Un saggio di Nicola Morrone
A metà degli anni ’90 eravamo studenti universitari a Perugia. Nell’ambito del corso di Storia dell’Arte Medievale, il professore ci suggerì calorosamente di intensificare le nostre visite presso la Galleria Nazionale dell’Umbria, dove sono conservati, sin dalla fondazione dell’istituzione museale, diversi capolavori della pittura prodotta dai maestri umbri, la gran parte ivi collocati per una più ampia fruibilità.
Durante la nostra visita, avemmo modo di osservare per la prima volta un crocifisso ligneo dipinto, di grandi dimensioni, uno di quelli che, nelle chiese medievali, si appendevano in corrispondenza dell’arco trionfale, cioè nel punto di snodo tra la navata centrale e il presbiterio. Si trattava, nella fattispecie, del grande Crocifisso attribuito all’anonimo “Maestro di San Francesco”, risalente al 1272 e delle dimensioni di cm. 410 x 328. Di solito, chi osserva dal basso questi crocifissi di grandi dimensioni, non può averne una perfetta visione d’insieme: può comunque osservarne senza particolare sforzo la parte bassa e soprattutto il cosiddetto “suppedaneo”, cioè il tabellone inferiore della croce su cui poggiano i piedi di Cristo crocifisso.
Quel pomeriggio di quasi vent’anni fa, a Perugia, nel contemplare la bellissima opera del pittore umbro ci concentrammo però su tutto, fuorchè sul suppedaneo, in cui comunque riuscimmo a distinguere la piccola figura di San Francesco d’Assisi pietosamente chino sui grandi piedi di Gesù. La scena non ci sembrò degna di particolare attenzione: eravamo piuttosto interessati allo stile, potentemente arcaico, dell’anonimo pittore umbro. Nel nostro studio manualistico, scoprimmo poco dopo che in diversi crocifissi lignei del sec. XIII realizzati nell’Italia Centrale (Toscana, Umbria, Marche) nell’ambito della rivoluzione figurativa che impose nelle tavole dipinte l’immagine del Cristo Sofferente (Christus patiens) su quella del Cristo Trionfante sulla Morte (Christus triumphans) anche l’estrema parte bassa della tavola aveva subito delle modifiche. Vi era stata appunto introdotta l’immagine di Francesco, il santo di Assisi (1182-1226).
E’ possibile verificare questo nuovo motivo iconografico, tra le altre opere, nel Crocifisso ligneo del tipo “patiens” in Santa Chiara ad Assisi, che nella parte bassa raffigura appunto San Francesco (oltre che Santa Chiara) chino sui piedi di Gesù. Acquisiamo però solo oggi, a distanza di tanti anni dalla nostra visita alla Galleria Nazionale, la portata rivoluzionaria del motivo iconografico innanzi descritto, il cui significato, al di là dell’aspetto puramente formale, si comprende solo nell’ottica del nuovo approccio mentale e pratico introdotto da San Francesco nell’ambito del Cristianesimo.
L’iconografia conferma anche in questo caso la sua funzione di “specchio” delle tendenze dottrinali e culturali presenti nella Chiesa, a vantaggio soprattutto degli illetterati. In cosa consiste la novità iconografica? Nel fatto che nessun artista orientale o occidentale, forse anche per i limiti imposti dal clero, aveva mai osato rappresentare in modo così “flagrante” e inequivocabile l’idea della compartecipazione umana alle sofferenze di Cristo. Neanche gli artisti bizantini, che hanno monopolizzato la figuratività occidentale e orientale per un periodo lunghissimo.
D’altro canto, nell’iconografia classica del Nuovo Testamento, gli individui che hanno il privilegio di un contatto ravvicinato con il corpo di Gesù sono San Giovanni Evangelista nell’Ultima Cena (notissimo il suo tenero e fiducioso appoggiarsi alla spalla del Maestro) e Maria di Magdala sotto la croce, nell’atto di abbracciare i piedi di Cristo (ma più con il gesto di chi vuole trarre conforto dal morente, che con quello di chi vuole fornirglielo) Altri ancora toccheranno il corpo di Cristo solo al momento della Deposizione dalla croce.
A partire dal sec. XIII, nei grandi, tradizionali crocifissi lignei interviene quindi un grande cambiamento: in cima alla grande immagine del Cristo morente resta l’impassibile Dio Padre, in corrispondenza delle braccia rimangono la Madonna e San Giovanni umanamente dolenti, ma in basso, in posizione defilata, comincia ad apparire un piccolo uomo, che prende nelle sue mani il grande piede di Gesù e vi appoggia teneramente il capo. Se a confortare il Grande Morente o a trarne conforto, non è dato sapere: certo è che Francesco entra in relazione fisica con Cristo.
Questa scenetta, che i pittori italiani del Duecento si sono inventati di sana pianta ed hanno realizzato con tutta la loro affascinante carica “primitiva”, testimonia appunto visivamente, senza possibilità di equivoci, la rivoluzione introdotta dal santo di Assisi nella mentalità del tempo. Grazie a lui si inizia a comprendere che, evidentemente, non si può essere realmente cristiani se non si raggiunge un intimo, fisico contatto con Cristo. Se non si arriva, cioè, a toccarne il corpo (che è, al suo livello più immediato e riconoscibile, quello del fratello a vario titolo bisognoso ) e, se del caso, a baciargli i piedi. Evidentemente, non come molti suoi coetanei erano abituati a baciarli, in segno cioè di totale sottomissione, ai potenti del tempo, ma come sommo atto d’amore, dalle conseguenze immediate, dirompenti e definitive, sia per l’amante che per l’amato. Nella tavola dipinta, San Francesco bacia i piedi di Gesù per entrare con lui in quella relazione amorosa che lo sosterrà nella sua breve e non semplice esistenza. L’illetterato di Assisi, che affermava che il Vangelo andava accolto “sine glossa”(cioè senza più o meno colti commenti a margine) procedette da subito su una strada diversa rispetto a quella dei fratelli “colti”. Il suo percorso, dopo la conversione, non fu quello dell’”itinerario della mente in Dio” . Non fu cioè un’operazione astratta, ma si svolse, all’opposto, all’insegna del contatto amoroso con il Cristo sofferente. La sua resta, ancor oggi l’unica esperienza in grado, di dare un senso autentico alla vita umana, e quella più appropriata a ricucirne le lacerazioni, che a volte possono apparire insostenibili.
Quanti, sulla soglia del contatto decisivo con Cristo (da rinnovare comunque necessariamente, senza sosta, attraverso la preghiera) si sono fermati, volendo appunto prima capire, studiare, pianificare le mosse, per poi infine, annoiati o logorati, abbandonare l’impresa? E quanti non ci hanno neanche provato? Il santo di Assisi arrivò al cuore di Dio e dell’uomo, comunque, in modo certo più semplice e diretto di quello dei Dottori della Facoltà di Teologia di Parigi, i cui nomi, e i cui pesanti tomi, sono ricordati, ora, solo nei convegni universitari.
A lui, al di là di ogni pesante mediazione dottrinale e culturale, si deve invece questa grossa intuizione, divenuta per molti pratica di vita: è l’amore che porta alla comprensione, e non viceversa. La via di Francesco, sempre percorribile, e dai frutti immediati, abbondanti e sicuri, la vediamo oggi rappresentata, a perenne testimonianza, nel “suppedaneo” di quel Crocifisso gigantesco che un giorno osservammo nella Galleria Nazionale dell’Umbria, pur senza comprenderne, allora, l’autentico significato .
Nicola Morrone
Didascalie foto:
Foto in alto: San Francesco abbraccia i piedi di Cristo (Part. del Crocifisso in Santa Chiara ad Assisi)
Foto in basso: Crocifisso ligneo in Santa Chiara ad Assisi (sec. XIII)