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27/10/2014 19:13:33 - Manduria - Cultura

Una storia a lieto fine

Tra i primi e più importanti martiri della cristianità occidentale c’è senza dubbio San Lorenzo, nato a Huesca (Spagna) nel 225 e morto a Roma, il 10 agosto 258, nell’ambito della persecuzione dell’imperatore Valeriano.
Trasferitosi in gioventù dalla Spagna a Roma, una volta giunto nell’Urbe divenne arcidiacono, cioè responsabile delle attività caritative della Diocesi. In seguito ad un editto emanato dall’imperatore, all’età di 33 anni Lorenzo fu messo a morte perchè presbitero, cioè sacerdote. Molto probabilmente (anche se, in questo senso, mancano testimonianze storiche inequivocabili) venne bruciato vivo su una graticola ardente. La graticola, perciò, diventò in seguito il suo attributo iconografico.
Piuttosto tardivamente, il culto per il martire giunse anche a Manduria. La devozione locale non nacque per impulso della Diocesi, ma, come talora accade, su iniziativa privata. Intorno al 1547, con un lascito del notaio Giovanni De Basiliis, su un terreno di sua proprietà, fu edificata una cappella dedicata al santo, che risulta già crollata nel 167O [Cfr. L.Tarentini, Manduria Sacra (1899), p.17].
Nell’iconografia pittorica e plastica manduriana, San Lorenzo è presente, in maniera particolare, in due distinti luoghi di culto: la chiesa della Madonna del Carmelo (Scuole Pie) e la cappella della Natività di Maria Vergine (in Sant’Antonio).
Alle Scuole Pie, il santo è abbondantemente riprodotto: a lui è dedicato il secondo altare a sinistra della navata, qualificato da una grande tela centrale che raffigura il suo martirio e da quattro telette laterali con scene della sua vita (ambito dei pittori Bianchi, sec. XVIII). Nella chiesa è inoltre presente una statua in cartapesta che rappresenta il santo, opera di R. Caretta (sec. XX).
Nella cappella della Natività di Maria Vergine (in Sant’Antonio) si può invece ammirare un bel dipinto con il santo in atteggiamento estatico (sec. XVII, scuola pugliese) e una statua in cartapesta di artista locale (sec. XVIII). La statua, come tutto il corredo artistico della cappella, è stata realizzata su iniziativa dei Frati Cappuccini (uno dei tre ordini mendicanti della famiglia francescana, sorto nel 1520) che officiavano il culto nella chiesetta già dalla seconda metà del sec. XVII. Giunti a Manduria intorno al 1660, essi, anche con il sostegno dell’aristocrazia locale, avevano realizzato la cappella e il convento annesso, e tra gli altri, solennizzavano il culto per San Lorenzo Martire con una festicciola nei pressi della contrada [cfr.L.Tarentini , Manduria Sacra (1899), pp.56-65].
Ma la comunità cappuccina, dopo appena due secoli di presenza in città, dovette abbandonare Manduria in seguito alle soppressioni monastiche postunitarie (1866). All’allontanamento della comunità monastica seguì un periodo di abbandono della cappella e del convento, in cui si verificarono, tra le altre cose, anche spoliazioni del patrimonio artistico.
Nell’ambito di quel convulso frangente storico, che ha interessato molte fondazioni monastiche italiane, la statua manduriana di San Lorenzo è stata al centro di una vicenda molto particolare, che abbiamo recentemente ricostruito con l’ausilio di documenti rintracciati nell’Archivio Centrale dello Stato di Roma, sulla scorta delle indicazioni fornite in un saggio scientifico [cfr. A.Gioli, ”Monumenti e oggetti d’arte nel Regno d’Italia.Il patrimonio artistico degli Enti religiosi soppressi tra riuso, tutela e dispersione” (Roma 1997)].
Presso L’ACS (fondo Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale delle Antichita’ e Belle Arti, Affari per Province, busta 16, fascicolo 41) esiste infatti un incartamento, della consistenza di cc. 8, riguardante i Cappuccini di Manduria, contenente documenti risalenti all’anno 1872. Sei anni prima, il Regio Decreto n.3036 del 7 Luglio 1866 aveva stabilito la soppressione degli Ordini religiosi possidenti. La legge non prevedeva forme particolari di tutela dei beni artistici presenti nelle chiese e nei fabbricati monastici. E mancando appunto un sostegno giuridico alla salvaguardia dell’immenso patrimonio artistico degli Ordini religiosi ebbe luogo, nell’immediato periodo postunitario, la grande dispersione delle opere d’arte di proprietà claustrale, la cui sorte, nella gran parte dei casi, non è più possibile ricostruire.
Dopo l’allontanamento dei Cappuccini dalla casa manduriana, lo stesso destino sarebbe toccato, tra gli altri, anche alla statua in cartapesta di San Lorenzo Martire, ma stavolta le cose, per una curiosa circostanza, andarono diversamente. Infatti, tra i documenti da noi ritrovati a Roma ce n’e’uno, datato 1872, da cui si evince che la Congrega del Carmine di Manduria (Scuole Pie) aveva fatto istanza ad un particolare ufficio del neonato Regno d’Italia (l’Amministrazione del Fondo per il culto) per ottenere la statua di San Lorenzo Martire, già appartenuta ai Cappuccini, al fine di istituire nella propria chiesa il culto del santo e solennizzarlo con una festa annuale (10 agosto).
Per permettere lo spostamento della statua dalla chiesa dei Cappuccini a quella delle Scuole Pie occorreva però, secondo le leggi del tempo, che essa fosse riconosciuta “di nessun valore artistico”. In caso contrario, essa sarebbe rimasta di proprietà dello Stato, come patrimonio acquisito in seguito alla soppressione della comunità cappuccina di Manduria. Gli ufficiali del Regno d’Italia incaricarono dunque la Regia commissione Conservatrice di Monumenti storici e delle Belle Arti di stimare il valore artistico della statua, e, anzichè mettere tutto nelle mani di tecnici forestieri, si affidarono al personale del Museo provinciale di Terra d’Otranto (Lecce), che avrebbe inquadrato l’opera nel giusto contesto storico ed artistico, e ne avrebbe poi fornito, in base a questi parametri, una stima anche economica. E così fu.
Nel fascicolo da noi consultato a Roma, c’è infatti una bellissima relazione, senza data, sottoscritta dal Direttore del Museo Provinciale di Lecce (il patriota Sigismondo Castromediano). Dalla sua lettura si evince che una commissione del Museo, composta da Luigi De Simone, Cosimo De Giorgi, Pietro De Simone e lo stesso Castromediano, si recò a Manduria la sera del 13 settembre 1872 e, dopo essersi accordata col sindaco, col ricevitore del demanio e con i RR. Carabinieri, il giorno successivo prese visione della statua.
Questa era già stata collocata nella chiesa del Carmine. Dopo essere stato riconosciuto sotto l’aspetto formale come opera di gusto barocco, il manufatto fu giudicato dalla commissione come opera di “artista poco perito”. Alla fine della meticolosa relazione si sottolinea che “se v’ha alcun pregio in questa statua non è certo estrinseco od estetico; la è una brutta copia, è una pessima caricatura di tante statue consimili di San Lorenzo che si trovano in diversi paesi della provincia, le quali potranno avere soltanto un valore archeologico tra un milione di anni, se la materia prima con la quale sono state modellate potrà resistere alla corruzione del tempo, del tarlo, e della tignola. Per tutti questi motivi la Commissione giudica la statua di nessun valore artistico, e crede che il prezzo dell’opera quale attualmente si trova sia di 80 a 100 lire italiane”.
Sulla base di questa valutazione, l’Amministrazione per il Fondo del Culto accordò alla Congregazione del Carmine di Manduria l’utilizzo della statua, anche se i confratelli, come detto, avevano già provveduto a spostare l’opera dalla sua sede originaria, con processione solenne.
La statua di San Lorenzo Martire, dunque, è rimasta a Manduria proprio per esser stata considerata “di nessun valore artistico”. Questa valutazione, effettuata nel 1872 dagli esperti leccesi, è stata dunque provvidenziale, poichè ha permesso all’opera, a differenza di tante altre disperse, di rimanere nella sua città. La valutazione della commissione, però, pur provvidenziale, non fu criticamente equilibrata. Il Tarentini afferma che, all’epoca, la statua “riscosse erroneamente fama di grande lavoro artistico”, senza però motivare questo suo giudizio negativo.
Lo studioso S. P. Polito, tra i massimi conoscitori della cartapesta salentina, si esprime invece sul San Lorenzo manduriano in termini decisamente positivi, descrivendolo come un manufatto “pregevole”, che “denota nei tratti e nel gesto una tenuta qualitativa non eccellente, ma, ad ogni modo, piuttosto alta [….] non troppo lontana dagli esiti raggiunti dal Manieri” [Cfr.S.P.Polito, La cartapesta Sacra a Manduria (Manduria 2002), pp. 20 e 136].
Nella fattispecie, si tratta, tra l’altro, di un vero e proprio incunabolo della cartapesta salentina, dal momento che i primi manufatti di plastica cartacea documentati nel Salento risalgono appunto al sec. XVIII. Il verdetto dei tecnici leccesi pare anche a noi eccessivamente severo: osservando direttamente la statua, che fu realizzata più di due secoli e mezzo fa, si nota uno sviluppo solido ed equilibrato della massa plastica, una sufficiente attenzione al dettaglio decorativo, e, non ultima, una buona capacità di caratterizzazione psicologica.
In ogni caso, a quella lontana valutazione “al ribasso” dobbiamo comunque, lo ribadiamo, il salvataggio dell’opera dalla sua sicura dispersione. La statua di San Lorenzo, dopo essere stata acquisita dai Confratelli del Carmine per le loro esigenze cultuali (tra l’altro legittimate da una devozione che, nata su impulso privato, era presente alle Scuole Pie già dal primo ‘700) ritornò poi, giustamente, nella sua sede originaria, cioè nella cappella della Natività di Maria (ora in Sant’Antonio).
Nelle Scuole Pie fu, al suo posto, collocata un’altra statua in cartapesta del Santo, quella realizzata ai primi del ‘900 dal leccese Raffaele Caretta.
In conclusione, da una superficiale valutazione tecnica dell’importanza di un’opera d’arte è venuto alla comunità manduriana un vantaggio, di cui i concittadini possono tuttora beneficiare. Purtroppo, di tante altre opere, di cui si fece a suo tempo “corretta” valutazione artistica, si è perso finanche il ricordo.
 
Nicola Morrone










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