L’ultimo naif
Questo nuovo appuntamento con la rubrica “Dietro le immagini” è volto ad approfondire i principali motivi ispiratori dell’esperienza artistica di Massimo Spina (Manduria, 16/7/1961) che, nel panorama della creatività locale, si presenta indubbiamente con caratteristiche singolari.
Abbiamo incontrato Massimo in un brumoso pomeriggio del febbraio scorso, grazie soprattutto all’interessamento del suo amico, anch’esso artista, Franco Carrozzo. Massimo ci ha accolto nel suo atelier, che in verità egli preferisce chiamare con il nome antico di “bottega”(la “putea”, secondo l’espressione manduriana) che, oltre che essere il luogo fisico in cui prende vita l’opera, per il nostro artista si carica anche, alla maniera dei laboratori rinascimentali, di una sorta di funzione alchemica: non più ambito ristretto dell’operatività manuale, ma soprattutto luogo in cui alla materia, anche quella meno pregiata, viene data una forma, cioè sostanza d’immagine
Massimo è totalmente autodidatta, non avendo mai frequentato scuole d’arte (ne’ licei artistici, ne’ accademie). Questo dato non può che farne per noi un ulteriore motivo di interesse, poichè, già da una superficiale occhiata alla sua produzione, sistemata in modo più o meno disordinato nei ristretti spazi del suo atelier, siamo confermati nella nostra intuizione di partenza: Massimo è l’autentico “naif”.
La chiacchierata ha avuto piacevolmente inizio, quindi, e lui ha tenuto subito a precisare il fatto di non aver avuto una formazione scolastica; ciò che gli ha permesso (e gli permette) di operare senza vincoli, ne’ tecnici, ne’ formali, ne’ concettuali. Gli schemi scolastici, come è noto, possono potentemente inibire l’impulso creativo, soprattutto se l’artista se li porta dentro senza esserne pienamente consapevole. I “primitivi” come Massimo, invece, sono sempre al riparo da questo pericolo, e anche per questo motivo i loro esiti possono non di rado essere del più vivo interesse. Massimo Spina dà del suo carattere, e del suo operare, una definizione fortemente evocativa: si definisce un”vulcano in eruzione”.Questa immagine, in verità, contrasta con quello che di lui abbiamo percepito nel corso dell’intera chiacchierata. Egli è un artista poliedrico, cioè un creativo che si è sempre confrontato con i più vari materiali e le più diverse tecniche. Per sua stessa ammissione, non si è mai cimentato con operazioni complesse, che richiedessero l’intervento di collaboratori (es. fusioni bronzee), dal momento che afferma di avere fatto nel suo ambito professionale una precisa scelta di campo, cioè quella di operare in modo assolutamente individuale. Scelta che non ha naturalmente bisogno di giustificazioni, e che lo accomuna alla quasi totalità dei creativi della nuova generazione che operano nel nostro ambito territoriale.
Tra i tanti, c’è un aspetto che l’artista tende a sottolineare, cioè il suo atteggiamento permanente di “sfida” rispetto ai materiali utilizzati e alle forme che lui può trarne: Massimo afferma senza mezzi termini di essere letteralmente ”istigato” dalle varie possibilità espressive che i diversi materiali (pietra, legno, cartapesta) e le differenti tecniche (olio, acquarello, tempera, mosaico, ecc. ) gli offrono. Decisi soggetto e tecnica, il suo lavoro si svolge poi in estemporanea e con ritmi sempre piuttosto rapidi, anche quando, come nel caso del mosaico, l’aspetto tecnico dell’operazione dovrebbe costringerlo a tempi di esecuzione ben diversi. Abituato a rappresentare una gamma di soggetti molto vasta, questo bravo artista naif resta comunque un “figurativo totale”.
La motivazione di questa scelta, che anch’essa non merita certo commenti, ce la fornisce lui stesso, condensandola in una sola espressione: “amore sviscerato per la terra”, cioè per la natura.
Massimo proviene da una famiglia contadina ed è proprietario terriero e al tempo stesso bracciante. Giungiamo allora qui al punto chiave della nostra conversazione, volta ad individuare il nucleo ispiratore della poetica e dell’esperienza figurativa di Massimo Spina. Questo cinquantenne dalla vita un po’ appartata, sereno, afferma senza mezzi termini di percepire l’universo urbano come dimensione di prigionia e l’universo della campagna come dimensione di libertà. Avverte cioè, freudianamente, il “disagio della civilta’”.In particolare, egli sottolinea che l’universo del suo paese, Manduria (in cui comunque egli, pur in solitario, fisicamente opera) in quanto realtà da rifondare completamente in senso civico, e anche culturale, si presenta in questo senso ulteriormente limitante. Il suo sentimento coincide, come è noto, con quello di artisti anche più giovani di lui, e si fonda, purtroppo, su dati di fatto inoppugnabili.
Ma Massimo non ci sembra tipo da farsi condizionare in modo decisivo dal contesto ambientale. Tra le opere presenti nella sua bottega, che meriterebbero tutte la debita attenzione (oltre che, naturalmente l’interesse di qualche acquirente) spiccano i mosaici, in cui riconosciamo una concezione nitida ed equilibrata, una mano sicura e colori sempre ben calibrati; i dipinti, e le cartapeste. A questo proposito, confessiamo che uno dei motivi che ci hanno spinto ad incontrare Massimo è stato proprio il fatto che il suo amico e sodale Franco Carrozzo ce l’ha presentato espressamente come “cartapestaio” dall’ispirazione atipica .Come è noto, nella penisola salentina esiste tuttora una tenace tradizione di lavorazione della cartapesta, che affonda le sue radici nel ‘700. Essa costituisce probabilmente un ribattito della gloriosa e più antica tradizione artistica napoletana, ma nel Salento quest’esperienza ha comunque raggiunto, soprattutto a partire dall’’800, esiti autonomi e di qualità sostenuta. Gli schemi formali, però, anche per gli artisti di oggi, restano quelli del’700 e dell’800: forse anche per ragioni di mercato, sono in pochi i cartapestai che hanno provato ad innovare l’impostazione stilistica dei vari soggetti. Massimo Spina è appunto uno degli operatori che è andato in questa direzione, da subito, in modo del tutto spontaneo, e senza fini reconditi.
I soggetti da lui rappresentati sono essenzialmente naturalistici, mitologici religiosi. Per ciò che riguarda i soggetti naturalistici, Massimo ama rappresentare (come ci suggerisce Franco Carrozzo) “quello che non c’e’ più”, ovvero, per usare il titolo di una celebre opera di Vittorio De Seta, “il mondo perduto”. Cioè il mondo agricolo-pastorale in cui hanno vissuto in buona parte i nostri nonni, prima dell’avvento, negli anni ’60, dell’industrializzazione e della civiltà dei consumi.
Massimo Spina tende a riportare alla luce appunto quel mondo arcaico, ridonandogli forma e colore. Trae ispirazione, in questo senso, dalle narrazioni della nonna, sarta, nata sullo scorcio dell’800 e morta quasi centenaria. La nonna ha raccontato a Massimo quel mondo (che lui non ha fatto in tempo a conoscere e che doveva avere, come ogni epoca storica, il suo indiscutibile fascino) sempre con equilibrio, senza mai proporlo come idillico ne’ tragico, e soprattutto mettendo in evidenza che, alla fine, le dinamiche umane restano sempre le stesse. Questa “morale” ha poi, in buona parte,strutturato la concezione di vita dell’artista.
Tra le creazioni di ambito “bucolico” ricordiamo poi “Omaggio alla natura”. Rimaniamo sinceramente, e piacevolmente, spiazzati di fronte a questa piccola opera, che può essere il prodotto solo di una immaginazione fresca, gioiosa, vitale, non contaminata dalle infinite tare che il vivere “civile” (cioè, ancora una volta, urbano) spesso produce.
Degno di nota, per l’ambito mitologico, “Il Centauro”. Fiera icona del mondo antico, metà uomo e metà animale, issa il corpo protendendo le braccia al cielo in gesto rabbioso e disperato. Immagine eloquente della Natura che si bera dalla Tecnica, dell’impulso vitale che si sottrae ad un destino di morte, l’opera è specchio della concezione poetica di Massimo.
La forte spinta innovativa dell’artista si registra con pari evidenza nelle cartapeste a soggetto religioso. Osserviamo per esempio la “Pietà”, che l’artista ha realizzato in un periodo della vita in cui era cattolico e praticante. Lo schema tradizionale della rappresentazione, finalizzato a contenere in ritmi anche compositivamente equilibrati la drammatica scena, viene qui sconvolto: la Vergine leva le braccia al cielo generando una linea concava, cui si contrappone, in basso, il corpo convesso ed esanime del Cristo, impietosamente adagiato sul nudo sasso. Si notano controllo del pathos, composizione equilibrata (un bravo naif è di solito sufficientemente saldo anche concettualmente) e padronanza cromatica, ma lo schema della Pietà classica è di fatto reinventato. E’ la prova che ciò che per un artista accademico può essere ai limiti dell’eresia, è spesso per un autentico “primitivo”, una operazione assolutamente legittima. Ciò perchè i “naif”, pur con i limiti loro imposti dalla mancanza di formazione scolastica, hanno spesso il vantaggio di non essere ossessionati dal confronto con i grandi dell’arte, perchè, semplicemente, non li conoscono.
Le cartapeste a soggetto religioso di Massimo Spina (pensiamo, per esempio, alla “Maddalena”) per esplicita scelta dell’artefice vogliono evidenziare la fragilità dell’essere umano, che resta però, tra le creature, tendenzialmente quella più perfetta (una “meraviglia della natura” , come ama dire lui).Tra i dipinti, infine, ci pare opportuna una considerazione su “La processione di San Gregorio Magno”. Con alle spalle una Chiesa Matrice più monumentale che mai, maestosa “quinta”teatrale, avanza il carro del Santo. Una folla, anonima e al tempo stesso straordinariamente caratterizzata, si dispone intorno al simulacro. Di questo simbolico, palpitante affresco di umanità, distinguiamo ad un certo punto il vero protagonista. In basso a sinistra, stretto nella dignitosa camicia bianca della festa, nel suo muto colloquio con la placida bestia, un pastore alla guida del corteo ha trovato una breve, irripetibile occasione per sottrarsi alle sue giornate grame e oscure. Questo inserto, straordinario, è la prova che la “naivete’ ”di Massimo Spina potrebbe portare, se perseguita con criterio e consapevolezza, ad esiti imprevedibili. Solo che lui lo voglia, naturalmente.
Nicola Morrone