domenica 22 dicembre 2024


18/01/2015 13:03:45 - Manduria - Cultura

L’abside, dopo l’alluvione del 17 settembre 1882, fu risparmiato dalla demolizione forse proprio perché conteneva il dipinto miracoloso della Madonna col Bambino

 
Ogni chiesa manduriana ha la sua importanza storica, artistica e devozionale. Spesso ci si dedica allo studio dei fatti storici e artistici legati ad un luogo di culto, ma i ricercatori sono, in generale, meno disposti ad interessarsi alle vicende del culto e della devozione. Queste ultime, in realtà, sono di importanza tutt’altro che secondaria, e, anzi, spesso si rivelano decisive ai fini della risoluzione di enigmi che, viceversa, resterebbero irrisolti.
E, proprio in relazione alle vicende del culto e della devozione, un ruolo importante nella storia religiosa di Manduria è stato in passato svolto dalla cappella dell’Assunta. Questo piccolo luogo di culto, collocato in fondo a via Cardinal Ferrara, nell’attuale borgo Porticella, ha una storia affascinante, per buona parte rimasta oscura ai concittadini.
La chiesetta, attualmente chiusa al culto per gran parte dell’anno e utilizzata soprattutto per solennizzare la festa di San Pio da Pietrelcina, è possibile apprezzarla oggi non certo nel suo aspetto originario, ma nella versione prodotta dalla ricostruzione “a fundamentis” del 1883, resasi necessaria dopo che un’alluvione, l’anno precedente, aveva sensibilmente minato la statica del vetusto edificio.
Appare arduo ricostruire la storia più antica della chiesa demolita. Il Tarentini dedica alla cappella ben cinque pagine della sua “Manduria Sacra”, ma, in relazione alle oscure vicende della fondazione, formula ipotesi ardite, prive del benchè minimo sostegno documentario [Cfr. L.Tarentini, Manduria sacra (Manduria 1899), pp. 79-83].
E’ verosimile che si possa far luce sulle più antiche fasi costruttive della chiesa solo con una serie di saggi di scavo. I documenti sulla fabbrica mancano fino a tutto il sec. XVI, quando negli atti dei notai della piazza di Manduria, nonchè nella visita pastorale del vescovo di Oria, mons. Bovio, compare qualche riferimento alla chiesa antica, che non era intitolata all’Assunta, ma aveva il nome del tutto particolare di “Madonna della Grande”, verosimilmente a causa della presenza, in loco, di una grande immagine dipinta raffigurante la Madonna, irrimediabilmente perduta.
Nel 1565, come accertato dalla visita pastorale di mons. Bovio, la cappella minacciava rovina e il vescovo ordinò che fosse riparata. Vi officiavano comunque il culto i frati Domenicani, che di recente si erano stabiliti a Casalnuovo e che di li’ a poco fonderanno uno dei più antichi conventi maschili della nostra città.
Sappiamo dal Tarentini che la cappella originaria (per la cui fondazione ci si era avvalsi del reimpiego di materiali antichi, e che possedeva pure un annesso sepolcreto) era coperta con tetto a tegole e aveva due altari, il principale dedicato alla Vergine, l’altro ai SS. Medici Cosimo e Damiano. Quest’ultimo fu distrutto nel 1765 [Cfr. L.Tarentini,Manduria Sacra (Manduria 1899),p.80]. In effetti, la cappella, con il nome di “Rosario Vecchio” (con evidente riferimento alla presenza domenicana) compare anche nella “Pianta di Casalnovo” del 1643, conservata nel Fondo Imperiali dell’Archivio di Stato di Napoli [(Cfr.G.Martucci, Carte topografiche di Francavilla, Oria e Casalnuovo del 1643 (Francavilla 1986)].
Nella pianta, l’edificio è rappresentato come un semplice vano con orientamento ecclesiale, facciata a capanna e tetto a spioventi. Nel 1784, come risulta dagli Atti di Santa Visita di mons. Kalefaty, la cappella ricadeva sotto giurisdizione del Seminario di Oria. Il vecchio edificio, varie volte riparato nel corso dei secoli, non resistette dunque all’alluvione del 17 settembre 1882, che ne compromise la struttura e l’Amministrazione Comunale, su suggerimento di alcuni cittadini, ne ordinò la demolizione.
La chiesa venne ricostruita l’anno successivo. Alla nuova costruzione si diede una nuova intitolazione: fu consacrata all’Assunta e provvista dell’omonimo simulacro cartapestaceo. Al visitatore, oggi, la chiesa dell’Assunta si presenta come un semplice edificio mononave, orientato E-W, caratterizzato da una sobria facciata arieggiante linee neoclassiche, con timpano a salienti curvilinei, oculo centrale e piramidette laterali.
L’interno, come l’esterno, è il prodotto della pressochè totale ricostruzione del 1882, di cui resta memoria nella lapide con iscrizione, collocata a sinistra della porta d’ingresso.
Uniche testimonianze materiali della chiesa primitiva, che riteniamo possa essere stata realizzata in epoca medievale (era in rovina già nel ’500) restano forse una parte del muro sud, e, soprattutto, un’ampia parte della parete absidale, compresa la nicchia con il dipinto superstite. Al di là del brandello di muro sud (la cui funzione non è ancora stata del tutto chiarita), in questo edificio in cui tutto mostra inconfondibili caratteri di “modernità”, la presenza della conca absidale rappresenta una vera e propria anomalia strutturale. Essa, coperta per metà dall’altare posticcio, si sviluppava in origine fino al livello del piano di calpestio della chiesa antica e ospitò quasi certamente, sin dall’inizio, la venerata icona della Madonna.
L’attuale tempera, verosimilmente ottocentesca, è sicuramente palinsesta, come si può verificare con un semplice osservazione a occhio nudo della pellicola pittorica. L’attuale dipinto, una grande immagine della Madonna, assisa sulle nubi e recante sulle ginocchia Gesù Bambino “Rex Mundi” è dunque fatto risalire all’epoca della ricostruzione della chiesa, e attribuita ad un pittore di ambito pugliese (Cfr.M.Guastella, Iconografia Sacra a Manduria (Manduria 2002), p.365).
Ma, al di là della qualità del dipinto, è l’intera parete absidale della chiesa dell’Assunta che sarebbe davvero meritevole di uno studio più approfondito. Essa si distingue nettamente in due zone, quella inferiore, coeva all’intero edificio ottocentesco e realizzata con conci di tufo regolari, e quella inferiore, realizzata con una tecnica costruttiva più “primitiva” e con conci di tufo di varia forma e dimensione.
Nella parte bassa della parete si colloca l’abside. Essa, in linea teorica, non avrebbe troppa ragion d’essere in una chiesa di tardo Ottocento. Senza necessariamente ricorrere a termini di confronto “alti” ed extraterritoriali, si consideri che nessuna chiesa manduriana del sec XIX è provvista di una conca absidale, tranne quella di Santa Lucia. Negli edifici di queste epoche, come già in molte chiese tardo barocche, l’area presbiteriale si conclude, di norma, con la presenza di un coro quadrato. Ma, al di là dei problemi teorici, una corretta lettura del muro di fondo della cappella dell’Assunta, a nostro avviso, non lascia dubbi: la presenza della nicchia, e di buona parte della parete che la sostiene, si giustifica solo come reliquia superstite dell’antica chiesa della “Madonna della Grande”. Ai fini di una datazione più precisa dell’abside, suggeriamo di non trascurare l’elemento metrologico, che è spesso risolutivo: si consideri, a titolo di esempio, che la conferma di una datazione ad età bizantina (sec. IX-XI) dell’ipogeo di San Pietro Mandurino (basilichetta a due navate) è venuta, di recente, da una più precisa misurazione delle dimensioni del vano.
In ogni caso, gli indizi a nostra disposizione, vale a dire: 1) la presenza dell’abside; 2) il fatto che la chiesa primitiva fu costruita riutilizzando materiali messapici; 3) la probabile esistenza di un’area sepolcrale; ci fanno ipotizzare che la chiesa distrutta potesse risalire ad età medievale.
In conclusione, ci si potrebbe chiedere per quale motivo i tecnici non abbatterono l’abside al momento della demolizione ottocentesca. La motivazione, a nostro avviso, va ricercata non in ragioni tecnico-pratiche, ma piuttosto devozionali. Nell’abside era (ed è, anche se ridipinta) collocata l’icona taumaturgica, il dipinto miracoloso della Madonna col Bambino, cioè il vero oggetto della devozione dei fedeli. Intorno ad essa, risparmiata dalla demolizione, fu costruita la nuova chiesa, con il sicuro favore dei devoti, che non persero il secolare riferimento visivo del dipinto. In sostanza, come si è verificato altre volte (Santuario di Jaddico, Chiesa Matrice di Guagnano, ecc) sulle ragioni degli architetti e dei tecnici hanno prevalso quelle del culto, e ciò, in termini antropologici, getta una luce significativa sul valore che i nostri antenati attribuivano al culto delle immagini sacre. Per essi, le chiese furono sempre essenzialmente i luoghi del rafforzamento e della conferma della fede, anche attraverso le immagini, nel solco della tradizione degli avi. Alle icone essi, piuttosto che attribuire un valore essenzialmente estetico, riconobbero sempre un’insostituibile valore sacrale. 
Nicola Morrone
 
 
 
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E’ in rete la seconda puntata del “Prudenzano News”
“Non un rito ma il culto della memoria
Tributo a Elisa Springer”










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