La delusione degli extracomunitari: «Perché non la fanno parlare con noi, neanche gli animali vivono così»
Arriva a Nardò il ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge, stringe mani, ascolta le istituzioni, i sindacalisti e i braccianti impiegati nella raccolta delle angurie ma resta ai margini della tendopoli abusiva allestita sotto gli ulivi.
I migranti la aspettano ma i ritmi serrati della visita e non meglio specificate “ragioni di sicurezza” impongono alla Kyenge di affacciarsi appena nell’area in cui duecento persone vivono in condizioni di assoluto degrado, con sei bagni chimici e una cisterna di acqua, sufficiente appena per sciacquarsi quotidianamente il viso.
“Vieni a vedere casa nostra”, le dicono gli immigrati, ma il ministro fa appena in tempo a scendere dall’auto - davanti all’ex falegnameria sgomberata in tutta fretta sabato - e a scambiare con loro qualche parola, per poi correre via alla volta del convento dei Carmelitani, lasciando i ragazzi profondamente delusi.
“Perché non la fanno parlare con noi? - chiede Memed, tunisino di 35 anni - perché non si è fermata a vedere come viviamo? Neanche gli animali vivono così”.
Le auto blu vanno via sgommando, l’accampamento resta nella polvere, i braccianti tornano nelle loro tende mentre le telecamere cercano di carpire brandelli pezzi della loro quotidianità.
“Se non fosse venuto il ministro nessuno si sarebbe accorto di noi - rincara Amhed - stiamo qui da due mesi e non si è mai presentato nessuno, a parte i sindacalisti e qualche associazione, il sindaco è venuto soltanto ieri, a nessuno importa di noi”.
Il primo cittadino Marcello Risi, dal canto suo, al ministro ha tenuto a chiarire che “Nardò è una città accogliente, che rispetta questa gente e che ha predisposto un’area attrezzata in località Scianne, con tanto di letti, bagni e acqua corrente”.
Un luogo in cui i lavoratori non vogliono trasferirsi, “perché è lontano dal paese e dai posti in cui i capisquadra vengono a cercarci per il lavoro”, spiega ancora Memed.