La denuncia di un 32enne di Depressa, piccolo paese vicino Tricase
Si sono presentati di buon mattino all'ospedale per donare il sangue, come avevano fatto tante altre volte. Ma ieri qualcosa è andato storto: «Nessun prelievo, conosciamo la tua condizione particolare».
La “condizione” di Antonio Schimera Ceci, 32 anni, originario di Depressa, piccolo paese vicino Tricase, è quella di essere omosessuale. Tanto basterebbe per essere ritenuto «soggetto a rischio», nonostante abbia un compagno da ben undici anni. Ma Antonio ed il suo convivente non si arrendono, ed alla fine viene concesso loro di donare il sangue. Questo sarebbe stato possibile, però, solo dopo le delucidazioni di alti organismi della Regione, contattati telefonicamente.«Dovrebbe esserci una normativa specifica - dice Antonio - che chiarisca una volta per tutte quali siano i soggetti a rischio. Ci siamo sentiti umiliati, perchè c'erano delle persone che hanno visto chiaramente la resistenza da parte del medico, e probabilmente avranno pensato fossimo malati o chissà cosa».
Antonio è un designer, il suo compagno lavora in banca. Vivono la loro storia alla luce del sole, e fortunatamente la discriminazione non ha mai fatto parte della loro vita. Abbiamo sempre donato il sangue - racconta - Siamo stati a Tricase, a Lecce, alla Fratres di Cutrofiano, ed a marzo scorso proprio all'ospedale di Galatina, senza problemi». Ieri, invece, il dottor Catello Mangione, responsabile del reparto, avrebbe opposto alcune resistenze. «Conosciamo la tua condizione particolare», avrebbe detto il medico ad Antonio, facendo riferimento alla sua omosessualità. «Il dottore mi ha detto che noi potremmo essere promiscui - aggiunge il 32enne - A quel punto gli ho chiesto di mostrarmi in base a quale disposizione noi non potevamo donare il sangue. Lui ha preso un grosso opuscolo, composto da diverse pagine, indicando poi il paragrafo in cui secondo lui veniva enunciato il nostro caso, e cioè quello in cui si fa riferimento ai comportamenti sessuali a rischio».
Al riguardo, la normativa di riferimento è il Decreto Ministeriale 3 marzo 2005, che impedisce la donazione alle «persone il cui comportamento sessuale le espone ad alto rischio di contrarre gravi malattie infettive trasmissibili con il sangue». In una nota l’Avis precisa che spetta al medico il compito di individuare, indipendentemente dall'orientamento sessuale e dal genere, eventuali comportamenti a rischio.
Secondo Antonio, è stata un'infermiera ad informare il responsabile della loro omosessualità, essendo dello stesso paese.
«Ovviamente le abbiamo chiesto spiegazioni - continua - e lei ha detto che non voleva accadesse come la volta scorsa, poiché il sangue era stato buttato. A suo dire, alcune malattie potevano insorgere anche dopo i dieci giorni dal prelievo». Antonio ed il suo compagno non si sono arresi, ed hanno chiesto l'intervento dei carabinieri, che però non hanno potuto fare nulla. Solo dopo un consulto telefonico, sostiene la coppia, il dottor Mangione avrebbe acconsentito a farli donare. «Di questa esperienza - conclude Antonio - rimane che un’azione spontanea, fatta per donare al prossimo una prospettiva di vita serena, non possa essere filtrata attraverso il pregiudizio, l'ignoranza e l'inciviltà. Si perdono la voglia di dare, le certezze e aumentano le paure».
«Non conosco nel dettaglio la questione - dice il direttore sanitario Ottavio Narracci - ma mi dispiace che sia accaduta una cosa del genere. Comunque, visto che alla fine hanno donato, tanto rumore per nulla»
Fonte: rete