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26/09/2013 09:08:25 - Provincia di Taranto - Cultura

U tabutu di piscimortu

Ci fu una indagine svolta in Commissariato, che l’Ispettore Di Falco soleva raccontarla debuttando così “all’inizio mi sembrava di essere finito dentro un racconto macabro di Guy de Montpassant.”
Della morte e del mistero ad essa collegato gli uomini si erano occupati sin dall’alba della loro esistenza. Alcuni studiosi sono convinti che si può far risalire l’inizio della civiltà umana proprio al momento in cui l’uomo iniziò a seppellire i suoi simili. Pleonastico sarebbe ricordare gli egizi e le piramidi e tutto quello che la storia e l’archeologia ci hanno raccontato e ci continuano a raccontare con le nuove scoperte su questo tema. Ma nonostante tutti gli studi, la cultura e il sapere umano, il mondo dell’oltretomba e della sepoltura suscita in ognuno di noi dei sentimenti unici nel loro genere. Anche l’ispettore della Polizia di Stato Giovanni Di Falco, non poté sottrarsi a questi sentimenti e a queste riflessioni così arcane quando di tanto in tanto veniva a contatto visivo con il fascicolo che lui aveva di suo pugno intitolato “U tabutu du Piscimortu”. Questi aspetti quali implicazioni potevano avere in una indagine di polizia che si svolgeva in una cittadina siciliana con le sue connotazioni sociali ben definite: quali la mafia e i suoi latitanti, la superstizione, la concorrenza all’interno di un ramo commerciale molto particolare come quello del “caro estinto”?
Per rispondere a questa domanda andiamo ai fatti concreti di questa vicenda che parte da una costatazione che aveva del divertente, se non fosse che si parlava di funerali, e che si trasformò in un caso giudiziario intrigato e funebre. Tutto inizia quando le due uniche agenzie funebri di un comune, la cui competenza era sotto la giurisdizione del commissariato, iniziarono a farsi la guerra commerciale. La recessione economica di quegli anni aveva intaccato anche quel settore, che sembrava essere alieno a questo tipo di congiunture.
A cominciare le ostilità, al principio di esclusiva natura commerciale, fu la ditta di onoranze funebri Neri che espose appeso alla porta un vistosissimo cartello bianco, con la scritta nera “Funerali a € 800 tutto compreso”. Il cartello inoltre, quando arrivava una folata di vento, iniziava a dondolare e tutti coloro che passavano con la vettura rallentavano per leggere la proposta commerciale. La promozione, per quanto conveniente, creava il famoso effetto “scongiuro immediato”, che si manifestava con toccatina di ferro e genitali per gli uomini. Ma quel cartello non produceva a tutti lo stesso effetto, infatti, a qualcuno come Bummidda vedendolo realizzava un sogno ad occhi aperti, ovvero, il funerale della suocera pestifera e imbirnusa.
Presto si ebbe la risposta tecnologica della ditta concorrente, infatti, su un’insegna luminosa scorrevole a led rossi, si promettevano funerali tutto compreso a € 750 e altri servizi funerei a prezzi stracciati.
Ma come spesso succede nel territorio di competenza del commissariato dove presta servizio Di Falco le situazioni si complicano quando la mafia si mette di mezzo.
Il primo episodio delittuoso fu il furto del carro funebre con annessa cassa da morto, denunciato dalla ditta Giuseppe Neri.
“L’ho lasciata parcheggiata e chiusa regolarmente alle 20,00, con dentro una cassa nuova, in via Milano, vicino la mia ditta di onoranze funebri. L’indomani mattina alle otto, con mia grande sorpresa mi sono accorto che era sparita.” Verbalizzò l’Ispettore Tarallo che fu l’unico disponibile a prendere la denuncia del becchino più famoso del paese.
La risposta non tardò a farsi sentire e fu balistica, infatti nella notte, cinque colpi, probabilmente calibro 357 magnum, bucarono la saracinesca dell’agenzia di onoranze funebri concorrente a quella che aveva subito il furto, ovvero l’agenzia di Giovanni Pipitone, conosciuta in paese per l’infelice esposizione di casse da morto con vista sulla pubblica via Roma.
“Non ho nemici né liti con alcuno. Non ho sospetti e non riesco a capacitarmi di questo gesto intimidatorio” verbalizzò questa volta l’Ispettore Romano, il quale ormai si era abituato, come tutti in commissariato, ad avere rapporti con gestori e impiegati di pompe funebri.
Una mezza svolta si ebbe quando la notte seguente alla sparatina sulla saracinesca, il poliziotto iettatore per eccellenza, ovvero l’Ispettore Tarallo, rinvenne in una strada periferica tra le campagne il carro funebre precedentemente rubato.
“Minchia solo tu potevi trovarlo!” esclamò Di Falco sul posto mentre con una torcia controllava che la targa era quella appartenente al mezzo oggetto di furto.
“Ho telefonato alla polizia scientifica tra poco arrivano e fanno i rilievi” avvisò Romano mentre infilava in tasca il cellulare che aveva usato poco prima.
“Ma Neri non aveva denunziato anche il furto di una cassa da morto? Io non la vedo dentro la vettura” disse Di Falco mentre scrutava con la lampada attraverso il vetro l’interno della vettura.
“Sì” confermò Tarallo.
L'altro avvenimento di quella vicenda incredibile accadde sei mesi dopo quando Ombra, trascorsa da poco la mezzanotte, chiamò per telefono l’Ispettore Di Falco e gli sussurrò “guarda che c’è un coglione che con una mazza sta cercando di sfondare un loculo al cimitero”.
“Prima di intervenire aspetta che arrivano i rinforzi, assicurati che non ci siano altri complici e stai attento, io ti raggiungo il prima possibile” dispose l’ispettore al suo sottoposto.
Ombra non era poliziotto da aspettare rinforzi, coerentemente al suo soprannome si avvicinò silenzioso a quella che era la sua preda. Calcolò il raggio visivo del delinquente che era intento con la mazza a spaccare la lapide e si avvicinò sempre di più. A meno di qualche metro prese una pietra e la lanciò in direzione opposta alla sua. Il sasso colpendo un’altra lapide fece rumore spostando l’attenzione del malfattore verso la direzione opposta dalla quale avrebbe sferrato l’attacco. Una volta distratto l’avversario il poliziotto partì come una furia, fece tre passi e con il gomito picchiò tra nuca e collo. Ombra conosceva bene i posti dove assestare i colpi, era esperto di arti marziali e sapeva che una scarica di dolore lancinante avrebbe annientato qualsiasi resistenza dell’arrestato, che nell’occasione perse i sensi e stramazzò per terra.
Quando si svegliò si ritrovò ammanettato e disteso sui sedili posteriori all’interno di una volante della polizia con due poliziotti posti esternamente che lo guardavano con sdegno. Il malvivente lo conoscevano tutti i presenti poiché era il rampollo di una storica fami-glia mafiosa, i Guerra.
Di Falco che intanto era giunto sul posto assieme a Romano si avvicinò a Ombra e gli chiese a bruciapelo: “che minchia ci facevi al cimitero a mezzanotte?”
“Niente, ero in compagnia di una mia amica nel parcheggio che costeggia le mura del cimitero, quando ho sentito dei colpi molto profondi, e considerato che i morti non fanno rumore, sono andato a lasciare la mia amica a casa e sono ritornato, ho scavalcato il muro del cimitero e ho trovato questa merda umana che con una martellina colpiva la tomba.”
“Avrei dovuto immaginarmelo che eri qui con una donna, ma non hai pensato che era un posto un tantino squallido per appartarti?”
“Capo, purtroppo la mia amica è sposata e quindi ho scelto un posto discreto non voglio che qualcuno magari si fa degli strani pensieri su di lei.”
Di Falco lo guardò schifato e poi gli chiese: “Perché non hai aspettato che arrivassero i ragazzi della volante prima di procedere all’arresto?”
“Pensi che io abbia bisogno di aiuto per arrestare una cosa inutile come Gerlando Guerra?” rispose sprezzante Ombra.
“L’unica cosa che penso è che sei sempre il solito irresponsabile” replicò Di Falco.
“Ecco invece di ricevere i complimenti per l’arresto solo cazziate gratuite. Vedi com’è ingiusto il nostro ambiente lavorativo.”
“Tu devi ringraziare che trovi sempre dei coglioni come criminali, il giorno che ti si presenterà qualche delinquente di quelli giusti voglio vedere come te la cavi.”
“Sai qual è la questione Capo, che ormai i delinquentoni giusti li abbiamo arrestati tutti, una parte si sono buttati pentiti e l’altra sono dentro con tre o quattro ergastoli a testa, sono rimasti solo le cose inutili per cui mi è facile arrestarli da solo.”
“L’unico giusto che è rimasto libero in realtà è il fratello di Guerra, che è ancora latitante da dieci anni” puntualizzò Romano.
Per meglio comprendere il movente del delitto a carico di Gerlando Guerra, di anni 21, i poliziotti con l’aiuto di torce scrutarono attentamente nei pressi del loculo e guardarono anche dentro, ma la lapide che chiudeva il loculo, non era stata del tutto sfondata, pertanto non fu agevole guardare dentro la tomba. Cercarono invano il mezzo con cui il criminale si fosse recato al cimitero ma non trovarono nulla nei pressi del parcheggio e nelle adiacenze del cimitero. Pertanto si rimandò l’ispezione all’alba del giorno dopo, quando la luce avrebbe chiarito i tanti perché di quel gesto apparentemente misterioso.
L’unica cosa certa era che il loculo apparteneva a Michele Pisciotta, inteso Piscimortu, deceduto qualche mese prima all’età di anni 63. Soprannome datogli probabilmente per via della sua attività di pescivendolo. Morto prematuramente a causa di un brutto male, che la maggior parte degli usurati a cui prestava denaro a strozzo gli avevano augurato in vita.
Il fatto di essere dentro un cimitero non influenzò minimamente Di Falco, che nel frattempo era stato impegnato a cercare di comprendere cose stesse facendo lo scassinatore di loculi. Ma appena andò via lungo i viali del cimitero si accorse di quella atmosfera aggravata da un silenzio irreale. Si soffermò a guardare i lumini accesi, i viali appena illuminati, i marmi bianchi dei sepolcri evidenziati dalla luce lunare. Eppure non era la prima volta che gli capitava di operare in un cimitero. Si ricordò quando giovane agente fu messo di guardia alla tomba di un politico, di cui alcuni fanatici estremisti avevano intenzione di rubare le spoglie. Una volta, quella fu indimenticabile, quando trovarono morto il padre impiccato suicida nei pressi della tomba di una ragazza morta prematuramente anch’essa suicida. In quella triste vicenda il padre non riuscì a sopravvivere alla morte della figlia.
“Che minchia può entrarci Piscimortu con questa storia adesso ce lo deve spiegare Giulannu Guerra se no gli sfondo la testa io con la mazza che gli abbiamo sequestrato” affermò Ombra riportando Di Falco alla contingenza.
A parte qualche spicciolo, un pacchetto di sigarette, un accendino e il portafogli addosso a Guerra, benché denudato e perquisito sin dentro gli orifizi, non fu trovato nulla. Il portafogli conteneva: una carta da dieci euro, una santina di San Calogero, la fotografia del padre, ucciso quando lui aveva tre anni e la foto tessera di quella che doveva essere la sua ex fidanzata, considerato che Angela Mondello lo aveva lasciato stufa dopo l’ennesimo arresto per estorsione.
“Non te lo voglio chiedere per tutta la notte e farmi i coglioni come una mongolfiera, dimmi perché volevi sfondare u tabutu di Piscimortu?” cominciò l’interrogatorio Di Falco.
“Io con gli sbirri infami come te non ci parlo.”
Ombra si alzò per mollargli una sberla, Di Falco capì l’intenzione lo blocco e sentenziò: “non c’è gusto a darti un timbuluni mentre sei ammanettato e dentro un commissariato di polizia. Non mi dà soddisfazione, poi ricordati la merda come te se non vuoi che faccia puzza non la devi arriminare, in più ti dico che detto da te sbirro infame mi fa solo onore.” Poi si rivolse ai colleghi che lo avevano in custodia e dispose “sbattetelo in cella di sicurezza con gli scarafaggi e i vermi che sono gli unici esseri viventi con cui può stare.
Di Falco nonostante il tentativo era sicuro che Guerra non avrebbe parlato: “al limite ci raccontava qualche minchiata delle sue. Il fatto che non ha parlato e che ha agito da solo mi fa pensare che stava agendo d’impeto.”
“Anche io sono convinto che se avesse agito in modo premeditato si sarebbe preparato qualche scusa nel caso in cui fosse stato preso e avrebbe chiesto l’aiuto di qualche pezzo di merda suo pari” confermò le parole di Di Falco il suo vice Romano.
“Può darsi che la vicenda sia collegata alla latitanza del fratello” continuò a fare delle ipotesi Ombra.
Appena spuntarono le prime luci dell’alba i poliziotti del commissariato anticiparono il custode del cimitero che arrivò una decina di minuti dopo. Il custode appena vide i tre che lo attendevano si inquietò.
“Buon giorno sono l’Ispettore Di Falco e con i miei colleghi dobbiamo fare un sopralluogo, questa notte hanno sfondato la tomba di Piscimortu.”
“Oh! Matri di Diu! E comu fu?” disse l’uomo che cominciò a farsi il segno della croce, come per scacciare il maligno che quella vicenda poteva aver portato.
“Sbrigati ad aprirci che abbiamo i minuti contati” si lagnò Ombra che non sopportava quell’ometto superstizioso.
Appena il custode aprì il cancello i tre poliziotti assieme al dipendente comunale andarono direttamente al loculo oggetto di violenza. Da dietro una tomba gentilizia spuntarono due uomini. Il custode ebbe un attimo di mancamento ma prima urlò: “Matri mia i morti risuscitaru”.
Ombra prima che lo spaventato a morte stramazzasse a terra lo sorresse per il colletto del giubbotto e gli gridò in faccia: “Coglione sono i nostri colleghi appostati”.
Erano Dispenza e Senese che si erano appiattati durante la notte per verificare se qualcuno veniva dopo l’arresto di Gerlando Guerra, c’era magari la speranza e che si fosse fatto vedere il fratello latitante.
“Allora ragazzi niente da segnalare? chiese Di Falco.
“No, notte tranquilla, anzi troppo tranquilla.” rispose Dispenza che aveva gli abiti stropicciati e le scarpe infangate.
“Va be’, andatevi a fare qualche ora di sonno, ci vediamo oggi pomeriggio.” dispose Di Falco ai colleghi che si erano appostati. Poi si rivolse al custode e gli ordinò “vai a prendere gli attrezzi per aprire il loculo che dobbiamo vedere che c’è dentro.”
“No, io da qua non mi muovo, da solo non vado da nessuna parte, ca’ u diavulu ci misi manu”
Ombra lo afferrò sotto braccio e gli chiese: “Come ti chiami?”
L’uomo sentitosi in parte protetto da quell’omone che era Ombra contento rispose: “Salvatore Casalicchio”
Ombra ci pensò su e poi replicò dandogli dei colpetti sulla testa “Casalicchio, Casalicchio, vai a prendere i stigli se non vuoi che ti spacchi la faccia a forma di sticchio”
Il custode ancora più pavido sotto la minaccia di Ombra, non se lo fece ripetere e si allontanò per procurarsi gli attrezzi necessari per aprire il loculo.
I poliziotti cominciarono a guardarsi intorno in cerca di qualche indizio e appena giunse Salvatore Casalicchio gli intimarono di aprire il loculo per vedere cosa vi fosse dentro.
Di Falco si aspettava di trovare un bel carico di armi, Ombra scommetteva che lì dentro c’erano i soldi o la droga della locale cosca mafiosa, Romano scettico indovinò “Dentro non c’è una minchia”
Sotto le minacce di Ombra il custode, che ripeteva che quello non era compito suo, dal loculo uscì la cassa da morto bestemmiando. I poliziotti ispezionarono il sepolcro accuratamente ma a parte qualche ciotola non videro niente.
“Adesso bisogna chiedere al magistrato di aprire u tabutu per verificare se dentro c’è il morto” propose sconsolato Di Falco, seduto su una lapide adiacente a quella di Piscimortu, tenendosi il capo con una mano.
Per richiedere l’autorizzazione Di Falco aveva bisogno di alcune informazioni e si recò presso l’ufficio comunale che si occupava della gestione del cimitero e chiese alcuni dati quali la data di inumazione di Piscimortu alias Pisciotta Michele.
“Circa sei mesi fa” disse l’impiegato consegnando una carpetta con all’interno la documentazione richiesta.
L’Ispettore gli diede una attenta lettura si segnò la ditta che aveva effettuato il servizio di pompe funebri, che era quella di Giuseppe Neri, e accertò, con sua grande meraviglia, che il furto del carro funebre coincideva con la data della morte di Piscimortu.
Redasse la richiesta e la inviò via fax al sostituto procuratore dr. Bressan, veneto di Venezia, grande estimatore di Pirandello, che aveva il vezzo di paragonare i casi che trattava ai personaggi o alle situazioni pirandelliane e che chiudeva le sue discussioni a telefono con la solita frase che omaggiava l’opera del drammaturgo“Caro Ispettore Di Falco qui è tutto un Kaos.”
L’incazzatura Di Falco se la prese quando la famiglia di Piscimortu non sporse querela contro Gerlando Guerra e pertanto fu costretto a rilasciare il criminale che a questo punto aveva impunemente sfondato il loculo, anche perché a parte il reato di danneggiamento non vi erano altri elementi per tenere dentro il gaglioffo.
Ricevuto il decreto di autorizzazione l’Ispettore chiamò la ditta Neri che si era occupata del seppellimento per effettuare l’apertura della cassa.
“Del resto loro hanno chiuso e loro sanno come aprire” disse a Romano.
Si diedero convegno per le prime ore del pomeriggio ma Di Falco delegò l’intera operazione a Romano che a sua volta la subdelegò ad Ombra. La visione di cadaveri sepolti da sei mesi non era una di quelle visioni che uno aspetta da una vita e poi la puzza che sarebbe uscita dalla bara sconsigliò ai due ispettori a partecipare a quell’accertamento a cui fu delegato l’inferiore in grado Ombra. Il quale inferiore in grado ma non certo in furbizia quel pomeriggio incaricò di fare tutto agli operai della ditta e per accertarsi che tutto fosse andato per il verso giusto e per non sentire puzza, si posizionò a cento metri dalle operazioni e chiese la cortesia a un becchino di scattare delle foto. L’operazione si concluse con un nulla di fatto, infatti, all’interno della cassa da morto vi era un cadavere corificato e oltre questo macabro ritrovamento nulla di rilevante. Ombra portò le foto in commissariato all’interno di una cartella di files immagine e li diede a Di Falco per la visione. Di Falco li sistemò all’interno dell’hard disk del suo computer gli diede una guardata a quelle foto orribili e li archiviò sgomento.
Con la riesumazione del cadavere e con il nulla di fatto incassato Di Falco proferì una frase che riassumeva lo stato di stasi delle indagini: “a binariu mortu semu”.
Ma tutte le indagini che non vengono concluse rapidamente hanno quasi sempre una nuovo imprevisto sviluppo nel tempo, magari lavorando ad altri casi. La novità giunse inaspettatamente dal custode del cimitero.
Di Falco un giorno si trovava dalle parti del cimitero per l’ispezione cadaverica di un soggetto morto suicida impiccato quando fu avvicinato da Casalicchio: “Ispettori ci devo confidari ‘na cosa ‘mportanti.”
Di Falco se lo prese sotto braccio e si portò il custode in disparte e gli chiese: Chi m’aviatu a diri?
L’ometto fece una premessa: “Chiddu ca ci cuntu nun lu mettu a virbali, picchi mi scantu ca m’ammazzanu. Ma vidissi ca la matri di chiddu Guerra, un jornu sì e unu no, veni a chiangiri ni la balata di Piscimortu.”
Di Falco lo guardò negli occhi e gli disse: “quello che hai detto a me non lo devi dire neanche in chiesa al prete quando ti confessi. Ora ti do il mio numero di cellulare, quando vedi la madre di Guerra al cimitero, mi fai squillare il telefono. Io chiudo la conversazione e tu non devi dirmi niente per telefono al resto penso tutto io. Capisti?”
Il custode abbassò lo sguardo e senza aggiungere una parola in più fece un gesto di approvazione abbassando la testa e chiudendo gli occhi. Il custode e il poliziotto si scambiarono i numeri cellulare.
Di Falco ritornò alla sua occupazione originaria ovvero assistere all’ispezione cadaverica assieme al medico legale e prima di andare via si rivolse a Casalicchio e gli buttò una frase in dialetto che avrebbe sintetizzato tutta la discussione precedente: “Mezzaparola…”
Non trascorsero neanche due giorni e intorno alle otto giunse la chiamata di Casalacchio. Di Falco non rispose e chiuse la conversazione come da accordi. Immediatamente dopo convocò Ombra nel suo ufficio.
“Tu la conosci a Giuseppina Sacco?”
“No, chi è?”
“Andiamoci diversamente, tu la conosci Mariella Guerra?”
“Certo che la conosco, è uno sticchione”, 23 anni il 22 maggio, la sorella del latitante”
“Lo sapevo, se sono belle donne conosci pure la data di nascita, se sono vecchie o brutte non ne conosci l’esistenza. La madre somiglia molto alla figlia, è sessantina non ti puoi sbagliare, ti prendi a Pisano e vai al cimitero, devi verificare se sta davanti la tomba di Piscimortu.”
“E che ci fa la madre di Guerra davanti la tomba di Piscimortu?”
“E’ quello che dobbiamo scoprire” concluse la conversazione Di Falco.
Non trascorsero neanche dieci minuti e Ombra chiamò al cellulare Di Falco.
“Ti confermo, appena siamo arrivati era davanti la tomba del marito, ha sistemato dei fiori ed adesso si trova davanti la tomba di Piscimortu”
“Ok, ritornate in ufficio e scrivete un rapporto che io avviso il Commissario Capuozza e chiamo la Catturandi e poi se piange e usa un fazzolettino di carta e lo getta raccoglietelo e sequestratelo.”
La notizia che la madre del famoso latitante e capo mafia andasse a visitare la tomba di un soggetto sicuramente pregiudicato, ma non inserito in un contesto mafioso, poteva aprire degli scenari investigativi quantomeno inediti.
“Occupati di contattare direttamente l’ispettore Lupo della Catturandi” dispose il dirigente del commissariato a Di Falco una volta appresa la notizia.
La catturandi era una delle sezioni della Squadra Mobile. Si occupava specificatamente della cattura dei latitanti e di eseguire l’arresto di soggetti a cui la pena era diventata definitiva o era stata spiccata una misura restrittiva in carcere. Era composta da una de-cina di poliziotti ed era l’incubo dei mafiosi e dei latitanti di mafia. Da alcune intercettazioni ambientali effettuate tra mafiosi all’interno di luoghi di riunione si venne a sapere che li chiamavano “Diavoli”. Li chiamavano così perché i mafiosi li vedevano dappertutto, erano la loro più grande paura, popolavano i loro incu-bi. Erano coloro che materialmente li arrestavano, come i diavoli per condurli nell’inferno del carcere, da dove molti di loro sarebbero usciti solo dopo lunghi anni di carcere se non addirittura da morti. Li temevano soprattutto i mafiosi e i latitanti che gli agenti della polizia penitenziaria definivano soggetti “fine pena mai” ovvero con più ergastoli alle spalle. A Ombra quel gruppo di poliziotti che disseminavano microspie e sfondavano porte di casolari di campagna alla ricerca di latitanti piaceva tanto. Gli piaceva il loro modo irruento di agire quando avevano il sospetto che un latitante si tro-vasse in un determinato posto. Portavano in macchina tutto un set per l’apertura di porte e lucchetti, composto da: piedi di porco, arieti, cesoie e mazze. Di Falco invece apprezzava la loro capacità di analisi. Quando aveva collaborato con loro gli era sembrato di condurre una partita a scacchi, con lo studio di mosse e contromosse. I poliziotti della catturandi si dedicavano esclusivamente a quello e dedicavano interi anni della loro vita professionale alla cattura di singoli pericolosi latitanti. Del latitante conoscevano tutto, come dei loro familiari e delle persone che gli erano vicine, erano padroni delle loro abitudini, pregi, difetti, manie, indicibili segreti. Conducevano una vera e propria guerra di nervi con i parenti e gli amici dei latitanti che erano consapevoli di essere sotto intercettazione. Quelli della catturandi non erano interessati alla parole che si intercettavano ma a ciò che poteva essere nascosto dietro esse, i suoni istintivi del pianto e del ridere, l’ironia della voce, le perplessità di chi ascoltava rispetto a quello che diceva l’interlocutore. Pedinavano i soggetti, li osservavano attraverso telecamere nascoste, erano attenti ai particolari, al cambio di abitudini, alle novità.
Quando fecero una riunione in commissariato con i ragazzi della catturandi Di Falco cominciò a raccontare tutto quello che era successo sin dall’inizio.
“Tutto è cominciato con un furto e il ritrovamento di un carro da morto con annessa bara vuota, anche se la bara non è stata più ritrovata della ditta Neri. In seguito vi è stato un attentato intimidatorio cinque colpi di pistola contro la saracinesca della ditta Pipitone. Sei mesi fa circa moriva Piscimortu pescivendolo strozzino e veniva seppellito nel cimitero dalla ditta Neri. Qualche settimana fa Gerlando Guerra fratello minore del latitante Salvatore Guerra veniva sorpreso mentre con una mazza stava sfondando il loculo di Piscimortu. Non c’è riuscito perché Ombra prima che completasse il lavoro lo ha stinnicchiato a terra con un pugno e poi arrestato. Da un controllo che abbiamo fatto dentro il loculo e dentro u tabutu non è stato rinvenuto niente di particolare. Ad oggi resta sconosciuto il motivo del gesto di Gerlando Guerra che nel frattempo è stato liberato anche perché la famiglia di Piscimortu non ha presentato querela. L’ultimo episodio che abbiamo accertato è la visita di Giu-seppina Sacco al loculo di Piscimortu.
L’Ispettore Lupo, uomo del fare più che del dire, aveva ascoltato senza spiccicare una sillaba, poi prese la parola e disse: “da quello che ho capito è probabile che i Pisciotta possano aver favorito la latitanza di Guerra o continuano a farlo e in segno di riconoscimento la madre gli va a fare visita alla tomba. Non c’è altra spiegazione, da oggi mettiamo sotto intercettazione tutti i componenti della famiglia Pisciotta. Poi volevo chiedere se alla tomba si è fatto vivo l’altro fratello del latitante, Carmelo. Dalle notizie che abbiamo dovrebbe essere lui direttamente a favorire la latitanza del fratello Salvatore. In tutta questa storia non mi torna perché il fratello minore Gerlando abbia tentato di sfondare il loculo del Pisciotta, da quello che sappiamo mi sembra del tutto ingiustificato. Sono con-sapevole che questa non è storia facile da risolvere ma se non iniziamo ad indagare resterà sempre un mistero.”
Trascorsero tre mesi dalla collaborazione con la squadra della catturandi. Si intercettarono i telefoni della famiglia di Piscimortu ovvero due figli maschi e una femmina e quello della vedova. Travestendosi da impiegati dell’ENEL i poliziotti misero una microspia dentro la pescheria esattamente nel retrobottega dove si ritrovavano i fratelli e non vi era la presenza di clienti. Furono sapientemente pedinati giorno dopo giorno. Furano verificate tutte le loro amicizie e conoscenze. A conclusione, i poliziotti tirarono le loro conclusioni. I maschi della famiglia entrambi sposati avevano entrambi l’amante. La figlia invece aveva una segreta simpatia per un uomo sposato anche se non aveva mai avuto il coraggio di farsi avanti. Avevano anche commerciato in nero grosse partite di pesce con ristoranti della zona, ma non furono scoperti neanche i minimi indizi che la famiglia dello scomparso Piscimortu stesse favorendo la latitanza del Guerra o che in passato l’avesse fatto. Non c’erano neanche contatti con uomini d’onore o loro avvicinati.
Una presunta spiegazione a quelle visite cominciò a trapelare dal sottobosco della maldicenza. La catturandi stava intercettando una vicina della madre del latitante che si sospettava potesse mettere a disposizione della Guerra la propria utenza telefonica per comuni-care con il figlio ricercato. La conversazione tra la titolare dell’utenza e un’altra signora che poi si scoprì essere un’amica della Guerra spettegolando disse: “Il paese è pieno, e poi è da quando hanno ammazzato suo marito lei ogni giorno da Piscimortu se lo andava a comprare il pesce” L’interlocutrice aggiunse ridacchiando: “E che lo aveva solo Piscimortu a bonanima u pisci?” L’altra pettegola rincarò la dose: “Se non andava al cimitero a trovarlo, mai ‘sta storia si sarebbe saputa, eppure da venticinque anni che va avanti, e poi non faceva capire niente a nessuno, proprio brava è stata.”
La maldicenza poteva a questo punto spiegare l’oltraggio alla tomba di Piscimortu da parte del figlio minore Gerlando, che magari venuto a conoscenza della tresca della madre con lo scomparso pescivendolo finì, preso dalla rabbia, per recarsi presso il loculo dello scomparso e distruggerla.
Di Falco non ne era completamente convinto, in realtà pensava che dietro quella storia ci fosse dell’altro, ma dopo tanti mesi di serrate indagini, quella vicenda finalmente in un modo o nell’altro poteva essere spiegata. Dopo aver presentato il rapporto al magistrato commentò con Ombra e Lupo che erano nella stanza dove aveva redatto il documento: “Può anche essere questo il motivo del danneggiamento della tomba, ma dobbiamo considerare questo evento come singolo, disconnesso dagli altri strani misteriosi episodi che sono accaduti, e io per la mia esperienza sono sicuro che tutto ha un filo logico e tutti gli episodi sono legati tra di loro, anche se al momento non comprendo come.”
Lupo si accese una sigaretta e aspirò profondamente il fumo, manco fosse aria, dopo tre minuti di immersione in acqua, poi disse semplicemente ed esclusivamente: “Hai ragione”.
Qualche giorno dopo Di Falco fu contattato dal suo confidente Paolo che gli sussurrò a un orecchio: “Il latitante che state cercando Totò Guerra non si fa vedere più in giro perché si è fatto fare la plastica alla faccia, e se l’è fatta fare a Marsiglia.”
Parlando con i colleghi della squadra Di Falco commentò “questa notizia anche se non confermata può essere decisiva per la cattura del latitante, ma la possibilità che Guerra sia addirittura espatriato onestamente mi sembra un tantino remota.”
Anche Ombra era titubante “ma te lo immagini Totò Guerra cha parla francese?”
Nonostante l’intensa attività di intercettazione, sulla vicenda criminosa per cui i poliziotti stavano indagando non vi erano state so-stanziali novità. L’indagine era statica, quando Di Falco incontrò a termine di una giornata faticosa il suo amico Peppe Cardilicchia, ispettore del lavoro. Come di consueto stavano dividendo in due bicchieri al bancone del bar un chinotto e parlavano delle rispettive stanchezze e degli impegni di lavoro della giornata.
“Sai che ho lavorato su una denuncia presentata da Guerra Carmelo, il fratello del latitante, quello che state cercando” disse Peppe Cardilicchia prima di dare il primo sorso alla bibita nera e dal sapore amarostico.
“Davvero e contro chi l’ha presentata?” chiese stranito il poliziotto.
“Non ci crederai, contro la ditta di onoranze funebri Giuseppe Neri” rispose l’altro.
“Buono a sapersi, e dimmi cosa ha denunciato Guerra contro Neri?”
“A dire del Guerra non gli sono stati retribuiti due stipendi ed ha lavorato in nero per un anno” replicò l’ispettore del lavoro.
Questa notizia fece sobbalzare Di Falco, si era trovato un insolito collegamento tra la ditta Neri e un componente della famiglia Guerra.
L’indomani l’ispettore convocò in commissariato Giuseppe Neri.
“Siediti che dobbiamo parlare” disse Di Falco all’omone con la barba incolta vestito con una camicia e un jeans, sorridente a dispetto del lavoro che svolgeva.
“Certo Ispettore, io sono sempre a sua disposizione e lei lo sa che quando c’è da dare una mano non mi sono mai tirato indietro.”
“Com’è la storia che Guerra Carmelo ti ha denunciato all’ufficio del lavoro?”
“Sì, qualche mese fa ‘sto infame, dopo che si era licenziato da un anno, mi ha chiesto di lavorare per un funerale a gratis, era quello di Piscimortu, mi ha detto che lo faceva perché era un suo parente. Sto miserabile con ‘sto solo funerale che ha fatto e qualche altro mese di lavoro al magazzino mi ha denunciato all’ispettorato del lavoro per due mesi di stipendio non retribuito e in più si è cantato che l’ho fatto lavorare un anno in nero, quando eravamo rimasti d’accordo che lo avrei fatto lavorare senza pagargli i contributi.”
“Non è che tu sei meglio di Guerra solo perché non ha rispettato un accordo di lavoro che tu sai essere illegale”
“Lo so, tanto che adesso mi tocca pagare € 7.000, mi ha fatto un bel danno ‘sto bastardo, e come se non bastasse ho addosso sempre suo fratello Gerlando, ma io con questo drogato di merda non ci voglio parlare e ogni volta mi faccio negare.”
“Ma senti tu non credi che sia stato Gerlando a rubarti il carro funebre e ti cerca per farti pagare il pizzo?”
“Ispettò non può essere questa l’intenzione di Gerlando Guerra, perché lui mi conosce bene, e lo sa che a me mi può ammazzare, torturare, dare fuoco al negozio, io a lui il pizzo non glielo pago, né a lui né ai suoi fratelli, compreso il latitante”
“Ti volevo anche chiedere ma di Pipitone il tuo concorrente ne hai avute notizie?”
“Ma che concorrente, quello è solo un copione. Io faccio la promozione di un funerale a € 800 e lui fa la stessa promozione a € 750. Io compro delle casse da morto che ci vogliono occhi per guardarle e lui le compra uguali ma di una sottomarca ed ha pure il coraggio di mostrare nel punto esposizione che ha in Via Roma, e le posso dire che quelle non sono le casse della mia marca, anche se sono spiccicate uguali, anche perché il rappresentante mi ha assicurato l’esclusiva. Queste le ha prese da qualche ditta cinese, che loro co-piano, sembrano uguali ma la qualità ci posso assicurare che non è la stessa.”
“Neri capisco che trattare di bare e casse da morto è il tuo mestiere ma voglio dire una volta che uno è morto o la cassa è d’oro o di cartone sempre morto è.”
“Ci sembra a lei ispettore, la qualità la paghi ma poi te la trovi”
“Senti Neri con ‘sti discorsi mi fai venire la depressione, ti saluto e spero di vederti il più tardi possibile.”
“Tutti così dite e tutti le corna fate, ma prima o poi da me tutti passate” disse il titolare dell’impresa funebre alzandosi dalla sedia.
Di Falco, nonostante non fosse superstizioso a quelle parole si premurò di fare le corna con le dita della mano e di toccare ferro.
Queste informazioni, anche se sicuramente interessanti, da sole non erano chiarificatrici e risolutive del caso, ma diedero alcuni spunti investigativi a Di Falco.
Mentre passeggiava per il lungomare in una seratina dove sciusciava una deliziosa brezza marina, l’ispettore cominciò a ripensare a tutto quello che era accaduto e gli venne in mente una famosa battuta del suo docente criminologo: “a volte ciò che diventa importante in una indagine non è l’elemento che c’è ma quello che manca.”
Ripensando a tutta la questione Di Falco si ricordò che l’unico elemento che mancava era la cassa da morto che non era stata più rinvenuta assieme al carro funebre. Non comprendeva né il perché, né il come, ma era sicuro che quella cassa mancante era la spiega-zione dell’enigma. Per esperienza sapeva che nulla è casuale e tutto ha una spiegazione e una logica, anche se a volte assurda e non condivisibile. Ogni indagine aveva una sua storia diversa dalle altre, così come tutti i fatti umani, si distinguevano l’uno dall’altro, ma vi erano degli elementi che pressappoco si ripetevano.
Trascorse un’ora sul lungomare e andò avanti e indietro come quando a nuoto si percorrono le vasche in piscina, alla fine soddi-sfatto ritornò a casa.
L’indomani di prima mattina radunò Ombra e Romano e si incamminarono verso il negozio di arredi funebri di Pipitone ma nella sede di esposizione delle bare. Si arrestò, notando che non vi era nessuno all’interno, digitò sul suo cellulare il numero per le emergenze della ditta Pipitone ed attese che qualcuno rispondesse. Al terzo squillo Pipitone rispose con tono professionale presentandosi. Di Falco lo interruppe bruscamente e gli disse dopo essersi presentato: “ ti do cinque minuti di tempo per arrivare al negozio dove esponi i tabuti, se non arrivi in tempo sfondo la porta ed entro.”
Pipitone stupito rispose “Ispettore per piacere. Cosa succede? Arrivo subito”
Romano e Ombra guardavano il loro collega stupiti, ma conoscendolo avevano intuito che quel comportamento nascondeva qualche sorpresa.
Non trascorsero dieci minuti che giunse Pipitone Calogero tutto affannato a bordo della sua Mercedes nera. Sembrava un ladro colto sul fatto, era di grossa stazza, con le guance cadenti e la barba incolta, rosso in faccia, stringeva tra i denti un sigaro spento e respi-rava pesantemente e non solo per la fretta di raggiungere il suo negozio.
Ombra appena lo vide lo schernì “Minchia e chi è arrivato Gambadilegno, dove hai lasciato Topolino e Pippo?”
Di Falco lo guardò negli occhi e col sorriso beffardo gli chiese: “se tu dovessi nascondere qualcosa, dove la nasconderesti?”
Pipitone inghiottì saliva abbondantemente e poi disse: “io non ho nulla da nascondere”
“Risposta sbagliata. Ti do un’altra possibilità con l’aiutino. Io la nasconderei dove tutti la possono vedere così non la nota nessuno.”
“Ispettore la prego io non capisco dove vuole arrivare?”
Ombra anche se non aveva capito il motivo della chiamata di Di Falco, per ogni evenienza si avvicinò al nuovo arrivato e lo aggredì verbalmente.
“Gambadilegno te lo dico in italiano e non te lo voglio ripetere due volte. Ci stai rompendo il padre dei coglioni”
L’uomo si sentì in grande imbarazzo, Di Falco approfittò del momento di debolezza e gli intimò di aprire il salone dell’esposizione delle bare.
Pipitone come un automa aprì e fece entrare i tre poliziotti.
Una volta dentro Di Falco lo guardò negli occhi e poi gli sparò la domanda a brucia pelo: “Qual è tra questi u tabutu di Piscimortu”
Il titolare dell’agenzia di onoranza funebri sbiancò, getto a terra il sigaro che stringeva tra i denti, trovò un posto dove sedersi e poi guardando a terra disse: “mi ha costretto, io non lo avrei mai fatto”
“Chi?” urlò Ombra, che stava perdendo la pazienza, poiché non aveva capito cosa fosse veramente accaduto.
“Guerra Carmelo, il fratello del latitante. L’indomani che mi avevano sparato alla saracinesca dell’altro negozio si è presentato sotto casa con il carro funebre che aveva rubato a Neri. Mi ha fatto scendere mi ha minacciato con la pistola e mi ha costretto a venire in questo salone ed esporre la cassa da morto. Avevo intuito che si trattasse di una cassa con un morto dentro ma mai mi sarei immaginato che dentro ci fosse Piscimortu, l’ho intuito in seguito. Dopo che abbiamo sistemato la bara mi ha riportato a casa e mi ha minacciato, mi ha detto che se lo avessi denunciato agli sbirri mi avrebbe sparato in testa mostrandomi una pistola.
Ombra lo guardò e sdegnato gli disse: “secondo me ‘sta storia te la sei inventata di sana pianta, tu gli hai fatto una cortesia a Carmelo Guerra, magari ti ha pure pagato.”
“No ve lo giuro” supplicò Pipitone incrociando le dita.
“Allora facciamo così -disse Ombra- se è vero quello che ci hai raccontato noi ti nascondiamo un microfono, fissi un incontro con Carmelo Guerra con la scusa che ti deve togliere urgentemente u tabutu di Piscimortu dalla sala d’esposizione e sentiamo lui che di-ce.
“Ok, ma fate in modo che io non sia coinvolto in questa storia”.
“Non ti preoccupare, intano vieni in commissariato che verbalizziamo quello che mi hai detto”
In ufficio si redasse il verbale con le dichiarazioni di Pipitone e si chiese al magistrato di intercettare le comunicazioni tra quest’ultimo e Carmelo Guerra.
Il magistrato sentito telefonicamente diede il suo benestare e poi inviò una comunicazione scritta.
Pipitone, come da accordo, chiamò Carmelo Guerra e gli fissò un appuntamento proprio dentro il salone in via Roma per il primo pomeriggio.
Qualche ora prima i poliziotti si incontrarono nel retro del suo negozio di onoranze funebri e gli piazzarono addosso un microfono che trasmetteva a un ricevitore che registrava, fecero diverse prove e lo rassicurarono che se le cose si fossero messe male loro sareb-bero intervenuti immediatamente.
Venti minuti dopo Guerra Carmelo arriva con la sua BMW nera, parcheggia e scende spavaldo. Si dà una occhiata intorno ed entra dentro il salone. Di Falco e i suoi uomini erano appostati nel retro della sala da esposizione pronti ad intervenire.
“Che è ‘sta storia che mi hai fatto venire” chiese arrogante Guerra.
“Ci sono dei problemi, devi togliere la cassa da morto che mi hai fatto mettere qui, devo piazzarne altre due nuove, quella di Piscimortu la devi togliere.”
“Tu non hai rispetto per gli amici e neanche per i morti, dimmi e secondo te u tabutu i Piscimortu dunni lu mettu?
“Carmelo questo non è un mio problema, tu quando mi hai minacciato mi hai anche detto che l’avresti tolta dopo pochi giorni, sono passati sei mesi e u tabutu cu Piscimortu è ancora qua. Lo devi togliere.
Guerra perse la pazienza, estrasse la pistola che aveva in tasca, afferrò per un braccio Pipituni e gli tappò le narici con il vivo di volata e gli disse. “qui comando io, dopo che è morto mio fratello, e tu mi devi rispetto e ricordati che lo decido io quando togliere o mettere un tabutu, non te lo dimenticare se non vuoi che oltre il buco del culo te ne faccio uno nuovo, per farti buttare sangue.”
Pipitone divenne bianco non riuscì a parlare e dopo che il Guerra mollò la presa, per far capire ai poliziotti che il delinquente era armato, alzò le mani e disse: “va bene facciamo quello che vuoi ma non ti portare più la pistola dietro quando vieni a parlare con me.”
Guerra rimise la pistola in tasca e sempre più con fare prepotente uscì dal salone espositivo. Non fece in tempo a giungere alla vettura che Ombra lo raggiunse alle spalle e gli urlò: “Guerra sei in arresto.”
Poi armò il cane della sua pistola e il mafioso capì di essere sotto tiro e conoscendo la fama di Ombra si arrestò e alzò le mani. Senese lo perquisì e scovò un revolver 357 magnum nella tasca del soprabito. Ombra gli afferrò prima un polso e gli fece scattare una manetta e poi gli afferrò l’altro e completò l’operazione di ammanettamento.
Per meglio comprendere ciò che era successo e per svelare i segreti di questa macabra vicenda riportiamo il rapporto che Di Falco inviò alla magistratura a seguito dell’arresto di Carmelo Guerra.
ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA
In data 26 dicembre c.a. moriva Michele Pisciotta, inteso Piscimortu, commerciante di pesce al dettaglio e all’ingrosso, per arresto cardiocircolatorio. Nello stesso giorno o qualche giorno prima, a parere del sottoscritto Isp. Di Falco, in servizio presto il Commissariato di P.S. procedente, decedeva il noto latitante mafioso Salvatore Guerra fratello dell’attuale arrestato Carmelo. Secondo la tesi di questo ufficio il Carmelo Guerra, che di fatto favoriva la latitanza del fratello, metteva in atto un piano criminale nel quale riusciva a seppellire il fratello, senza darne notizia alle autorità preposte, allo scopo di continuare a usufruire dei proventi dell’attività criminale di quest’ultimo, in prevalenza estorsioni e traffico di droga. Proventi che gli altri consociati alla locale cosca versavano in favore di Salvatore Guerra in qualità di capocosca e che materialmente consegnavano all’attuale arrestato ovvero Carmelo Guerra.
A riprova di questa tesi si allega un rapporto di una fonte confidenziale, secondo il quale il noto latitante Guerra Salvatore non si mostrava più ai consociati poiché di fatto aveva mutato i tratti del suo viso a seguito di una operazione di chirurgia estetica eseguita a Marsiglia. Detta notizia presumibilmente era stata messa in giro dal fratello Carmelo ad hoc per giustificare i mancati contatti del latitante capocosca con i suoi affiliati.
Lo stesso giorno della scomparsa di Michele Pisciotta, inteso Piscimortu, veniva rubato un carro funebre alla ditta Giuseppe Neri con una bara dentro. La vettura veniva rinvenuta due giorni dopo in prossimità di un appezzamento di terra in periferia, mancante della bara. La cassa in questione veniva invece rinvenuta in occasione dell’arresto di Guerra Carmelo, ed esattamente all’interno del salone espositivo di casse da morto del Pipitone. Il Pipitone ci dichiarava che su minaccia armata dell’odierno arrestato fu costretto ad ospitare la cassa da morto rubata con all’interno una salma, che considerati i fatti, non può che essere quella di Michele Pisciotta, inteso Piscimortu. In merito si chiede l’estrazione del DNA delle spoglie rinvenute all’interno della cassa da comparare con quello dei figli del defunto per stabilirne l’esatta identità. A questa tesi l’ufficio inquirente è giunto nel momento in cui lo stesso Giuseppe Neri dichiarava che il Pipituni aveva esposto una cassa da morto simile alla sua anche se erroneamente era convinto che il suo concorrente l’aveva acquistata da una ditta, che realizzava casse molto simili alle sue ma di qualità inferiore. In realtà il Neri si sbagliava perché la cassa esposta nel salone di Pipitone era esattamente quella che gli avevano rubato e nella fattispecie quella che gli aveva rubato Carmelo Guerra all’interno del carro funebre per seppellire Piscimortu. Invece la cassa di Piscimortu il Guerra Carmelo l’aveva utilizzata per ricevere le spoglie del fratello latitante morto ed una volta sostituita l’aveva tumulata presso il sepolcro di Piscimortu, in modo tale che la madre potesse recarsi presso il cimitero e piangere il figlio seppellito, così come è stato accertato dai poliziotti del commissariato in data 13 giugno c.a. Per effettuare detta sostituzione e poter anche effettuare il funerale al fratello, il Carmelo Guerra aveva chiesto di essere assunto al Neri e di essere disposto a lavorare anche gratis per il funerale che tutti credevano essere di Michele Pisciotta, inteso Piscimortu, ma che di fatto veniva svolto alla pre-senza della salma di Salvatore Guerra, ovvero il latitante di mafia.
Successivamente si ebbe il rinvenimento della saracinesca del negozio di onoranze funebri di Pipitone attinto da cinque colpi d’arma da fuoco. Inizialmente errando abbiamo pensato che quel gesto fosse la risposta al furto del carro funebre di Giuseppe Neri, o peggio ancora una seconda minaccia del racket delle estorsioni alle due ditte di onoranze funebri. In realtà, come sentivamo dalle parole di Pipitone, si trattava di atto intimidatorio del Guerra Carmelo, affinché il titolare dell’omonima ditta di onoranze funebri, tenesse la cassa da morto del Michele Pisciotta, inteso Piscimortu, in bella e-videnza nel salone espositivo di cassa da morto ubicato in via Roma.
Si aggiunge che il fratello di Carmelo, Gerlando Guerra in data 15 maggio c.a. veniva sorpreso mentre con una mazza cercava di distruggere il loculo di Michele Pisciotta, inteso Piscimortu. Questo atto inizialmente si giustificò come un tentativo di recuperare dentro il loculo delle armi o della droga della locale cosca da parte del Gerlando Guerra, in realtà, come si appurò successivamente, si trattava di una vendetta contro lo scomparso. Ciò si era verificato, poiché l’autore del danneggiamento, diede credito alla voce popolare secondo la quale la madre avesse avuto una tresca clandestina con lo scomparso.
A corollario di questa tesi si aggiunge l’analisi di comparazione balistica tra le cartucce 357 magnum esplose contro la saracinesca del Pipitone e quelle sparate per prova dal revolver sequestrato in occa-sione dell’arresto del Guerra Carmelo, le cui conclusioni affermano che è stata la pistola rinvenuta e sequestrata all’attuale imputato a sparare contro la saracinesca. Per meglio definire la vicenda si chiede inoltre alla preposta autorità giudiziaria di poter comparare il DNA estratto dalle spoglie umane rivenute all’interno del loculo danneggiato con quelle dei familiari del latitante Guerra Carmelo per darne una definiva identificazione.
Si aggiunge, come emerso dalle indagini, che il Guerra Carmelo, avendo lavorato per diversi anni nella ditta di onoranze funebri Giuseppe Neri, possedeva le competenze professionali per saldare trasportare e tumulare le casse da morto. Competenza che utilizzò per portare a termine il suo piano criminoso.
In conclusione si chiede l’emissione di un provvedimento di custodia cautelare per tutti i fatti criminosi messi in atto dal Carmelo Guerra.
Informativa a cura dell’Ispettore Di Falco Giovanni.
 
 
Fabio Fabiano










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