, più che per meriti propri, era stato acquisito grazie all’azione della generazione politica che l’aveva preceduta, all’enorme appeal costituito dalla figura di Gianfranco Fini, e, per ultimo, in conseguenza di fattori esterni: tangentopoli, e quindi la decomposizione di due grandi Partiti, quali Democrazia Cristiana e il Partito socialista.
Tale riflessione sarebbe dovuta essere propedeutica a qualsiasi altra fase. E che ciò non sia avvenuto costituisce un imperdonabile errore.
Va poi detto che oggi, molto di più di quanto fosse opportuno nel passato, è necessario che una forza politica che si pone l’ambizione di conquistare importanti segmenti della opinione pubblica e del Corpo elettorale non può non presentarsi ad essi senza avere preventivamente individuato una omogenea convergenza sul proprio brand.
E’ sicuramente vero che le questioni di primissima importanza su cui una forza politica potrebbe puntare sono tantissime e tutte rilevanti, ma è pur vero che alcune, sempre a parere di chi scrive, lo sono ancor di più: una Nuova Carta Costituzionale, una chiara Politica economica, il rapporto con l’Europa, quello con la Chiesa, i Diritti civili, il ruolo e la funzione dello Stato, nonché i limiti entro i quali esso può intervenire in Economia.
Ne è sufficiente crogiolarsi dietro l’espressione “recuperiamo i nostri valori”, sia perché molti degli antichi valori della Destra attualmente sono patrimonio politico anche di altri partiti e di altri schieramenti, sia perché altri soggetti politici ne hanno, purtroppo, saputo fare un migliore uso.
Sia perché di Destre non ve ne è solamente una, come riteneva Norberto Bobbio, e neppure tre, come affermava il politologo d’oltralpe, René Remonde. Di molte, troppe Destre è gremito il panorama politico italiano per poter ritenere sufficiente l’utilizzo di tale denominazione per convincere e attrarre un corpo elettorale di area oggi più che mai confuso e disorientato.
Troppo sbrigativamente, poi, si è pensato di poter consegnare alla storia le lacerazioni e i conflitti che hanno caratterizzato la vicenda di quella che a lungo, con un bel po’ di faccia tosta, era stata definita “comunità umana”.
Certo, per chi i conflitti, le lacerazioni, le violenze politiche e umane le ha provocate, è sicuramente molto più agevole dimenticare. Ma la stessa cosa non può dirsi per chi le ha subite. Si è detto pure: impegniamoci in un grande sforzo corale affinché siano superati gli odi e i rancori. Tutto bene, se non fosse che sarebbe naturale chiedersi se questo sforzo non debba essere fatto anche nei confronti di Gianfranco Fini, che gli errori li ha fatti e li ha ammessi, ma che, a differenza di altri, non solo ha pagato un prezzo politico enormemente superiore a quanto sarebbe stato giusto, ma, ancor di più, è uscito, spero solo temporaneamente, di scena con una dignità sconosciuta ad altri.
Il richiamo a Fini pone inevitabilmente un’altra quaestio: in un momento storico comunque caratterizzato dalla personalizzazione della Politica e dal leaderismo, quante possibilità ha di fare breccia nella società una (incerta) proposta programmatica se a sintetizzarne le istanze non vi è un leader ma solo un gruppo di dirigenti che, pur bravi individualmente, sono però privi di quel cosiddetto quid di spessore nazionale che è invocato a gran voce da tutti i partiti, e che proprio per questo motivo non dovrebbe mancare soprattutto in uno che si richiama ai valori della Destra?
Infine, si è detto: “ripartiamo da Alleanza Nazionale”.
Figuriamoci. Soprattutto per chi ha vissuto i suoi momenti personali più esaltanti proprio in An, questo invito non può cadere nel vuoto.
Ma, ad onor di verità, proprio a tal proposito, va ricordato che Alleanza Nazionale nacque non per delimitare il recinto della Destra, ma, al contrario, per ampliarlo coinvolgendo altre culture: ad iniziare da quelle del Centro cattolico e del conservatorismo liberale.
Che alla prova dei fatti, nell’esercizio della concreta azione politica, ciò non sia avvenuto a causa di una incomprensibile e deleteria sudditanza, al centro come in periferia, nei riguardi del partner di maggior peso, o forse per una non adeguata cultura di governo di parte di quella classe dirigente, non toglie nulla alla validità di quella idea.
Che non era un’idea o una proposta politica di Destra, ma di Centrodestra, con o senza trattino, non importa.
Proprio quello che, al crepuscolo del berlusconismo, chiedono gli italiani».
Euprepio Curto
Consigliere regionale FLI